venerdì 19 ottobre 2012

Due esercizi per la prossima settimana

Visto che lunedì e martedì avete tempo, provate a fare un piccolo esercizio: cosa significa esattamente la parola latina "coniectio"? Provate a capirlo dai contesti in cui è usata nella letteratura latina: provate con il sito americano www.perseus.tufts.edu E' un esempio delle straordinarie possibilità del web applicate alle letterature antiche: qualcosa che la vostra professoressa di latino non vi ha detto, forse perché non ne sapeva nulla neanche lei.

Altro esercizio: cosa è una regula? cercate il libro di Peter Stein, Regulae iuris, 1966, e leggete una elegantissima sintesi sul tema.

24 commenti:

  1. Coniectio
    Provando ad effettuare una ricerca sul sito da lei consigliato, ho trovato diversi significati di coniectio: ad esempio i più comuni sono: "unire, collegare, gettare, tirare," ma anche "congettura e progetto".
    Quando è collegato al termine 'Telum', ovvero 'arma, dardo, pugnale, giavellotto', assume un significato di "tirare, gettare,".
    Vicino al termine 'Somnium', assume il significato di "congettura o interpretazione."
    Oppure "mettere insieme/unire, mettere a confronto", quando parla di 'Annona et aestimationis'. Probabilmente si riferisce in questo caso all'opera di Cicerone "In Verrem" (Le Verrine) che dice "....sed ex coniunctione annonae atque aestimationis" ovvero "ma da una combinazione del prezzo di mercato e valore"
    Dunque è un termine che muta di significato a seconda dell'aggettivo che lo segue, assumendo un accezione quasi bellica nel caso di "coniectio telum/telorum". Anche "congettura" può assume un significato quasi militare. Oppure assume un sgnificato di proporzione tra due valori, quando è affiancato a Annona et Aestimationis.
    In più, ricercandolo anche su wiktionary, vicino alla parola Law inserisce il significato di "outline of case" (contorno/generale descrizione di un caso). Od ancora "argomento di polemica".

    Giulia Onesti

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    1. Grazie Giulia: ha visto come diventa interessante la lingua latina se si studia con strumenti così potenti?
      Ma da quello che scrive Cicerone sta usando la parola "coniunctio", no? Oppure lo scambio con "coniectio" si ha già nel mondo antico?

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    2. Giulia, da quello che ho letto nel "Pro Aulo Caecina" orazione dello stesso Cicerone, lo scambio vi è anche nel mondo antico:
      http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus:text:1999.02.0013:text=Caec.:chapter=15&highlight=coniectione

      Eleonora Moscarini

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  2. La ricerca di Giulia costituisce un piacevole spunto e a riguardo ho voluto procedere in un modo per me inconsueto. Nel dizionario di lingua latina Campanini-Carboni (forse meglio che nel Castiglioni-Mariotti) alla voce “coniectio” sono riportati i significati “getto”, “lancio” o “interpretazione di sogni”, i quali sono riferiti all’uso che ne fa Cicerone (si pensi al “De divinatione” ; dal canto loro i significati di “sommario”, “ ricapitolazione”, “congettura” sono probabilmente quelli che più ci interessano proprio perché sono utilizzati nei Digesta Iuxtiniani. A questo punto sono tornato a riflettere sul rapporto coniectio-coniunctio e ho preso in considerazione l’idea di rispolverare un po’ di Greco antico: il Vocabolario Etimologico Pianigiani riporta “ζεύγνυμι” come verbo greco di riferimento per la parola “congiungere” : ζεύγνυμι ha il significato di “aggiogare”, “congiungere”, “legare”, “unire”. Nulla di particolarmente nuovo ed interessante fatta eccezione, forse, per il significato che il verbo assume alla diatesi passiva di “essere messo a confronto”. Sulla parola “coniectio” ho scelto di discostarmi da una ricerca etimologica in senso stretto e questa volta ho assecondato il percorso più seducente – ma senza dubbio più incerto - del suono delle parole. Sono arrivato così al verbo “συνίημι” – “mettere”, “scagliare insieme” (detto a proposito di frecce) “spingere insieme”, “apprendere”, “conoscere”, “intendere”, “capire”. L’incredibile somiglianza di significati fra “coniectio” (“conicio” – di cui fra l’altro compare un significato propriamente giuridico, quello di “trattare una causa” nel contesto delle XII Tavole) e “συνίημι” mi ha portato a riflettere su come due parole tanto lontane possano avere significati così vicini. Si tratta, come direbbe qualcuno, di uno Zufall?

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  3. No Professore, è "coniuctio" (combinazione), non "conietcio". Pensavo di aver trovato il testo latino di riferimento, in cui si parlava di Annona et aestimationis. Comunque, non hanno la stessa radice?

    Giulia Onesti

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  4. Mi scusi, ho dimenticato una 'n': coniunctio!

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  5. Interessantissimi i commenti di Alessandro e Giulia. Io invece ho cercato di riflettere sul secondo quesito, e quindi sul significato della "regula": come è nato questo termine e di come si è sviluppato a cominciare dai vari giuristi d'epoca romana. Un importante spunto di riflessione ci è dato dall'opera citata dal professore, di P. Stein (“From juristic rules to legal maximes”) nella quale l'autore, attraverso un excursus storico, ricostruisce la nascita e l'evoluzione della regula giuridica a cominciare dall'epoca romana e l'emergere dalla regola il concetto di “massima”, la quale si caratterizza per una maggiore astrattezza e di più ampio tenore. Nell'affrontare il tema circa il significato giuridico del termine “regula” trovo utile iniziare con il riflettere sull'origine etimologica del termine “diritto” che deriva dal latino “directus”.
    Il termine “directus” presenta infatti una radice (“-rec-”) comune ad altre parole latine, quali regere, rex e regula. È l’antica radice indoeuropea reg, che si ritrova oggi nello spagnolo derecho, nel tedesco Recht e nell’inglese right. Essa sottolinea il legame tra il concetto di “diritto” e il ruolo di regolare, governare un gruppo sociale.
    Originariamente il significato comune del latino “regula” rappresentava un semplice strumento usato dai muratori per verificare che una parte della costruzione fosse perfettamente allineata, cioè dritta. La regula consentiva di distinguere ciò che era lineare, dritto, regolare, da ciò che era contorto, irregolare.
    Fin dall'antichità si manifesta perciò una profonda connessione tra l'idea di regolarità, linearità e quella di diritto.
    Ora nello spiegare il significato del termine “regula” intesa come parola chiave nel linguaggio giuridico del diritto romano, vorrei prendere le mosse da un argomento affrontato nell'ultima lezione, ossia la dottrina delle cause di Aristotele, la cui sintesi è data dall'affermazione che “ in ogni ricerca vi sono principi, cause o elementi, e il conoscere e il sapere consistono nella conoscenza di questi noi diciamo infatti di conoscere una cosa, solo allorché possediamo la conoscenza delle cause prime e dei principi primi, fino agli elementi semplici” (Aristotele, Fisica)
    Nel V libro della metafisica ritroviamo un approfondimento circa i molteplici significati che il “principio” può assumere.
    Tutti i principi hanno come comune denominatore la caratteristica di essere il primo termine dal quale trae vita l'essere o il divenire o il conoscere.
    Dalla dottrina di Aristotele si desume che egli elabora il concetto di principio da due punti di vista: da un lato il principio deriva da una proposizione che porta in sé una verità in re ipsa, senza aver bisogno di una verità che la preceda. Il principio è quindi una proposizione vera e indipendente. Questa caratteristica fa della proposizione un “principio”. Dall'altro lato, il principio è anche quella proposizione dalla quale prendono vita altre proposizioni. Il principio si trova all'inizio di una catena dalla quale prendono vita una serie di verità che nel principio stesso trovano il loro fondamento.
    Ho voluto riprendere quanto, in parte, detto a lezione poiché è proprio nel nome di “regula” che il concetto di “principio” elaborato dalla dottrina aristotelica prende corpo attraverso la scienza giuridica romana.
    Il primo a utilizzare il vocabolo “regula” con significato normativo, fu il giurista Labeone, nato nel 45 a.C. Egli trasse dai grammatici l’uso normativo del termine regula, ossia il concetto di regula come principio normativo.
    Il giurista Paolo sosteneva che la regula desse una sintetica descrizione del diritto vigente.

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  6. La regula infatti è per il diritto romano la descrizione del metodo casistico, ossia l'idea secondo la quale bisogna intervenire sul caso descrivendolo in termini giuridici. Non è quindi la regula a dar vita al diritto da applicare alla realtà concreta, ma è dal diritto applicato al caso concreto che si ricava la formulazione della regula.
    Sabino accostò la “regula” a una causae coniectio, ossia ad un’enunciazione sintetica del diritto. Alcuni giuristi romani attribuirono al significato originario del termine regula, in senso normativo, un’origine “scientifica”, consistente nell’osservazione di una data regolarità e continuità nelle soluzioni giuridiche di casi omogenei e nell’esposizione del caso-tipo, desunto dalla regolarità, in modo sintetico e astraendolo dalle singolarità del caso concreto.
    Al centro della regula si pone quindi la coniunctio rationum; la regola è congiunzione di cause, cioè di rationes. Essa infatti si costituisce congiungendo più casi che hanno la medesima ratio.
    Si può in questo modo tracciare un'evoluzione nella percezione del significato di tale termine. Inizialmente infatti la regula si limitava a descrivere il diritto vigente, solo in seguito assunse anche una portata normativa e prescrittiva. Tale operazione venne ripetuta in una serie di casi tra loro omogenei e si costituì cosi nel tempo una collectio di regulae, raccolte poi anche nelle Istituzioni di Gaio e nel Digesto.
    Con l'autorizzazione da parte degli imperatori, i giuristi cominciarono a raccogliere i responsa, e comparvero cosi i primi libri che raccolgono regulae: i libri regularum, scritti da giureconsulti membri del consilium principis e destinati ai funzionari della burocrazia imperiale.


    Tra le prime e più importanti regulae iuris si pone di certo quella di Paolo, che offre una sintetica definizione del concetto di regula:
    “Regula est quae rem, quae est, breviter enarrat: non ut regula ius sumatur, sed ex iure, quod est regula fiat. Per regulam igitur brevis rerum narratio traditur, et [...] quasi causae coniunctio est: quae simul in aliquo vitiata est, perdit officium suum.”
    (La regola è ciò che spiega brevemente una cosa così com’è: non perché dalla regola si tragga il diritto, ma perché è dal diritto che la regola trae la sua origine. Per mezzo della regola, dunque, si trasmette una breve spiegazione delle cose, ed è per così dire una relazione di cause, la quale, non appena è viziata in qualche punto, perde la sua efficacia, la sua funzione.)

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  7. Ieri ho letto un articolo che penso abbia una sua rilevanza con quanto stiamo affrontando in questi giorni a lezione, sul "Sole 24 Ore" di qualche giorno fa, del docente e scrittore Carlo Carena, intitolato "Il manoscritto ha i suoi metodi". In quest'articolo fa riferimento ad un libro di Michael D. Reeve, "Manuscript and Methods", in cui l'autore parla degli "errori d'autore" commessi nei manoscritti, definendoli appunto come "errori introdotti e sfuggiti per distrazione, per ignoranza, per assonanza con altre lettere e parole, semplicemente per difettosa comunicazione fra il cervello e la mano dell'autore o di altri nel testo e nella sua tradizione,e che agli occhi del metodo di Reeve assumono un loro valido significato". L'autore in questione, infatti, li reputa simili a dei lapsus freudiani, ovvero errori che avvengono sì per distrazione ma quello che ne viene fuori non è un semplice caso, ma ciò cui magari si pensava. Nel nostro caso del "de regulis iuris", infatti, abbiamo visto come la svista che ha portato alla trascrizione di coniunctio invece di coniectio fosse dovuta anche a un bisogno di creare le basi per la formazione di una dottrina giuridica, ora che con la fioritura delle università di stampo giuridico la semplice esegesi dl Corpus Iuris di Giustiniano non era più sufficiente e si apriva così una nuova strada per la scienza giuridica.
    Reeve inoltre dice che "quando un manoscritto deriva da un altro, vi sono tre possibilità: si hanno prove che fu copiato direttamente; si hanno prove che non fu copiato direttamente; o non ci sono prove né dell'uno né dell'altro caso". E noi sappiamo che gli amanuensi nei monasteri erano dediti alla trascrizione di un libro soltanto, si specializzavano quindi nelle stesse parole e presumibilmente li imparavano anche a memoria tanto da non dover dare, magari, un'occhiata di più sul testo originale perché sicuri della parola che venisse dopo. E certamente l'assonanza fra il suono di "coniectio" e "coniunctio" ha facilitato la svista, soprattutto essendo il primo termine in disuso.
    L'autore poi fa anche riferimento alle glosse e alle annotazioni ai margini che hanno spesso inquinato l'opera originale, e qui il mio pensiero va agli autorevoli giuristi che con le loro glosse correggevano quelli che per loro erano errori ortografici, come l'aggiunta di "cum causae" accanto a "causae" prima di coniectio, favorendo così la nuova versione di "causae cum causae coniunctio" e quindi suggellando quell'errore che ha portato alla nascita della scienza giuridica.

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  8. Vorrei collegarmi al commento di Angelica che, a mio parere, ha trattato della Regula Iuris in maniera esauriente, aggiungendo ciò che sulla Regula scrisse il giurista Paolo nel commentario a Plazio:
    Regula est, quae rem quae est breviter enarrat.Non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat. Per regulam igitur brevis narratio traditur et, ut ait Sabinus, quasi causae coniectio est, quae simul cum in aliquo vitiata est, perdit officium suum.

    Quindi la regola è la precisa esposizione in sintesi dell’affare in questione. Non si desuma il diritto dalla regola, ma si crei la regola dal diritto realizzato. Per mezzo della regola, pertanto si propone una breve esposizione dei fatti: come dice Sabino essa è come la sintesi dei fatti che ha luogo all’inizio del giudizio, e, se viziata in una qualunque parte, perde la sua funzione.

    Lucrezia Ciocci

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  9. Maria Domenica Padovano22 ottobre 2012 alle ore 20:32

    Ho svolto la mia analisi sotto due diversi aspetti:
    Il primo riguarda una riflessione a mio avviso interessante circa il linguaggio giuridico nelle lingua italiana, così come in quella spagnola e francese, nella quale convivono due diverse radici: una derivante dal latino medievale “directus” (come ha già spiegato Angelica) e l'altra dal latino classico “ius” (che deriva dal verbo “iurare” e indica all'origine un pronunciamento sacro con cui si interpreta il volere degli dei e quindi la “iustitia”. Ritroviamo la radice ius nelle parole giudizio, giudice e nei suoi derivati giurisdizione, giurisprudenza).
    A mio avviso questo dualismo potrebbe sottolineare il legame tra l'idea di diritto come regola e lo scopo di giustizia. La regola per essere diritto deve essere percepita come giusta, o almeno come accettabile ricerca di giustizia, dai suoi destinatari. Una regola iniqua, che strida con il sentimento di giustizia, fa nascere sempre un problema di riforma: la lotta per la giustizia diventa sempre lotta per il diritto (Jehring).

    Il secondo concerne più da vicino la regula iuris. La sua elaborazione è esempio della natura creativa dell'interpretatio doctorum: infatti l'assioma di Paolo ( D.50,17,1 Regula est, quae rem quae est breviter enarrat. Non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat. Per regulam igitur brevis narratio traditur et, ut ait Sabinus, quasi causae coniectio est, quae simul cum in aliquo vitiata est, perdit officium suum), secondo il quale la regola è meramente ricognitiva del diritto già esistente e quindi di per se inidonea a produrre diritto, viene capovolto dalla glossa accursiana dove si sostiene che è la regola a produrre diritto (anche se è da ricordare, ancora una volta, l'errore di copiatura causa coniuctio/causae coniectio che ha probabilmente favorito l'idea che la regula avrebbe collazionato fattispecie diverse, ma aventi la medesima ratio iuris).
    Bartolo da Sassoferrato consegna poi ai posteri una teorica della regula iuris: commentando il frammento paolino, dopo una precisazione riguardo al termine regola, che può essere intesa anche in un'accezione diversa da quella giuridica, si domanda come venga costituita una regula iuris.
    Questa è formata da asserti universali (es. tutti, nessuno), da asserti indefiniti (es. femmina servo, figlio) e anche da elementi “aggettivi” come quando si utilizzano le locuzioni quis, qui che denotano significato universale e non particolare.
    Da questa brevissima “storia” della regula iuris si possono già notare le sue due funzioni: da una parte è chiarificatrice del diritto positivo e dall'altra costituisce la base di un suo superamento in forza di un ragionamento sillogistico. Per chiarire meglio e usare un'espressione che mi ha colpito “la regola sembra porsi come un Giano bifronte volto insieme al passato e al futuro: custodisce e chiarisce il diritto positivo e insieme può prepararne il suo superamento proprio in quanto inserita nel novero delle argomentazioni dialettiche” (Andrea Padovani).

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  10. Paola Palmieri

    Ho trovato molto interessanti e completi i commenti di Giulia e Alessandro riguardo il primo quesito che ci ha posto, quello relativo al significato del termine latino coniectio, ma avendomi tale questione incuriosito fin dalle lezioni passate ho deciso di procedere ad una mia ricerca personale. Dopo aver consultato il sito da lei proposto, ho utilizzato come strumento il mio vecchio dizionario di latino del liceo, sotto la voce coniectio come primo significato si trova “getto” e “lancio (di dardi)”, ma il significato che ritengo meglio si adatti all’ambito giuridico è quello di “confronto” utilizzato da Cicerone nelle orazioni in Verrem. Tale termine è stato usato diverse volte dall’autore latino nelle sue orazioni, come esempio possiamo riportare la Pro P, Quinctio, Pro L. Flacco, Pro Q. Roscio comodeo, Pro A. Caecina; inoltre lo ha utilizzato più volte nel De Divinatione con il significato di “interpretazione”. Mi ha particolarmente colpito trovare come ultimo significato il termine “ricapitolazione” indicando come fonte proprio il discusso passo del Digesto di cui abbiamo trattato a lezione, probabilmente per rendere chiara la traduzione ed evitare la confusione sorta intorno ad esso in epoca medioevale. Infatti, mentre nella Vulgata e nella maggior parte dei manoscritti del Digesto troviamo la locuzione causae coniuctio, su cui i glossatori basarono la loro riflessione sulla regula iuris; nella Littera pisana florentina vi è la versione più affidabile di causae coniectio e questo termine rimandava ad una precisa figura retorica “che sotto il nome di causae coniectio rappresentava quel breve riassunto del tema svolto dall’oratore, inserito sia all’inizio, sia alla fine del discorso, per lascar meglio impressi nella mente degli ascoltatori il tema trattato e gli argomenti addotti.”
    I due termini di coniectio e coniuctio hanno due radici diverse (anche per rispondere a Giulia Onesti che lo aveva domandato): coniectio viene dal verbo conicio, mentre coniunctio viene da coniungo.
    Conicio(is, ieci, iectum, ere) significa “gettare, scagliare, spingere, rivolgere, gettare addosso”, in senso figurato indica “mettere insieme nella mente” e quindi “congetturare, presumere”, la sua etimologia è con- + iacio.
    Coniungo(is, iunxi, iunctum, ere) significa, sia in senso materiale che figurato, “collegare, unire insieme, congiungere, connettere, stringere (in matrimonio, società etc.)”, l’etimologia e con- + iungo.

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  11. Purtroppo non ho trovato ne in biblioteca ne in formato digitale (gratuito, intendo) il libro di Peter Stein che ci ha segnalato il professore. Tuttavia l'esposizione di Angelica, è stata, a tal proposito, utile come spunto di riflessione. Il mio punto di partenza è stata la semplice domanda posta dal professore : cosa è una regula, anzi cosa è una regOla e cosa evoca in ciascuno di noi questa parola. A chiunque poniamo questa domanda, la risposta è all'incirca sempre la stessa: la regola è una prescrizione, una proposizione che ci indica un comportamento che dobbiamo avere o che è vietato. Dunque la regola è Regola di Condotta.
    Nella nostra analisi però abbiamo visto che la regula è Criterio di Giudizio.
    E mi sono fatta un'altra domanda: il giudice risolve i diversi casi e decide chi ha ragione, ma in base a quali regole? da questo punto, aiutandomi con quello che è stato scritto nel blog e con quello che abbiamo detto a lezione, ho cercato di tirare le fila dell'argomento, provando a individuare delle fasi nella formazione del significato di 'regola'.
    Nell'organizzazione sociale primitiva colui al quale è attribuito il potere di giudicare, cerca la giusta soluzione, senza dover attingere ad alcune regole; egli si basa su costumi, ispirazioni divine, pareri di un saggio. (Nel diritto romano la regola è l'oggetto del contendere.
    Man mano che la società si fa più complessa, bisogna limitare l'ambito di "fonti" a cui il giudice può attingere, si formano così quelle categorie di regole che si possono applicare nel giudizio. Assumono così peso la tradizione giudiziale, cioè le precedenti decisioni, le opinioni di chi ha esperienza giuridica. E queste regole sono poi oggetto di raccolte.
    Per i glossatori regola diventa quel che nasce dalla congiunzione delle norme, e dei casi, congiunzione che ha come presupposto indispensabile la conoscenza di quest ultimi.
    In un sistema giuridico maturo, le regole su cui il giudice deve basarsi nel decidere sono limitate, fanno parte di determinati modi di produzione, sganciati dalla moralità e dai costumi. Regola iuris, la regola del diritto, è quella che si forma in uno dei modi di produzione previsti dal sistema, ed ha carattere generale ed astratto.

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  12. Ho cercato di effettuare da vicino un'analisi della parola ''regula'', anche se non ho potuto fare una ricerca in biblioteca. Pertanto ho cercato del materiale sul web, ho trovato un testo trattante l'argomento, scritto da un'università sudamericana.
    la riflessione sulle regulae iuris si e avviata nel basso medioevo ed è oggetto di studio per tutta l'esperienza del diritto comune ottenendo una sistemazione piu matura nell'età moderna.
    Tutto parte dal giureconsulto Paolo, che appunto ne parla per primo in un frammento del Digesto, il quale dice che è direttamente ricognitiva del diritto stesso e quindi di conseguenza inidoneo a produrlo.
    Il primo a smentirlo totalmente con la sua opinione (opinione tra l'altro che resterà immutata e indiscussa per tutto il periodo del diritto comune).
    Il marchgiano, effettuando prima di tutto un'analisi terminologica, ne deduce che puo essere intesa anche come ''regit et dat ordinem vivendi''; poi, dice che è formata da asserti universali e indefiniti, quindi non particolari. Poi si chiede quale sia la ''potestas regulae'', ed è appunto in tal modo che cambierà il pensiere di tutto il periodo : la regula è da una parte custode del diritto positivo, a dall'altra ne costituisce una base per il suo superamento. Un'idea di regula quindi che è risultato di un'attività interpretativa, un ''eadem ratio'' per piu casi concreti.
    Dall'idea medievale poi di passa all'età moderna, un'età nella quale si cerca di pragmatizzare il diritto comune, ricercando sempre di piu mezzi che portino a garantire un minimo di certezza del diritto.
    Iniziando ad esempio dal commentario di Filippo Decio, egli parte sempre dalla lettura del commento paolino, e risponde notando che l a regola raggruppa molteplici casi aventi la stessa ratio, partendo anche dalla ''causae coniectio''.
    Ma una lettura e opinione pi attenta al frammento del Digesto si ha da parte di Johann Eisermann; per quest'ultimo la regula serve solo a compoendiare il diritto e si puo dire a suo avviso che la regola catoniana è un vero a proprio ius constitutum, produttivo di diritto.
    Molto importante e anche il commentario di un professore dell'ateneo patavino : Gerolamo Cagnolo, con un interpretazione ricca di allegati. egli loda il superamento dell'idea del giureconsulto, con la distinzione del significato del vocabolo regola tra transitiov e intransitivo; nel primo sarà dicharativa, e nel secondo avrà onvece valore normativo.

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  13. SARA ASTROLOGO

    Vorrei ricollegarmi agli interessantissimi commenti di Angelica e Martina sull’etimologia e il significato della regula iuris. Nel terzo capitolo della sua sintesi sul tema “Introduzione alla regula iuris”, Peter Stein parla proprio di questo e della traduzione di regula col greco κανών. Come diceva giustamente la mia compagna la parola regula deriva dalla radice regere, cioè guidare, dirigere, ed è collegata con rectus, dritto, retto,come un pezzo di legno o un bastone. Nella descrizione di Varrone di un aratro, egli usa per descrivere alcune parti dritte dello strumento, la parola regula. Nella terminologia dell’architettura, regula era ogni pezzo dritto di legno o ferro. C’è un esempio nel Digesto del suo uso in questo modo. Ulpiano chiama i dischi di un torchio per olio regulae (si regulis olea prematur).
    Per un’estensione naturale, regula venne ad indicare un righello e così fu un ovvia traduzione del greco κανών che era una misura standard. Cicerone costantemente usa regula, laddove i suoi modelli greci parlano di κανών. Nella sua indagine sulla teoria della coscienza nel “Lucillus”, egli osserva che gli Accademici lo considerano come un dogma che nulla potrebbe essere percepito. Questo disse, era il loro “ regula totius philosophiare, la constitutio veri falsi, cogniti incogniti”. Più avanti nello stesso lavoro egli si riferisce alla regula come quel qualcosa che permette ad un uomo di distinguere cosa è vero da cosa è falso.
    Allo stesso modo nell’etica, regula è uno standard per discernere il giusto dallo sbagliato. Nel “De legibus”, Cicerone stabilisce gli atrributi della legge e dice che questa è la misura di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (iuris atque iniuriae regula). Per una curiosa coincidenza, abbiamo nel Digesto una citazione di Marciano del passaggio con il quale il filosofo Cirippo cominciò il suo libro sulla natura della legge (περί νόμου). La legge, egli dice, dovrebbe essere il κανόνα δικαίων καί αδίκων. E’ piuttosto certo che quando Cicerone parla della legge come iuris atque iniuriae regula, egli sta traducendo da Cirippo.
    Ancora nella dialettica regula è un modo per distinguere gli argomenti veri da quegli falsi. In un passaggio del “Brutus” nel quale Cicerone elogia Servio Sulpicio per il modo in cui ha applicato la sua dialettica per rendere la legge scientifica, la dialettica viene considerata in grado di rendere chiaro ciò che è oscuro e un modo per distinguere la verità dalla falsità (habere regulam qua vera et falsa iudicarentur).
    Inoltre anche parlando degli degli standard del discorso corretto, Cicerone menziona i retorici asiani che ab Atticorum regula absunt (“Orator”). In tutti questi casi, che la materia da lui trattata sia l’epistemologia, l’etica, la dialettica o la retorica, Cicerone usa regula come l’equivalente di κανών, nel senso di misura o standard. Ovunque la parola regula appare nei lavori retorici o filosofici di Cicerone (non ricorre nei discorsi o nelle lettere) può essere tradotta come criterio. In nessun caso egli usa la parola nel significato proprio di regola. E’ evidente che c’è una sostanziale differenza tra uno standard ed una regola, che può essere riconosciuta se uno prova a tradurre regula iuris come “standard della legge”.
    La definizione del dizionario ci dice infatti che per regola si intende una norma prestabilita, codificata e coordinata con altre in un sistema organico. Lo standard è una norma accettata, costituisce un modello di riferimento a cui ci uniforma.

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  14. Io ho preso spunto dal libro che lei ci ha consigliato: “regulae iuris”,di Peter Stein.
    Sono partita dal seguente testo di Giuliano : “ cum legato servo aliquid legatur,dies eius legati quod servo datur non mortis tempore,sed aditiae hereditatis cedit; et ideo impedimento non est regula iuris quominus manumissio legatum debeatur,quia etsi confestim paterfamilias moretur,non in eiusdem personam et emolumentum legati et obligatio iuris concurret.”
    Nonostante questo testo abbia probabilmente subito dei tagli,è verosimile che Giuliano stesse discutendo tre situazioni:
    1- nel suo testamento T. lascia un’ eredità al suo schiavo e lascia in eredità lo schiavo stesso a L. dies cedit viene rimandata e l’eredità è valida.
    2- nel suo testamento T. lascia un’eredità al suo schiavo e lo manomette con lo stesso testamento. dies cedit è rimandata e il lascito è valido.
    3- nel suo testamento T. lascia un’eredità al suo schiavo e in eredità lo schiavo stesso a L.,ma prima che T. muoia manomette lo schiavo. In questo caso se T. fosse morto subito dopo aver fatto testamento,la situazione sarebbe stata come nel caso 1,dies cedit è rimandata e l’eredità è valida.
    Giuliano ha discusso il caso di manomissione durante il periodo della vita del testatore e dice che, in quel caso, non si applica la regola di diritto nella quale un lascito non è dovuto ad uno che è stato manomesso.
    Giuliano sta pensando ad una quarta situazione,dove T. ,nel suo testamento, lascia l’eredità al suo schiavo,non gli dà contestualmente la libertà,ma in seguito ,prima che muoia,manomette lo schiavo. Se T. è morto immediatamente dopo fatto il testamento,e prima di manomettere lo schiavo,il suo erede sarebbe diventato padrone dello schiavo e avrebbe perciò avuto titolo di ottenere ogni beneficio ( emolumento),acquisito attraverso lo schiavo.


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  15. Assumendo che l’eredità sia per damnationem,l’erede sarebbe stato quindi obbligato a pagare a se stesso il lascito. Essendo questo impossibile,l’eredità fallisce.
    Quindi la regula iuris che Giuliano cita è la regola di Catone , la quale previene la manomissione postuma dello schiavo,evitando la “rivitalizzazione” del testamento.
    Questa discussione mostra quanto la regola catoniana fosse connessa con l’argomento della monomissione. La sua designazione come regola comportava che era generalmente applicabile a casi di eredità di schiavi manomessi. e alcuni giuristi,guidati da Sabino,hanno contestato questa nozione.Il loro principale argomento è contenuto in d.50.17.
    La decisione di Catone viene chiamata regula; ma dopo tutto che cos’è una regula? non è differente da una definitio. E’ una piccola affermazione della materia in questione,che in questo caso è la legge esistente. La legge non è derivata dalla regula; piuttosto è la regula che è derivata dalla legge esistente.(“Regula est quae rem, quae est, breviter enarrat: non ut regula ius sumatur, sed ex iure, quod est regula fiat. Per regulam igitur brevis rerum narratio traditur, et [...] quasi causae coniunctio est: quae simul in aliquo vitiata est, perdit officium suum.”)Una regula è uno strumento conveniente quando un’affermazione sommaria della legge può essere passata ad altri ( traditur), ma non ha più alcuna validità in se stessa rispetto ad una ricapitolazione(coniectio causae).
    Questo era un vocabolo tecnico di procedura, che descriveva parte del secondo stadio in una legis actio quando le parti apparivano davanti al iudex. Prima di presentargli il loro caso in dettaglio,dice Gaio,questi gli presentavano il loro caso in una descrizione sommaria ( per indicem), che si chiamava CAUSAE CONIECTIO, perché era un breve raccoglimento dei fatti rilevanti( quasi causae suae in breve coactio).
    Se la causae coniectio era insufficiente anche solo in un punto ,era completamente inutile , perchè la corte invece di essere in grado di poter raggiungere subito una decisione sul caso ,doveva procedere al prossimo stadio dell’azione, nella quale la questione era sottomessa in extenso. In una tale situazione la causae coniectio falliva nel servire il suo proposito: cioè quello di presentare al iudex l’immagine generale. Similarmente se una proposizione che aveva il proposito di declarare lo stato della legge si rivela inaccurata in un particolare,ha perduto la sua ragione di essere. Non c’è nulla da fare tranne che andare attraverso l’intera questione passo dopo passo.
    Il punto di vista personale di Sabino è il seguente: la regola= definitio=enunciazione dei fatti ( rerum narratio); se confligge con i fatti non ha più alcun valore. Javolenus,capo della scuola a Sabinia,alla fine del I sec a.c,sostiene la stessa tesi in modo meno diretto: D.50.17 “omnis definitio in iure civili periculosa est;parum est enim ut non suvverti potest”. Tutte le definizioni sono pericolose;perché danno l’impressione di avere un’applicazione generale e di coprire tutti i casi ,quando in realtà non lo fanno.

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  16. Daube ha scritto che nel libro XI delle sue epistolae,javolenus ha discusso la lex iulia e papiniana, che restringevano i benefici che le persone non sposate e senza prole potevano avere attraverso il testamento e che è nel contesto di queste leggi che Celso discute l’operazione della regola catoniana, che anche lui descrive come definitio.
    E’ perciò molto probabile che l’osservazione di javolenus fosse mirata specificatamente alla catoniana ed era parte di una campagna contro quella regola.
    E’ anche significativo che javolenus non esprima sfiducia sulle regole legali in generale,ma soltanto di quelle in iure civili, ad esempio quelle che sono il prodotto di discussioni giuridiche.
    La poca chiarezza delle definizioni era una cosa comune tra i grammatici. Varro dice che la gran parte delle definizioni non vengono capite facilmente,tenendo conto della loro estrema brevità,a meno che non vengano approfondite punto per punto.
    Forse javolenus potrebbe essere d’accordo su questo aspetto.
    I punti di vista sulla natura delle regole giuridiche espresse da Sabino e j. nella sua discussione sulla regola di Catone,erano condivise da tutti i giuristi. Perfino lo stesso Labeo non si riferisce direttamente alla regola di Catone in ogni testo che ci è giunto,ma è probabile che considerava che questa avesse una applicazione più estesa di quanto non pensasse Sabino.
    Gaio riporta che i proculiani generalmente assumevano la linea dura sull’applicazione della regola per le eredità lasciate ad uno schiavo dell’erede,ritenendo che tali eredità erano negative in tutti i casi ,mentre i sabiniani consideravano le eredità condizionate valide.
    I proculiani erano costretti a riconoscere l’esistenza di un numero di eccezioni alla regola di Catone.
    Celso,un leader dei proculiani,cita la regola catoniana e aggiunge che in alcuni casi non è applicabile. Ad una prima occhiata questa sembra essere un’altra maniera di presentare il punto di vista di Sabino,secondo il quale se una regula è sbagliata in qualche cosa,è viziata; c’è comunque una differenza di enfasi tra dire che qualsiasi eccezione vizia una regola,che a quel punto perde il suo officium( come dice Sabino ) e citare la regola,ma aggiungendo che in certi casi è falsa,cioè non corrispondente ai fatti( come dice Celso).
    Questo secondo punto di vista accetta che se non ci fossero questi casi, la regola avrebbe comunque del valore. E’ simile al punto di vista di quei grammatici che pensavano fosse sufficiente se un canone di inflessione era applicabile nella maggior parte dei casi;un’opinione che è stata criticata da sextus empiricus.
    Secondo questa visione, una regula , nonostante l’esistenza di eccezioni,non è solo un’affermazione neutrale dei fatti; è normativa. a meno che l’eccezione possa essere giustificata e si applica a tutti i casi che ricadono all’interno del suo principio.
    La differenza tra i due modi di considerare la regula,è riflessa in d.50.17.1-
    La terza frase parla di regula come una narratio,una mera affermazione dei fatti e che senza dubbio è il significato che intendeva Sabinus.
    La prima frase invece ,probabilmente di Platius,usa la parola enarrare. Questa parola,che nella letteratura legale incorre solo in questo testo,è normalmente tradotta come expound relate, esposto, correlato, ma ha un significato più profondo,che denota non solo l’esposizione ma anche l’interpretazione. ...
    Quintiliano afferma che “ una regula che enarrat,non è solo un riassunto della legge; mostra il suo significato nascosto e ne dà una certa tendenza”. attraverso la scelta di parole di cui è composta,accenna alla ratio, il principio,o la politica della legge.

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  17. Quando le regule sono diventate popolari,enarratio venne riconosciuta come una delle sue funzioni.
    Regulas enim exsequenti mihi ad ea studia necessarium ante omnia scire. nec enim uniuns sunt condicionis,sed varie: quae per singula,quae pertinent ad eam enarattionem,referenda sunt per ordinem.
    Il frammento è un estratto legale,forse una collezione di regule scritta da un giurista della seconda metà del secondo sec. a.C.
    Forse l’ autore originario è Gaio che in una discussione afferma , in un testo
    non traducibile, ma il cui senso generale è chiaro, che la cosa più importante per lo studente è conoscere le regule, ma deve realizzare comunque che esse non sono tutte nella stessa forma. Gli viene suggerito perciò di lavorare sistematicamente attraverso i differenti punti che sono rilevanti alla loro enarratio.
    Concludiamo quindi che il termine regula è stato introdotto per descrivere alcune definitiones che erano considerate avere applicazione generale.
    Alcuni giuristi, seguendo la guida di Labeo,hanno riconosciuto che la formulazione di tali regule era più che un neutrale affermare i fatti. Con questa scelta di termini,il giurista che ha formulato la regula ha dato un suo contributo positivo. Egli può portare alla superficie il principio implicito della regola, che prima avrebbe potuto rimanere inespresso. Una volta affermata,la regola si applicava a tutti i casi all’interno del suo principio,a meno che un’eccezione non fosse provata e riconosciuta nella pratica.
    Altri giuristi, guidati da Sabino,affermano che anche se chiamata regula o definitio,una regola giuridica era semplicemente un riflesso dello stato attuale della legge e non aveva alcuna forza normativa indipendente.
    Il contrasto tra i due punti di vista è rimasto latente nel periodo classico.
    Zobeideh Hadavi





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  18. Alessandro Caviglia - Corrado D'Eletto - Marco Cavallotti26 ottobre 2012 alle ore 00:36

    Buonasera Professore, sulla questione relativa alla trattazione degli argomenti per l'esposizione orale e la divisione in gruppi vorremmo comunicarle che approfondiremo il tema del passaggio dal metodo dialettico al metodo sistematico con particolare riferimento ai seguenti argomenti:
    - influenza della dialettica nella Concordia discordantium canonum, nelle quaestiones e nei brocardi; [Alessandro]
    - le cause ( a partire da Aristotele) e la figura di Giovanni Bassiano; ricerca delle rationes; [Corrado]
    - Pierre de Belleperche, Cino da Pistoia - mos italicus e mos gallicus iura docendi. [Marco]

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    1. * Corrado D'Eletto (Nel campo riservato al nome non è stato riconosciuto l'apostrofo)

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  19. A proposito della regula iuris, il Calasso conferma che si tratta di un processo logico molto vicino a quello definitorio, sin dagli antichi tempi del Digesto, il quale si chiudeva appunto con un titolo (D. 50,17) “de diversis regulis antiqui” e argomento toccato anche da piccoli trattati comparsi agli inizi della scuola di Bologna (quale il Libellus de verbis legalibus). In un primo momento la regula era elaborata solo isolando alcune parole del testo, facendone derivare dunque un testo immobile e sganciato dalla realtà che la formulazione iniziale aveva ad oggetto; in questo testo mutilato doveva rinvenirsi poi la causae coniectio, giustificazione intrinseca di quella che era considerata la brevis rerum narratio, così come descritta da Paolo nel titolo del Digesto di cui sopra (“Regula est, quae rem quae breviter enarrat. Non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat. Per regulam igitur brevis rerum narratio traditur, et, ut ait Sabinus, quasi causae coniectio est, quae simul cum in aliquo vitiata est, perdit officium suum”). Il processo si evolve con l’avvento dei glossatori, i quali si impegnano a cercare veramente la definizione dei dogmata, cioè quei principi sopra i quali ogni scienza è correttamente costruita (come afferma Azzone del suo proemio alle Institutiones); questa esigenza di ricerca è così forte che vengono formate delle raccolte di regulae, le quali prendono il nome di brocarda.
    Anche riguardo ai dogmata la questione è controversa, ma partendo sempre dal punto di vista del Calasso, vediamo che anche questa è una categoria statica, criticata per la sua distanza dalla realtà socio-politica in continua evoluzione. I giuristi del XI e XII secolo continuavano a vedere le norme come pezzi staccati l’uno dall’altro, a formare un corpo artificiale, cui la società reale doveva adattarsi. E’ a partire da questo periodo che inizia a formarsi un’idea di diritto positivo, imposto e contrapposto al diritto naturale?
    Martina

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  20. Gentile Professore
    per quanto riguarda la prova di novembre, volevo informarLa che svolgerò il lavoro individualmente trattando l'evoluzione della servitù personale e la questione del rapporto di servitù quale diritto reale/diritto di credito.
    Cordiali saluti
    Martina Arisi

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  21. Salve Professore
    per quanto riguarda la prova di Novembre, volevo informarla che avevo pensato di fare una tesina scritta approfondendo l'argomento accennato a lezione sulla nascita della professione legale e facendo espresso riferimento al libro di James Brundage. Cordiali saluti Marco De Simone

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