Giovedì 22 aprile 2010, ore 16.00, Biblioteca del Senato della Repubblica
Roma – Piazza della Minerva, 38
Tavola rotonda sul volume
Sistemi di eccezione
a cura di Massimo Vallerani
(“Quaderni storici”, 131, 2/2009)
Ne discutono con il Curatore e altri collaboratori al volume
Italo Birocchi (Università di Roma, “La Sapienza”)
Sandro Carocci (Università di Roma, “Tor Vergata”)
Emanuele Conte (Università “Roma Tre”)
Michele Spanò (EHESS di Parigi)
Introduce
Sara Menzinger (Università “Roma Tre”)
Credendo di fare cosa utile a coloro che giovedì non sono potuti venire alla Biblioteca del Senato, riportiamo qui di seguito, sebbene in sintesi, quanto detto alla Tavola rotonda sul volume, curato da Massimo Vallerani, “Stati di eccezione”. Parlare di eccezione, nel linguaggio comune del diritto processuale, ci porta inevitabilmente a considerare l’istituto come quel fatto giuridico che, introdotto nel processo, estingue, modifica o impedisce l’efficacia dei fatti su cui si fonda la domanda di chi ha esercitato l’azione. Tuttavia, il volume n.131 di “Quaderni storici”, al centro della discussione e delle critiche del convegno introdotto da Sara Menzinger, ci mostra come sia possibile parlare di eccezione in senso più ampio, come sospensione, deviazione ed evasione dalle regole stabilite da un dato ordinamento politico o giuridico e che, posta in contrapposizione dialettica con la norma, concepisce la sua essenza nel rapporto con la regola. Tale rapporto risulta però strettamente delimitato dal principio di legalità e dalla marcata separazione tra “stato di diritto” e “stato d’eccezione”, che in realtà è la costante dicotomia tra politica e diritto. Su questa distinzione Carl Schmitt elabora il suo paradigma identificando il potere con il “potere di imporre uno stato di eccezione” privo di norme, in cui l’egemonia del sovrano acquista la valenza di una decisione ultima ed eccezionale, in grado di realizzare quella sospensione, definita da Giorgio Agamben, “fictio iuris”. Per Sandro Carocci (Università di Roma, “Tor Vergata”) a far da cornice a tutto il volume vi è la relazione tra le forme di dominio e le vicende umane. Dopo aver sottolineato il carattere sistemico dell’eccezione fondata sui concetti di discrezionalità ed arbitrium del potere, analizza il suo concreto utilizzo, allo scopo di un ipotetico cambiamento istituzionale. Il Carocci, richiamando la relazione di Milani contenuta nel testo, riconosce nel XIII secolo il momento in cui nasce il principio di uguaglianza dei cittadini, sulla spinta di un enfatizzato sentimento di ribellione nei confronti delle istituzioni comunali, che in quel periodo divennero lo scenario più appropriato per il proliferare delle eccezioni. Esse diventano pertanto un elemento costituente, creativo di un sistema che in parte vuole superare il potere sancito dal diritto positivo.
RispondiEliminaMichele Spanò (EHESS di Parigi), analizzando tutti i saggi del volume, ha individuato due poli comuni, che ha interpretato in chiave filosofica : l’uno è l’epistemologia della storia e l’altro è l’analitica del potere. Spanò discute del primo punto considerando alcune posizioni filosofiche sull’ eccezione. Ad esempio, ricordando Agamben, ritiene non accettabile la sua teoria dell’eccezione, perché dicendo che “lo stato di eccezione è uno spazio essenzialmente vuoto in cui un’azione umana senza rapporto con il diritto propone una norma senza rapporto con la vita” ci offre un’immagine troppo statica e metafisica dell’istituto. Invece in Yan Thomas, per Spanò, troviamo una stabilizzazione dell’eccezionale, cioè un intrusione del generale nel singolare all’interno del caso in cui “straordinario” ed “ordinario” si congiungono. In poche parole, un caso estremo s’instaura come ipotesi costante e finisce per perdere la sua singolarità. Per quanto riguarda l’analitica del potere, Spanò costruisce una sorta di genealogia strutturale, cioè ricerca dei legami di parentela che meglio riescano a spiegare questo secondo polo. E dei collegamenti Spanò li trova effettivamente in “Procedure di Giustizia”, un altro fascicolo di “Quaderni storici”. Le procedure si presentano come il laboratorio di invenzioni tecniche giuridiche che eccezionalmente trasformano la realtà. Per Spanò sono come delle “cerniere porose”, nel senso che, da una parte impongono dei vincoli, ma dall’altra aprono spazi di agibilità che rendono possibili comunicazioni tra le pratiche sociali e le istituzioni.
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Ecco dunque che lo strumento dell’eccezione non è più qualcosa di accessorio, ma un elemento strutturale e più precisamente una tecnica di governo. Italo Birocchi (Università di Roma, “La Sapienza”), invece, accostandosi alla lettura del volume, ha notato che tutti i saggi in esso contenuto non parlano mai unitariamente di eccezione e ritiene dunque senz’altro felice la scelta del curatore di aver unito elementi tra loro diversi, come la specialità e la proprietà, in sistemi fondati sulla molteplicità. Più che sul tema dell’eccezione entro un dato sistema, Birocchi si è concentrato sul fenomeno della formazione dell’eccezione, e precisamente sul rapporto tra fatto e diritto. Richiamando un noto brocardo “ Ex facto oritur ius”, Birocchi ci dice che il diritto pretende sempre di regolare il fatto, ma al contempo ha anche l’ambizione di recepirlo. E’ inevitabile che da questo rapporto il diritto ne esce in qualche modo modificato secondo un processo continuo e selettivo. Il Professore ricorda poi De Luca e la sua insistente affermazione che troviamo in molte sue opere: “In questa materia (diversa di volta in volta) non si può indicare una regola, ma occorre valutare le circostanze”. De Luca con ciò non voleva dire che mancava una regola, ma che la stessa applicabile andava individuata in base alla valutazione dei fatti e delle circostanze. In definitiva, per Birocchi, sono dunque due i punti, legati tra loro, da mettere in evidenza: i fatti che premono per diventare diritti ed esprimono rapporti di forza (es: la consuetudine) e i fatti che s’inseriscono sempre in un quadro normativo dato. Secondo il nostro Professore, Emanuele Conte, infine, è proprio nella storia del diritto in generale e in particolare in quella medievale che si precisano tanti istituti giuridici che disciplinano l'eccezione. Ad esempio, le forme del privilegium, dell'immunitas, della dispensatio, del provvedimento del sovrano per rispondere ad una supplica, non sono altro che elementi tecnici che danno veste giuridica all'eccezione. Aldilà di questi strumenti, richiamando Massimo Meccarelli, Conte ci dice che inizia l’arbitrio del sovrano dove la disciplina giuridica passa nel campo della teologia. In tal senso si può comprendere la famosa affermazione di Schmitt sulla sovranità che non fa altro che secolarizzare i concetti teologici. Nei saggi che confluiscono in questo volume, è evidente notare, per il nostro Professore, che il diritto della Chiesa sia quello che meglio degli altri risponde alla domanda del carattere giuridico dell'eccezione. Si sa che questa centralità del diritto canonico avviene durante la riforma gregoriana.
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Gregorio VII infatti, da una parte raffigura il pontefice con un potere che va aldilà del diritto, dall'altra intende costruire la Chiesa come una società sottoposta ad un regime giuridico, cioè come un sistema legalitario. Questa ambiguità della Chiesa dunque si fonda sul contrasto tra arbitrio e legalità che, per il Prof., non solo è la chiave di lettura dell’intero volume, ma in generale è un po’ il caposaldo della storia della tradizione occidentale. Ecco dunque che le due visioni ecclesiastiche, l'una legalitaria e l'altra pastorale, s’intrecciano e si traducono, per usare le parole del Napoli, negli strumenti della legge e della misura. Questa duplice ambiguità sovrintende un mutamento dell’ordinamento che nel Medioevo si esplica in un intervento del legislatore il quale, dotato di plenitudo potestatis, può emanare anche disposizioni contra legem. In questo senso, il saggio di Sara Menzinger sul ruolo di rinnovamento dell’ordinamento e sulla dottrina al servizio del potere che reagisce in base ad esigenze politiche, sembra, al Professor Conte, incentrato non tanto sull’eccezione, ma sulla regolarità del sistema giuridico che prevede un mutamento sia da parte del legislatore che da parte dei giuristi che fanno rientrare il non previsto in una dimensione legislativa grazie al meccanismo dell’interpretazione. Altri casi non così eccezionali, il nostro Professore, li ha individuati anche nel saggio di Massimo Vallerani come ad esempio suppliche di cittadini che propongono al principe interventi per rendere commerciabili beni che non lo sono. Alla fine Conte conclude il suo intervento, a nostro avviso riassuntivo dell’intero dibattito, con un prezioso consiglio rivolto a tutti gli storici i quali devono necessariamente stare attenti a non aprire tutte le porte con la stessa chiave distinguendo l’eccezione dall’interpretazione con l’aiuto dello strumento della tecnica giuridica.
RispondiEliminaLaura Infante e Alessandro Serrani.