Il diritto canonico e la repentina diffusione del Decretum
Il diritto canonico andava sviluppandosi di pari passo a quello civile. Tant'è che i cronisti del tempo, come sottolinea Cortese nel suo testo, affiancavano la figura di Irnerio a quella di Graziano. Le collezioni canoniche ai tempi della riforma gregoriana si susseguivano repentinamente, alla ricerca di una stabilità della norma "religiosa" in un momento in cui la chiesa stava rendendosi conto dell'enorme strumento rappresentato dal diritto. Ma nessuno avrebbe mai pensato all'epoca di poter unificare le discipline e promulgare un unico codice valido per tutti. Graziano dal canto suo è il primo promotore di questa unificazione la sua opera infatti ebbe enorme diffusione tanto da essere studiata e diffusa in tutta europa. Il suo intento era quello di cercare un'assonanza nelle dissonanze della tradizione canonica: pubblicò infatti Concordia discordantium canonum meglio conosciuto, poi, col nome di Decretum. Tuttavia la sua impostazione non era del tutto nuova, ma era l'eco del lavoro di Abelardo. Quest'ultimo aveva inaugurato il metodo di mettere a confronto i passi contraddittori dei padri della chiesa, aprendo la strada alla lettura critica delle fonti. Non solo l'opera di Graziano non era del tutto innovativa, ma poteva apparire come l'ennesima raccolta di norme -seppure costellata di Dicta dell'autore- e di scarsa rilevanza (Le Bras, maestro del diritto canonico, lo definiva un compilatore di mediocre ingegno). Resta quindi da capire perchè questo testo ebbe la trionfale diffusione che conosciamo. Alcuni ritengono che il suo successo sia dovuto all'approvazione di papa Eugenio III che l'avrebbe fregiato della dicitura ius canonicum. Questa ipotesi non convince in quanto il Concordia è un iniziativa del tutto privata, e soprattutto nel XII sec. non si poneva il problema di far discendere l'efficacia della norma dall'approvazione di un legislatore. Ma allora cosa permise al Concordia discordantium canonum di diffondersi così rapidamente e di diventare il fondamento del diritto canonico? Sicuramente ha influito il fatto che entrò subito nel giro delle scuole, per altro ad opera stessa di Graziano che creò intorno ad esso un insegnamento. I suoi discepoli s'adoperarono infatti a migliorare forma e testo della Concordia, colmandone le lacune. Non a caso l'ingresso di testi legislativi romani è da imputare a interpolazioni successive, che Graziano aveva perlopiù tralasciate. L'ingresso di fonti civili ha permesso che il diritto canonico si distaccasse sempre più dalla teologia avvicinandosi al diritto in senso stretto.
Le Quinque Compilationes Antiquae: La prima Compilatio antiqua è dovuta a Bernardo Balbi di Pavia. Studente e poi professore di diritto canonico a Bologna, completò l'opera presumibilmente intorno al 1191, poco prima di diventare quell'anno stesso vescovo di Faenza. Legato ancora ai metodi della decretistica, non si contentò di aggiornare Graziano con una silloge di nuovo materiale pontificio, ma si preoccupò altresì di completarlo con vecchio materiale, canoni di concili, frammenti di scritti patristici e persino leggi germaniche e romane. Da buon professore, curò l'ordine sistematico della propria opera e la distribuì in 5 libri secondo lo schema rappresentato nel verso iudex, iudicium, clerus, connubia, crimen, schema poi adottato in tutte le collezioni successive. Non contento, dedicò alla propria raccolta anche una summa, segno che l'adoperava nella didattica. Nella scuola infatti l'opera ebbe glosse e un importante apparato di Riccardo Anglico. Proprio nella scuola l'esigenza di nuove compilazioni si riaccese presto e molte vennero alla luce per iniziativa di professori (l'inglese magister Gilberto radunò tra il 1202 e il 1203 decretali di Alessandro III e di Innocenzo III. Alano, anch'egli inglese era autorevole professore bolognese quando, intorno al 1206, compose la propria raccolta che in seguito migliorò e adottò nella scuola. Lo spagnolo Bernardo Compostellano, detto l'Antico per distinguelo da un successivo omonimo, fu presumibilmente professore bolognese ma nel 1208 redasse a Roma una collezione detta, appunto, Romana), ma ebbero vita breve. Fu all'inizio del nuovo secolo che intervenne la grande novità dell'intervento diretto del legislatore canonico: Innocenzo III, produttore anche lui instancabile di decretali, fece redigere nell'estate del 1209 e pubblicare nel tardo 1210 una collezione delle proprie norme alla quale impresse, per la prima volta nella storia della Chiesa, carattere ufficiale. (Si dice che Innocenzo III inaugurò il metodo della "promulgazione" mediante trasmissione delle collezioni normative agli Studia. In realtà si dovrebbe parlare tecnicamente piuttosto di "pubblicazione", la bolla Devotioni vestrae del tardo 1210, con la quale il pontefice trasmise l'opera alla scuola bolognese, si limitava infatti ad autenticare le decretali garantendo che il loro testo corrispondeva a quello dei registri della cancelleria papale). La conosciamo come la terza Compilatio Antiqua, (la redazione fu affidata a Pietro Collevaccino di Benevento, forse ex maestro bolognese, allora notaio apostolico e due anni dopo cardinale) ma fu, dal punto di vista cronologico, la seconda. Si diede a quella ch’era in realtà la successiva il numero ordinale precedente, chiamandola seconda, solo perché conteneva materiale anteriore, qualche testo antico e decretali degli immediati predecessori d’Innocenzo III. La redasse Giovanni di Galles, professore inglese che aveva cattedra a Bologna, tra il 1210 e il 1215 (probabilmente fu compiuta entro il 1212) e rimase collezione privata. ... Continua...
...Vedi sopra... A breve distanza di tempo il grande evento del IV Concilio Lateranense del 1215 sollecitò la Compilatio Quarta. La compose Giovanni Teutonico, già glossatore del Decreto, e la presentò a Innocenzo III, poco prima della morte del Papa nel luglio 1216, per averne l’approvazione. Ma non l’ebbe e l’importante raccolta venne alla luce tra la fine del 1216 e l’inizio del 1217 come opera privata. Vi erano contenuti quasi tutti i canoni del IV Concilio Lateranense da poco concluso e qualche altra decretale di Innocenzo III, un materiale troppo succoso perché la scuola, che malgrado l’autorità di Giovanni Teutonico aveva esitato ad accoglierla, alla fine non l’adottasse e corredasse di apparati. Il Concilio Lateranense IV era innestato su vicende cruciali nella storia del tempo: lo sgretolarsi del Regno latino di Gerusalemme dopo la caduta della capitale nelle mani del Saladino nel 1187, aveva rinfocolato aspirazioni di rivincita e il concilio aveva preannunciato la nuova crociata voluta da Innocenzo III; per di più la precedente crociata, essendosi fermata a Costantinopoli e avendo sostituito nella primavera del 1204 l’Impero greco ortodosso con un Impero latino cattolico, (entrati una prima volta a Costantinopoli nel luglio 1203 i crociati ne furono scacciati nell’ottobre, vi rientrarono nell’aprile dell’anno successivo e smembrarono l’Impero bizantino. Baldovino conte di Fiandra assunse nel maggio la corona di quell’Impero latino di Costantinopoli che durò quasi un sessantennio, fino al maggio del 1261) aveva di fatto consentito la temporanea riunificazione delle due chiese (considerata da Roma come un’annessione) che richiese la doppia redazione in latino e in greco dei canoni conciliari. Poi vi si erano discusse la deposizione dell’imperatore Ottone IV e l’assunzione al trono di Federico II, l’eresia albigese e il comportamento dello scomunicato Raimondo di Tolosa che la sosteneva, le dottrine di Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese “di profetico spirito dotato” che fu colpito da severa, postuma condanna. E quanto alle disposizioni più specificamente canoniche, le norme erano state predisposte da Innocenzo III e lette all’assemblea, avevano quindi sostanzialmente la natura di decretali “pubblicate” nell’ecumenica adunanza. Dopo la morte di Innocenzo III la produzione di decretali rallentò un po’, ma non tanto da impedire che 10 anni dopo il successore Onorio III promulgasse, nel maggio 1226 la quinta e ultima delle Compilationes antiquae: della sua redazione aveva incaricato Tancredi, maestro di diritto canonico e proprio da quel 1226 arcidiacono della cattedrale di Bologna; a Tancredi, che in quanto arcidiacono era cancelliere dello Studio in virtù di una bolla del 1219, rimandò il codicetto per la pubblicazione nella scuola. (la mandò forse anche a Padova a un magister Martino. La bolla di accompagnamento, datata 2 maggio 1226, una voltà di più era diretta a garantire l’autenticità del testo delle decretali).
In questa nostra prima lezione sul Diritto Canonico e sul Corpus Iuris Cnaonici, si è fatto un brevissimo accenno a importanti Papi che seguono l’opera di Gregorio VII: Dictatus Papae, la quale apre la stagione della Riforma Gregoriana, riassumendo i termini dottrinali del Primato del Pontefice, nella loro interezza e complessità. Ricordiamo che il Dictatus Papae non è un documento ufficiale della Chiesa, pur tuttavia essendo il simbolo della prospettiva Gregoriana che pone appunto le basi delle grandi affermazioni del papato nei secoli XI – XII, ma anche delle grandi crisi dapprima con il potere Temporale e l’Impero, poi all’interno della stessa chiesa. Il Pontificato stesso, infatti, risente, come tutti i poteri, di una conflittualità che sfiora le sue strutture portanti( i pilastri stessi su cui si regge la Chiesa e la fede sono messi in dubbio da più parti). Abbiamo in aula appunto fatto riferimento, tra i tanti, a Papa Innocenzo III e a Papa Bonifacio VIII, il primo dei quali è padre delle tesi sulla subordinazione del temporale allo spirituale, le quali tesi porteranno all’asserzione dell’ Unam Sanctam di Bonifacio VIII(1294-1303), secondo il quale il riconoscimento del primato papale è necessario per la “salvezza individuale”. A tal proposito credo sia rilevante ricordare il ruolo fondamentale e insostituibile che in quell’epoca aveva la Fede e dunque l’immagine e le funzioni che arriva ad avere in quegli anni la Chiesa, la quale appunto persegue come finalità quella di condurre l’individuo alla “Salvezza individuale”( quella stessa finalità riconosciuta dunque ai Sacramenti). Per meglio comprendere il grande conflitto tra Chiesa e Impero che imperversava in quel periodo di grandi cambiamenti e comprendere dunque conseguentemente come la Chiesa arriva ad assumere il ruolo fondamentale addirittura al di sopra del sovrano stesso(che doveva occuparsi esclusivamente della sfera temporale, naturalmente subordinata alla sfera spirituale – ricordate l’esempio fatto oggi in aula sulla mancata applicazione dell’istituto del divorzio previsto dal diritto Giustignaneo, ma ritenuto non applicabile poiché avrebbe condotto alla dannazione e dunque non alla salvezza secondo i teologi), vorrei postare un testo tratto dal libro di : Sidney Z. EHLER, Breve storia dei rapporti tra Stato e Chiesa, Vita e Pensiero, Milano 1961:
Il periodo culminante del Medioevo feudale coincide con il grado più alto di autorità raggiunto dal papa nei confronti dello Stato. Facendo leva sulla forza immensa della dottrina teocratica, i successori di san Pietro avevano dato il massimo sviluppo al proprio prestigio. «La Santa Sede - spiegava Innocenzo III ai suoi contemporanei alla fine del secolo XII - sta fra Dio e l'uomo: al di sotto di Dio, ma al di sopra dell'uomo». Il papa non aveva uguale sulla terra. E poiché sia la Chiesa sia lo Stato erano convinti di derivare il proprio potere da Dio, il papa, grazie alla sua concezione della «plenitudo potestatis», si poneva come il supremo depositario d'ogni potere - essendone investito direttamente da Dio - nonché la più alta autorità della terra, le cui decisioni nessuno poteva impugnare o trascurare.
Ma lo Stato, nel frattempo, non era rimasto inattivo. Nuove direttive, su più perfetti metodi di governo, erano state elaborate dalle monarchie feudali, e la prima a metterle in pratica fu la monarchia francese, cui le grandi personalità di Filippo Augusto e di Luigi IX, il santo, avevano impresso, nel corso del secolo XIII, un forte impulso. Le nuove idee dovevano produrre i primi risultati di rilievo nella grande contesa che esplose, fra il XIII e il XIV secolo, fra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, e a cui si ispira la bolla «Unam Sanctam» ricordata nel capitolo precedente. All'origine del conflitto era l'aumento dell'imposta reale sui benefici ecclesiastici in Francia; l'atto fu riprovato dal papa in quanto deciso senza la sua approvazione; d'altra parte, Filippo rifiutò di sottomettersi, sfidando la procedura ierocratica. Ben presto il conflitto assunse sviluppi ben diversi da quanti, nei secoli precedenti, avevano generalmente opposto i papi agli imperatori di Germania nella grande arena politica del sacro romano impero, all'interno del quale non era stato difficile ai pontefici trovare alleati disposti a sostenere con le armi la giurisdizione ierocratica. Infatti, la debolezza di questa sul piano pratico consisteva in ciò: che aveva sempre bisogno di chi la sostenesse, sentenze e pene ecclesiastiche essendo, per loro natura, puramente dichiarative. In altre parole, il loro valore sarebbe stato soltanto morale se nessun esercito fosse poi sceso in campo per costringere i colpevoli all'ubbidienza o, almeno, ad un compromesso. Tuttavia, fino a questo momento, i papi avevano dovuto usare di tali alleanze solo contro gli imperatori di Germania, e le avevano sempre trovate vuoi fra i principi tedeschi continuamente in lotta contro il potere centrale, vuoi fra gli elementi anti-imperiali, sempre presenti sulla scena politica italiana. Ma nel caso di Filippo il Bello la situazione era diversa. Bonifacio VIII si trovò di fronte un sovrano che, grazie ad una politica energica, era riuscito ad imporre la propria autorità a tutti i vassalli ed a guadagnarsi alleati pur nel patriziato romano, avverso al papa. Sono noti gli sviluppi del conflitto, dalla spedizione di Guglielmo di Nogaret in Italia, all'alleanza di questi con i Colonna, all'affronto di Anagni, alla morte di Bonifacio, fino al trasferimento della sede papale ad Avignone. Filippo il Bello non dovette sottomettersi, né cercare un compromesso, e il conflitto ebbe come effetto la decadenza della giurisdizione internazionale del papato. Così, le condanne pontificie pronunciate contro il re furono revocate senza aver sortito alcun effetto di rilievo. Onde da questo momento, la monarchia francese affrontò con maggior sicurezza le sue nuove relazioni con il papato avignonese. Tuttavia, il principio della superiorità papale sul potere civile non aveva subìto alcun indebolimento dall'esito del conflitto tra Filippo e Bonifacio VIII, come non ne risulterà diminuita l'ampiezza durante i settant'anni del soggiorno dei papi in Avignone. Al contrario, i pontefici, lontani da Roma - centro tradizionale della cristianità - sembrarono voler ribadire con rinnovata energia che non avevano rinunciato ad alcuna delle prerogative esercitate nella Città eterna, come capi della Chiesa e della cristianità. Ciò nondimeno, alcune di queste prerogative erano diventate impopolari già prima del periodo avignonese: tra queste, l'eccessiva centralizzazione della curia, la tassazione esorbitante dei benefici in tutti i paesi, e, in generale, la tendenza a nominare i vescovi senza elezioni canoniche. Maggiore impopolarità incontrarono tali prerogative durante il periodo avignonese, essendosene intensificata la pratica.
Per continuare il discorso sulle fonti del diritto canonico, introdotto nell’intervento di Eleonora sulle Compilationes Antiquae, vorrei riportare quanto letto nel libro di E.Cortese “Le grandi linee della storia giuridica medievale” sul Liber Extra di Gregorio IX. Le Compilationes Antiquae erano state un assaggio delle possibilità che offriva la massa delle decretali in vista della costruzione di un ordinamento organico e moderno, ma non erano appunto che un assaggio, un lavoro preparatorio per sua natura incompleto. La pietra di volta di un sistema fondato sulle norme papali fu posta da Gregorio IX. Quest’ultimo non aveva nascosto sin dall’inizio del suo pontificato (1227-1241) di voler fare una nuova, grande collezione di decretali. Era un papa forte, aveva aperto il suo pontificato scomunicando Federico II (per il fallimento iniziale della sesta crociata) e prendendo le redini della lotta contro l’Impero, anche le vesti del codificatore gli convenivano come convengono a tutti i monarchi che sanno lasciare un segno nella storia. Sin dal 1230 incaricò dell’impresa il domenicano spagnolo Raimondo di Penafort, canonista e moralista di grande levatura che per le sue virtù meriterà secoli dopo di essere fatto santo. Le fonti erano tante e disordinate. Non mancavano contraddizioni tra le decretali nuove e l’invecchiato Decreto di Graziano; v’erano disarmonie persino tra le Quinque Compilationes Antiquae che non erano coordinate tra loro e soprattutto, dato che nessuna bolla papale ne aveva riconosciuto l’efficacia esclusiva, entravano in collisione con altre collezioni private nelle quali non si sapeva mai quello che si trovava. Il primo passo fu dunque di fare una cernita accurate del materiale delle cinque compilazioni antiche recuperando tutto quello che si poteva organizzare in un’architettura armoniosa, e fu la maggior parte (su 2139 capitoli complessivi delle Compilazioni antiche ne furono recepite ben 1756 e accantonate solo 383), anche a costo d’introdurre modifiche ai testi, cosa che il Santo Padre aveva esplicitamente autorizzato. Poi si dovette completare la massa delle fonti selezionate sia con le nuove decretali di Gregorio IX, che non furono molte, sia con un modesto apporto di materiale antico: Raimondo ricorse ai Canoni degli Apostoli, a concili sia ecumenici sia particolari d’Oriente e d’Occidente, a fonti germaniche e a poche leggi romane, che trasse però solo dall’Epitome Iuliani e dalla tradizione teodosiana. Questa resurrezione di Teodosio II servì a dare all’opera qualche tonalità diversa da quelle usuali nella dottrina giuridica nostrana, che non concepiva romanità fuori da Giustiniano. La collezione non ebbe altro titolo se non quello di Decretales Gregorii IX, ma nel linguaggio corrente si finì col parlare di Liber Extravagantium (extravagantes venivano chiamate le decretali che extra Decretum vagabantur) titolo poi abbreviato in Liber Extra. Da qui si è preso il simbolo X per indicare il codice di Greogorio IX nelle citazioni. La bolla Rex pacificus di promulgazione, datata 5 settembre 1234, conteneva un punto di grande rilevanza: proibiva la consultazione (e a maggior ragione la redazione) di altre raccolte, salva naturalmente l’ipotesi di una specifica autorizzazione della S. Sede. Il Liber Extra diventava così il pilastro portante ufficiale dell’ordinamento della Chiesa.
Nella lezione odierna abbiamo parlato delle fonti legislative del diritto canonico, successive al Decretum di Graziano.
Nel periodo di maggiore potenza della Chiesa, che coincide con l’epoca teocratica (XII sec.), si assiste a un’intensa attività legislativa di concili e di pontefici, che viene raccolta da privati in collezioni varie, tra le quali ebbero particolare valore le “Quinque Compilationes antiquate”. Le decretali papali sono elementi di unificazione e razionalizzazione del diritto canonico. Decretali e relative raccolte, con la disciplina di innumerevoli questioni, riflettono l’intreccio inestricabile tra Chiesa e società, nonché la rilevanza del diritto canonico di fronte all’Impero e diventano punti di riferimento ineludibili per la produzione normativa e il suo studio. Nel 1234 Gregorio IX decide di far compilare una raccolta definitiva ufficiale delle decretali dei suoi predecessori, eliminando le ripetizioni, le contraddizioni, la prolissità, la confusione che regnava in materia di fonti canonistiche. Come ha già scritto Giuliano, il lavoro viene commissionato dal pontefice al domenicano spagnolo Raimondo da Penafort e prende il nome di “Liber Extra” o “Decretales Gregorii IX”. La nuova collezione viene pubblicata con la bolla “Rex Pacificus” e con l’invio fattone alla scuola di Bologna, è proprio questa la peculiarità sottolineata dal professore: un testo per essere effettivamente vigente va inviato alle università per essere interpretato. L’interpretazione prende forma con le glosse, infatti, non può esistere un codice senza queste. La materia del “Liber Extra” è tratta da decretali pontificie per lo più del periodo 1145-1234, da canoni conciliari, da passi dei libri sacri e delle leggi civili ed è divisa in cinque libri: iudex, iudicium, clerus, connubia, crimen. Successivamente alla raccolta promulgata da Gregorio IX, troviamo il “Liber Sextus” emanato da Bonifacio VIII nel 1298 con la bolla “Sacrosanctae Romanae”. Concepito come opera unica e universale viene trasmesso alle scuole di Bologna, Parigi e Salamanca. L’opera è così chiamata perché continuazione dei cinque libri delle Decretali di Gregorio IX. Segue la collezione “Clementine”, iniziata per ordine di Clemente V, approvata nel 1313, ma completata e pubblicata nel 1317 da Giovanni XXII con la bolla “Quoniam”. Nel 1500 Giovanni Chappuis raccoglie alcuni decretali degli anni 1281-1478 nelle “Extravagantes Communes”. Con la conclusione del periodo teocratico si attenua la spinta propulsiva del diritto canonico, perché il papato vive le due crisi della cattività avignonese e dello scisma d’Occidente, che precedono la frattura della cristinianità ad opera di Lutero, il quale contesta il ruolo del diritto canonico e addossa a Roma la responsabilità di utilizzare la legislazione per deformare la natura originaria della Chiesa. Per rispondere alle critiche della Riforma il concilio di Trento torna a soffermarsi sul ruolo del diritto canonico e ne ribadisce il significato nella vita della Chiesa. Viene quindi emanato il Corpus Iuris Canonici nel 1582 che raccoglie le principali collezioni giuridiche precedentemente emanate dal Decretum Gratiani fino alle Extravagantes Communes. Continua naturalmente nell’epoca moderna la legislazione canonica, ma l’epoca di formazione del Corpus Iuris Canonici era già chiusa e solo i canoni in esso contenuti furono ricevuti e riguardati come fonti vere di diritto comune, tant’è che rappresenteranno la raccolta ufficiale di leggi ecclesiastiche valida fino al 1917, anno di promulgazione del Codex Iuris Canonici.
dal decreto di Graziano fino alle decretali di Gregorio IX.
Il Decretum grazianeo è un opera molto complessa,già perchè è sia una raccolta di testi che,una riflessione sugli stessi.In primo luogo è un vastissimo collage come il Digesto, ma anziche solo testi dottrinali come questo, esso raccoglie testi del tutto eterogenei, di provenienza anche legislativa. Ci troviamo infatti norme tramandate a partire dal primo millennio di storia della Chiesa, con prevalenza di canoni conciliari e decretali. Il Decretum poteva aspirare ad un'ampia circolazione ed accettazione solo se funzionale alle aspirazioni prevalenti del tempo: dare una risposta alla questione del primato papale nella Chiesa oltrechè nel mondo, e a quella dell'unità ed identità del diritto canonico. Quindi non bastava sui singoli problemi accostare passi di differente origine ma bisognava andare oltre. Con gli strumenti della dialettica, egli cercò di isolare la norma vincolante su un determinato problema confrontando le varie regole tramandate e divergenti tra loro, come avevano fatto altri prima di lui (ad esempio Abbone Abate di Fleury e Bonizone di Sutri) che si erano posti il problema di discernere i testi autentici e di elaborare criteri per concordare i testi. Una regola poteva essere generale e un'altra locale, ma rappresentare un ius vetus rispetto all'altra più recente, di ius novum. Il titolo originale della sua opera fu infatti "Concordia Discordantium Canonum", dato che i passi discordanti vi venivano coordinati e classificati componendo i loro conflitti mediante apposite considerazioni dell'editore Graziano, i cosiddetti Dicta magistri.
Anonimo ha detto... ..continua(vedi sopra)..Luca Landolina
Dovendo Graziano confrontarsi in continuazione con problemi trattati anche dai teologi, si è parlato del decreto come un libro di teologia. Ma il suo tentativo fu proprio quello di isolare le questioni attinenti al governo della Chiesa e dei fedeli, più che delle anime. Il tentativo fu di isolare i problemi "esterni", rilevanti per il tribunale pubblico, il cosiddetto foro esterno, da quelli di competenza del tribunale della coscienza, destinati ad un altro tribunale, al foro interno, ossia con la confessione. Graziano all'inizio del suo decreto si presenta come un gregoriano, non interessandosi della stabilizzazione del testo. Il dato storico rilevante è che nel 1150 il testo di Graziano diventa stabile e immutabile, copiato in tanti esemplari diventando un testo autorevole sul quale creare una scuola, svolto dalla Chiesa per contrastare il diritto civile. Creando una scuola di diritto canonico si contrastava quello di diritto civile, creandosi un sistema di citazioni nell'ambito civile che venne ripreso dai canonisti. Il Papato non recepì mai ufficialmente il decreto come testo di legge, ma la sua utilizzazione gli pose subito il problema di intervenire sulle soluzioni prospettate da Graziano. In più il papato riformatore del 1100 aveva propri e autonomi motivi per intervenire frequentemente nella vivace litigiosità di vescovati ed abbazie con le lettere decretali, sempre più frequenti a partire da Alessandro III, grande oppositore di Barbarossa. Le lettere, venivano conservate sia in curia a Roma, sia presso gli enti di destinazione per la loro utilità al di là del caso giudiziario per cui erano state dettate. In pochi decenni si cominciò a raccoglierle unitamente ai decreti dei grandi concili che ebbero luogo nel corso del 1100 (ad esempio il Concilio Lateranenze III).
In particolare una prima raccolta dovuta ad un canonista operante in curia a Roma, Bernardo Da Pavia, che attingendo forse direttamente ai registri papali potè fare intorno al 1190 una raccolta ordinata di circa 900 pezzi, in grande maggioranza decretali, la cosiddetta Compilatio I. I testi furono infatti raccolti in 5 libri sotto questi grandi temi: iudex-iudicium-clerus-connubia-crimen, ossia relativi alle autorità, al processo, agli ecclesiastici, al matrimonio e al diritto penale. Accogliendo la normativa maturata dopo il Decreto di Graziano, il testo era di grandissima attualità ed ebbe perciò un grande successo. la sua comodità espositiva rimase come modello per le raccolte successive di decretali. Che non tardarono, dato che il papato di questi anni produceva un gran numero di decretali. E fu così il tempo della Compilatio poi detta terza, con 482 decretali di Innocenzo III, al più tardi del 1209, messa assieme da Pietro di Benevento e inviata nel 1210 all'Università di Bologna, cui fece seguito la Compilatio della seconda anche se del 1210-12 perchè con decretali omesse nella raccolta precedente. La Compilazione quarta, opera del grande Giovanni Teutonico, accoglie sia canoni del fondamentale (per noi) consiglio lateranenze IV del 1215, sia altri testi di Innocenzo terzo (104), che continuava a dimostrarsi papa di interventi giuridici. Infine si ebbe la Compilatio quinta dovuta al canonista Tancredi, redatta su ordine di Onorio III che comprese le sue decretali degli anni 1216-26 ed ebbe riconoscimento ufficiale del 1226. Il papa dispose che i testi dovevano essere citati nei tribunali così come figuravano nella raccolta di Tancredi. Per la prima volta il papato assumeva il ruolo di legislatore per la cristianità: il papa era il verus imperator come appunto si incominciava a dire e a mostrare la nuova situazione nell'antichità costantiniana, come nell'importantissimo (per noi) ciclo alla Chiesa dei 4 Coronati a Roma.
Salve a tutti!!! In merito all’argomento che affronteremo in questo periodo sul diritto canonico, nella biblioteca della nostra facoltà, ho trovato un testo che illustra diversi aspetti della materia che ci possono interessare. Il testo è di Giorgio Feliciani e s’intitola “Le basi del diritto canonico”. In questo commento cercherò di fare un excursus storico sul processo di codificazione del diritto della storia della Chiesa.
Dal 1580 Papa Gregorio XIII designa ufficialmente con il termine Corpus Iuris Canonici l’insieme delle norme del diritto canonico. Il Corpus si apre con il Decretum di Graziano su cui non mi soffermo perché comunque, sia riguardo alla sua storia, sia riguardo al suo contenuto sono già stati fatti diversi commenti di approfondimento. Mi limito a ricordare che è stato redatto nel XII secolo sulla base delle più disparate fonti che vanno dalle Sacre Scritture, alle norme dei Concili, agli scritti dei Padri della Chiesa, alle lettere dei Pontefici, alle stese leggi civili. Il Decretum si diffonde molto rapidamente sia come fonte legislativa che come testo di insegnamento a Bologna e non solo, tanto che già a partire dalla seconda metà del XII secolo a fronte delle numerose questioni giuridiche che emergono, i pontefici sono chiamati a risolverle autoritativamente e da ciò nasce l’esigenza di raccogliere le loro decretali in collezioni. Tra di queste si ricorda quella di Gregorio IX affidata a Raimondo di Penafort conosciuta come Liber Extra che da una disciplina organica alla materia eliminando quello che non serve o è in contraddizione. Questa collezione è promulgata nel 1234 con la bolla Rex pacificus che ne sancisce il carattere autentico. L’opera di Gregorio IX è proseguita da Bonifacio VIII che nel 1298 promulga il Liber Sextus (che si aggiunge ai cinque della collezione precedente per evidenziarne la continuità) dove sono raccolti i canoni dei Concili generali di Lione del 1245 e del 1274 nonché le decretali successive al 1234. L’ultima raccolta ufficiale compresa nel Corpus è costituita dalle Clementine promulgate da Clemente V, riviste poi dal Giovanni XXII nel 1317. A queste si aggiunge la raccolta privata dello Chappuis che racchiude Extravagantes Ioannis XXII e le Extravagantes communes che comprendono le decretali di vari pontefici da Urbano IV a Sisto IV. Alla vigilia del Vaticano I si registrano esigenze di riorganizzazione del diritto canonico, vista la vastità e spesso la contraddittorietà delle varie fonti e dello stesso Corpus ; si ricorda infatti che dalla fine del XIV secolo le fonti sono ancora aumentate e le precedenti non sono state abrogate creando una crescente incertezza del diritto. Da qui l’esigenza di una Reformatio Iuris per la creazione di un codice breve, chiaro e soprattutto rispondente alle esigenza moderne della vita ecclesiastica. Nonostante le accanite discussioni, il progetto è stato accantonato perché il Concilio si è occupato di problemi politici che premevano di più i vertici della Curia Romana, (parliamo della famosa questione romana) che si è limitata quindi a riordinare solo alcuni istituti.
Solo il 19 marzo 1904 Pio X dichiara la necessità di emanare un codice della Chiesa e istituisce a tale scopo un’apposita Commissione Cardinalizia e un collegio di consultori che si avvarrano della collaborazione dell’Episcopato mondiale. Dalla lettera del segretario della commissione, Pietro Gasparri, si capisce quella che sarà la sistematica del nuovo codice, ispirato ai più moderni trattati di diritto canonico usati nelle università che seguono a loro volta il modello delle istituzioni giustinianee: persone, cose e azioni. Ulteriori precisazioni si trovano nelle norme approvate dal pontefice l’11 aprile del 1904: il codice sarà redatto in lingua latina, conterrà solo leggi disciplinari che riporteranno nel modo più fedele e breve possibile canoni stabiliti nel Concilio di Trento, nel Corpus, degli atti del pontefice, dei decreti delle concrezioni romane e dei Tribunali ecclesiastici. Nel 1907 la Commissione invia un primo Progetto ai Vescovi del mondo intero, e dopo opportune correzioni, nel 1916 i lavori si concludono. Benedetto XV promulga il Codice il 27 maggio del 1917 , il successivo 28 giugno viene pubblicato e entra in vigore il 19 maggio del 1918. Si compone di 2414 canoni distribuiti in cinque libri dalla forma breve e astratta. I libri sono ripartiti in titoli dotati di numerazione progressiva e spesso distinti in capitoli, che a loro volta possono suddividersi in articoli. A queste suddivisioni sono premesse delle rubriche che riassumono il tema trattato. I singoli canoni poi, sono suddivisi spesso in paragrafi o in numeri. Per quanto riguarda la sistematica degli argomenti il primo libro parla di norme generali, il secondo delle persone, il terzo parla dei sacramenti, luoghi sacri, culto divino, il quarto disciplina i processi e l’ultimo si occupa del diritto penale. A questi si aggiungono a costituzioni sull’elezione del Pontefice. Il valore giuridico è quello di una collezione autentica e tutte provenienti dal medesimo legislatore anche se appartenenti a epoche diverse. Il nuovo codice della Chiesa, sia per la forma che per la struttura si è ispirato alle codificazioni civili e senza dubbio ha agevolato lo studio e la conoscenza del diritto canonico. Nel discorso pronunciato il 25 gennaio 1959 da Giovanni XXIII alla convocazione del Concilio Vaticano II annuncia anche l’esigenza di procedere alla revisione del codice al termine dei lavori e nel 1963 viene istituita una apposita commissione. Nel 1967 la commissione divulga i primi esiti dei lavori e ottiene consensi in quanto si è cercato di adeguarsi alle le nuove esigenze della società moderna. Tra le modifiche più significative si ricorda l’ampliamento dei poteri dei Vescovi, l’enunciazione dei poteri soggettivi dei fedeli, la riforma del diritto penale. Inoltre si vuole riformare anche la ripartizione del codice e a questo proposito si discute in appositi gruppi di lavoro all’interno della commissione; gli schemi provvisori così predisposti vengono poi sottoposti al giudizio del pontefice che ne autorizza la trasmissione a altri organi consultivi per la presentazione dei testi definitivi alla commissione cardinalizia. Nel frattempo si registrano interventi della Santa Sede urgenti di carattere specifico in collaborazione con la commissione. Novità rispetto al 1917 è anche il carattere pubblico dei lavori in questione.
Un altro aspetto riguardante il rinnovamento del diritto canonico che emerge negli stessi anni è quello dell’elaborazione di una Lex fundamentalis che sancisca una serie di principi giuridici e teologici che valgano per la Chiesa universale (cioè quella latina e quelle orientali). Sui contenuti lavora un’apposita commissione voluta da Paolo VI, ma le polemiche non mancano e infatti Giovanni Paolo II, quando promulgherà il nuovo codice nel 1983 dichiarerà che gli unici principi ispiratori delle Chiese sono quelli del Vangelo. I lavori del codice si concludono invece positivamente nel 1980 e dopo una serie di revisioni e consultazioni dei Vescovi, Giovanni Paolo II lo promulga il 25 gennaio del 1983. Questo nuovo codice si compone di 1752 canoni e ha mantenuto la stessa denominazione del precedente e anche per quanto riguarda la struttura formale non si riscontrano particolari novità. Innovazioni si trovano invece nella ripartizione della materia che si suddivide in sette libri: norme generali, il popolo di Dio, la funzione di insegnare, la funzione di santificare, i beni temporali, le sanzioni e i processi. Questo codice è considerato dalla Commissione come una nuova legislazione, non come una semplice riforma del codice del 1917. Viene sottolineata la complementarietà tra il nuovo codice e i principi del Concilio Vaticano II alla luce dei quali va letto per una sua corretta interpretazione. Altra significativa differenza rispetto alla precedente codificazione è l’affermazione che il diritto della Chiesa non è più concepito come immutabile, ma al contrario come qualcosa in continua evoluzione assieme alla società moderna e quindi si ammette l’esigenza di periodiche riforme. Infine si ricorda, come precedentemente accennato, che l’unica legge fondamentale della Chiesa universale, è il Vangelo.
liber sextus compilato ai sensi ordine di Bonifacio VIII.
Liber Sextus Decretalium, il titolo della raccolta canonica compilato sotto ordine di Bonifacio VIII, da Guillaume de Mandagot, vescovo di Embrun, Berenger Fredoli, vescovo di Beziers, e Riccardo Petroni, di Siena, vice-cancelliere del Papa, da chi è stato approvato come una raccolta ufficiale e autentica nella Bolla "Sacrosanctae" del 3 marzo 1298.Come la "Decretali di Gregorio IX", il "Liber Sextus" si compone di cinque libri, suddiviso in titoli e capitoli.Esso contiene inoltre ottantotto norme di diritto (regulce juris) preso in prestito dal diritto romano, e compilato probabilmente da Rossoni Dino de ', professore di diritto civile presso l'Università di Bologna.E 'un codice obbligatorio di leggi, che abroga tutte le precedenti leggi generali emanate dal momento della pubblicazione del "Decretali di Gregorio IX" fino all'adesione di Bonifacio VIII (5 Settembre 1234, al 24 dicembre 1294), con l'eccezione di quelle che sono state riservate (reservatoe)-vale a dire, mantenuto in vigore, sia con decreti inseriti nel "Sesto", dichiarando che queste leggi sono state a rimanere in vigore, o dal loro Incipit di essere inclusi nella raccolta. Il "Decretali di Gregorio IX" sono stati revocati, in quanto non coerenti con i nuovi statuti.
Anche se Laurin detiene, al contrario, riteniamo che il ottantotto norme di diritto sono anche reali leggi ecclesiastiche, perché fanno parte della collezione come approvato da Bonifacio VIII. I glossatori del "Sesto" sono stati Johannes Andrea, autore della brillantezza ordinaria, alla quale ha fatto alcune aggiunte successive (apparatum annuncio Additiones super Sexto); Monachus Johannes († 1313), e Guido de Baysio († 1313).Quanto al modo di citare il "Sesto", la revisione del suo testo da parte Romani Correctores del 1582, e le migliori edizioni, vedere Corpus Juris Canonici . Questa collezione canonica è stato chiamato da Bonifacio VIII stesso il "Liber Sextus", in primo luogo, perché è una continuazione dei cinque libri della "Decretali di Gregorio. IX", e in secondo luogo, perché sei è un numero perfetto.Questo titolo indica, dice nella Bolla di approvazione ("Sacrosanctae"), che il corpus completo di diritto canonico, d'ora in poi raccolti in sei libri (cioè un numero perfetto di libri), fornirà una regola perfetta di azione e di essere un guida sicura in morale.Secondo Euclide il numero sei è perfetto, perché è uguale alla somma di tutti i suoi fattori (I +2 +3 = 6).Secondo Boezio, un numero è di essere paragonato a un corpo organizzato, tutte le parti di cui (fattori, quozienti, o parti aliquote) rappresentano i membri.Un numero perfetto denota quindi un corpo, i cui membri sono in perfetta sintonia con questo organismo.Così anche nell'ordine morale, il numero perfetto è l'emblema di virtù (cemulator virtutis), e, chiamando questa nuova compilation del "Liber Sextus", il Papa ha voluto significare gli effetti felice che questa raccolta di legislazione canonica produrrebbe.
Tutte le informazioni le ho trovate sul manuale "introduzione storica al diritto medievale" Mario Ascheri
Salve a tutti... Sono riuscita a trovare l'articolo di Carlo Ginzburg del 1979 Spie. Radici di un paradigma indiziario. Premetto che non ha nulla a che fare con il diritto canonico, con il corso in generale.. e infatti non sapevo sotto quale paragrafo postarlo; però magari può essere utile a coloro che oggi hanno posto il quesito sulla somiglianza o meno del legislatore al medico e dei loro metodi operativi. Con questo saggio l’autore vuole dimostrare come si sia imposto a fine 800 un modello epistemologico in molte scienze umane. Questo paradigma che egli definisce indiziario ha radici antichissime nell’animo umano: deriva infatti dal sapere di tipo venatorio che hanno sviluppato i nostri antenati cacciatori. Essi infatti hanno elaborato la capacità di risalire da dati sperimentali a prima vista trascurabili a una realtà complessa non verificabile direttamente. A questo sapere si sono andati collegando nel corso del tempo altri campi del sapere umano, come la semeiotica medica, la divinazione e il diritto. Infatti, se il paradigma indiziario o divinatorio è rivolto verso il futuro avremo la divinazione in senso proprio; se è rivolto verso il passato, il presente e il futuro avremo la semeiotica medica negli aspetti di diagnosi e prognosi; se è rivolto verso il passato, la giurisprudenza. Col passare del tempo è quindi emersa tutta una costellazione di discipline che si basavano sulla decifrazione di segni. In Grecia, esempio fondamentale è la medicina ippocratica, che sosteneva che solo osservando tutti i sintomi era possibile elaborare una diagnosi, essendo la malattia di per sè inattingibile. Questo paradigma è stato però schiacciato dal modello di conoscenza proposto da Platone. Le discipline che vengono indicate come indiziarie non rientrano nel paradigma delle scienze galileiane, in quanto esse sono eminentemente qualitative e basate su situazioni individuali, in quanto individuali. La scienza galileiana invece impiega la matematica e il metodo sperimentale ed è quindi basata sulla quantificazione e la reiterabilità dei fenomeni. Galileo ha impresso alle scienze della natura una svolta antiantropocentrica e antiantropomorfica. Questo spiega perchè la storia non sia mai riuscita a diventare una scienza galileiana: essa ha una strategia conoscitiva individualizzante (anche se l’individuo è un gruppo o una società intera). La conoscenza storica è congetturale e indiziaria. ...Continua...
...Vedi sopra... Il primo tentativo di fondazione della connoisseurship è da far risalire a Giulio Mancini, medico di papa Urbano VIII. Egli scrisse un libro destinato ai dilettanti; una delle parti più originali è quella dedicata ai metodi per riconoscere i falsi. Questo presuppone che fra l’originale e la sua copia esista una differenza ineliminabile. A ciò è legato l’emergere della figura del conoscitore. Tutto il metodo proposto da Mancini era basato sull’affermazione dell’inimitabilità dei tratti individuali: in questo modo sarebbe stato infatti sufficiente isolare nel quadro gli elementi inimitabili per risalire al vero autore dell’opera. L’identificazione della mano del maestro sarebbe stata possibile particolarmente in quelle parti del quadro eseguite più rapidamente e più sganciate dalla rappresentazione del reale (capelli, panneggi). Questo metodo ci porta a pensare che il vero ostacolo all’applicazione del paradigma galileiano è la centralità o meno dell’elemento individuale. Più i tratti individuali sono preminenti più svanisce la possibilità di poterlo applicare. A questo punto sono quindi possibili 2 vie: o sacrificare l’elemento individuale alla generalizzazione o elaborare un paradigma diverso. La prima via fu percorsa dalle scienze naturali poichè la tendenza a fare a meno dei tratti individuali è direttamente proporzionale alla distanza emotiva dell’osservatore. Infatti, la conoscenza individualizzante è sempre antropocentrica, etnocentrica e così via. Per le discipline a cui era negato l’occhio soprasensoriale della matematica la vista divenne l’organo privilegiato. Tra queste c’erano le scienze umane. Ci furono dei tentativi di introdurre la matematica in queste scienze (statistica), ma esse rimasero comunque ancorate ad un modello qualitativo, che ad esempio nel caso della medicina provocò e provoca polemiche. Le cause dell’incertezza della medicina sono fondamentalmente 2: il catalogare tutte le malattie non è sufficiente perchè in ogni individuo esse si manifestano con caratteristiche differenti; la conoscenza delle malattie è sempre indiretta perchè il corpo vivente è inattingibile. Il fatto quindi che la medicina non possa raggiungere il rigore delle scienze naturali è dovuto al fatto che la quantificazione è impossibile; e questo perchè l’elemento individuale è ineliminabile perchè l’occhio umano coglie più facilmente le differenze fra gli esseri umani. La medicina rimane comunque una scienza socialmente riconosciuta. Non così per la connoisseurship che è relegata ai margini delle discipline. Essa, come altre forme di sapere legate alla pratica quotidiana, è basata sull’esperienza, sul concreto. E questo è il suo limite, il non saper servirsi dell’astrazione. A questo tipo di sapere si era sempre cercato di dare una formulazione scritta, senza mai ottenere risultati rilevanti. Le cose cambiarono nel corso del 700, quando la borghesia iniziò un processo di appropriazione di tutto il sapere, indiziario e non, e nel contempo diede il via ad una acculturazione di massa. Il simbolo di questo processo è l’Encyclopedie. In questo periodo un numero sempre maggiore di lettori venne a contatto con determinate esperienze attraverso le pagine dei libri. Grazie alla letteratura il paradigma indiziario conobbe nuova fortuna. ...Continua...
...Vedi sopra... Due termini sono stati coniati fra il 700 e l’800 per indicare processi conoscitivi e discipline che si basano sul paradigma indiaziario: serendipity, creato da Horace Walpole nel 1754, per designare le scoperte fatte grazie al caso e all’intelligenza. Nel 1880 Thomas Huxley in un ciclo di conferenze dedicate alla diffusione delle scoperte di Darwin utilizzò la definizione “metodo di Zadig”, in riferimento ad una novella di Voltaire. Questa perifrasi indicava il procedimento che accomunava materie come la storia, l’archeologia, l’astronomia fisica, la geologia e la paleontologia: esse si rivolgono infatti al paradigma indiziario, scartando quello galileiano, basandosi sul fatto che quando le cause non sono riproducibili possono essere inferite dagli effetti. Sempre tra 700 e 800 si affermò fra tutte le scienze per prestigio epistemologico la medicina; ad essa fecero riferimento tutte le altre scienze umane. Queste discipline, col passare del tempo, hanno assunto sempre più il paradigma indiziario della semeiotica. A questo punto è chiarito il legame presentato a inizio saggio fra Morelli – Freud – Conan Doyle, 3 medici che si sono serviti ampiamente di questo modello. Morelli si era proposto di rintracciare all’interno di un sistema fatto di segni culturalmente influenzati come quello pittorico l’involontarietà dei sintomi, affermando che in questi segni involontari si poteva ritrovare la personalità dell’artista. In questo modo si ricollegava al suo predecessore, Giulio Mancini. Al termine del saggio, l’autore sostiene che se le pretese di sistematicità sono velleitarie, non va però abbandonata l’idea di totalità: l’esistenza di una connessione profonda che lega gli elementi superficiali viene ribadita nel momento in cui si sostiene che una conoscenza diretta di questa è impossibile. Esistono tuttavia spie e indizi che ci permettono di decifrarla. La decadenza del pensiero sistematico è accompagnata dal crescere del pensiero aforistico; il termine stesso significa indizio, sintomo, spia. Aforismi era una raccolta di pensieri di Ippocrate; nel 600 si diffusero raccolte di Aforismi Politici. La letteratura aforistica è per definizione un tentativo di formulare giudizi in base a sintomi. L’autore inoltre si chiede se un paradigma indiziario possa essere ritenuto rigoroso o meno. Ma in fondo questa caratteristica forse non è nemmeno desiderabile nei casi delle discipline che riguardano l’individualità. In questo tipo di conoscenze devono entrare in gioco colpo d’occhio, fiuto e intuizione, intendendo con quest’ultimo termine la capacità di passare in maniera repentina dal noto all’ignoto sulla base di indizi.
Il diritto canonico e la repentina diffusione del Decretum
RispondiEliminaIl diritto canonico andava sviluppandosi di pari passo a quello civile. Tant'è che i cronisti del tempo, come sottolinea Cortese nel suo testo, affiancavano la figura di Irnerio a quella di Graziano.
Le collezioni canoniche ai tempi della riforma gregoriana si susseguivano repentinamente, alla ricerca di una stabilità della norma "religiosa" in un momento in cui la chiesa stava rendendosi conto dell'enorme strumento rappresentato dal diritto. Ma nessuno avrebbe mai pensato all'epoca di poter unificare le discipline e promulgare un unico codice valido per tutti.
Graziano dal canto suo è il primo promotore di questa unificazione la sua opera infatti ebbe enorme diffusione tanto da essere studiata e diffusa in tutta europa.
Il suo intento era quello di cercare un'assonanza nelle dissonanze della tradizione canonica: pubblicò infatti Concordia discordantium canonum meglio conosciuto, poi, col nome di Decretum.
Tuttavia la sua impostazione non era del tutto nuova, ma era l'eco del lavoro di Abelardo. Quest'ultimo aveva inaugurato il metodo di mettere a confronto i passi contraddittori dei padri della chiesa, aprendo la strada alla lettura critica delle fonti.
Non solo l'opera di Graziano non era del tutto innovativa, ma poteva apparire come l'ennesima raccolta di norme -seppure costellata di Dicta dell'autore- e di scarsa rilevanza (Le Bras, maestro del diritto canonico, lo definiva un compilatore di mediocre ingegno). Resta quindi da capire perchè questo testo ebbe la trionfale diffusione che conosciamo.
Alcuni ritengono che il suo successo sia dovuto all'approvazione di papa Eugenio III che l'avrebbe fregiato della dicitura ius canonicum. Questa ipotesi non convince in quanto il Concordia è un iniziativa del tutto privata, e soprattutto nel XII sec. non si poneva il problema di far discendere l'efficacia della norma dall'approvazione di un legislatore.
Ma allora cosa permise al Concordia discordantium canonum di diffondersi così rapidamente e di diventare il fondamento del diritto canonico?
Sicuramente ha influito il fatto che entrò subito nel giro delle scuole, per altro ad opera stessa di Graziano che creò intorno ad esso un insegnamento. I suoi discepoli s'adoperarono infatti a migliorare forma e testo della Concordia, colmandone le lacune. Non a caso l'ingresso di testi legislativi romani è da imputare a interpolazioni successive, che Graziano aveva perlopiù tralasciate. L'ingresso di fonti civili ha permesso che il diritto canonico si distaccasse sempre più dalla teologia avvicinandosi al diritto in senso stretto.
Rosa Pastena
Le Quinque Compilationes Antiquae:
RispondiEliminaLa prima Compilatio antiqua è dovuta a Bernardo Balbi di Pavia. Studente e poi professore di diritto canonico a Bologna, completò l'opera presumibilmente intorno al 1191, poco prima di diventare quell'anno stesso vescovo di Faenza. Legato ancora ai metodi della decretistica, non si contentò di aggiornare Graziano con una silloge di nuovo materiale pontificio, ma si preoccupò altresì di completarlo con vecchio materiale, canoni di concili, frammenti di scritti patristici e persino leggi germaniche e romane. Da buon professore, curò l'ordine sistematico della propria opera e la distribuì in 5 libri secondo lo schema rappresentato nel verso iudex, iudicium, clerus, connubia, crimen, schema poi adottato in tutte le collezioni successive. Non contento, dedicò alla propria raccolta anche una summa, segno che l'adoperava nella didattica. Nella scuola infatti l'opera ebbe glosse e un importante apparato di Riccardo Anglico.
Proprio nella scuola l'esigenza di nuove compilazioni si riaccese presto e molte vennero alla luce per iniziativa di professori (l'inglese magister Gilberto radunò tra il 1202 e il 1203 decretali di Alessandro III e di Innocenzo III. Alano, anch'egli inglese era autorevole professore bolognese quando, intorno al 1206, compose la propria raccolta che in seguito migliorò e adottò nella scuola. Lo spagnolo Bernardo Compostellano, detto l'Antico per distinguelo da un successivo omonimo, fu presumibilmente professore bolognese ma nel 1208 redasse a Roma una collezione detta, appunto, Romana), ma ebbero vita breve. Fu all'inizio del nuovo secolo che intervenne la grande novità dell'intervento diretto del legislatore canonico: Innocenzo III, produttore anche lui instancabile di decretali, fece redigere nell'estate del 1209 e pubblicare nel tardo 1210 una collezione delle proprie norme alla quale impresse, per la prima volta nella storia della Chiesa, carattere ufficiale. (Si dice che Innocenzo III inaugurò il metodo della "promulgazione" mediante trasmissione delle collezioni normative agli Studia. In realtà si dovrebbe parlare tecnicamente piuttosto di "pubblicazione", la bolla Devotioni vestrae del tardo 1210, con la quale il pontefice trasmise l'opera alla scuola bolognese, si limitava infatti ad autenticare le decretali garantendo che il loro testo corrispondeva a quello dei registri della cancelleria papale). La conosciamo come la terza Compilatio Antiqua, (la redazione fu affidata a Pietro Collevaccino di Benevento, forse ex maestro bolognese, allora notaio apostolico e due anni dopo cardinale) ma fu, dal punto di vista cronologico, la seconda. Si diede a quella ch’era in realtà la successiva il numero ordinale precedente, chiamandola seconda, solo perché conteneva materiale anteriore, qualche testo antico e decretali degli immediati predecessori d’Innocenzo III. La redasse Giovanni di Galles, professore inglese che aveva cattedra a Bologna, tra il 1210 e il 1215 (probabilmente fu compiuta entro il 1212) e rimase collezione privata.
... Continua...
...Vedi sopra...
RispondiEliminaA breve distanza di tempo il grande evento del IV Concilio Lateranense del 1215 sollecitò la Compilatio Quarta. La compose Giovanni Teutonico, già glossatore del Decreto, e la presentò a Innocenzo III, poco prima della morte del Papa nel luglio 1216, per averne l’approvazione. Ma non l’ebbe e l’importante raccolta venne alla luce tra la fine del 1216 e l’inizio del 1217 come opera privata. Vi erano contenuti quasi tutti i canoni del IV Concilio Lateranense da poco concluso e qualche altra decretale di Innocenzo III, un materiale troppo succoso perché la scuola, che malgrado l’autorità di Giovanni Teutonico aveva esitato ad accoglierla, alla fine non l’adottasse e corredasse di apparati. Il Concilio Lateranense IV era innestato su vicende cruciali nella storia del tempo: lo sgretolarsi del Regno latino di Gerusalemme dopo la caduta della capitale nelle mani del Saladino nel 1187, aveva rinfocolato aspirazioni di rivincita e il concilio aveva preannunciato la nuova crociata voluta da Innocenzo III; per di più la precedente crociata, essendosi fermata a Costantinopoli e avendo sostituito nella primavera del 1204 l’Impero greco ortodosso con un Impero latino cattolico, (entrati una prima volta a Costantinopoli nel luglio 1203 i crociati ne furono scacciati nell’ottobre, vi rientrarono nell’aprile dell’anno successivo e smembrarono l’Impero bizantino. Baldovino conte di Fiandra assunse nel maggio la corona di quell’Impero latino di Costantinopoli che durò quasi un sessantennio, fino al maggio del 1261) aveva di fatto consentito la temporanea riunificazione delle due chiese (considerata da Roma come un’annessione) che richiese la doppia redazione in latino e in greco dei canoni conciliari. Poi vi si erano discusse la deposizione dell’imperatore Ottone IV e l’assunzione al trono di Federico II, l’eresia albigese e il comportamento dello scomunicato Raimondo di Tolosa che la sosteneva, le dottrine di Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese “di profetico spirito dotato” che fu colpito da severa, postuma condanna. E quanto alle disposizioni più specificamente canoniche, le norme erano state predisposte da Innocenzo III e lette all’assemblea, avevano quindi sostanzialmente la natura di decretali “pubblicate” nell’ecumenica adunanza.
Dopo la morte di Innocenzo III la produzione di decretali rallentò un po’, ma non tanto da impedire che 10 anni dopo il successore Onorio III promulgasse, nel maggio 1226 la quinta e ultima delle Compilationes antiquae: della sua redazione aveva incaricato Tancredi, maestro di diritto canonico e proprio da quel 1226 arcidiacono della cattedrale di Bologna; a Tancredi, che in quanto arcidiacono era cancelliere dello Studio in virtù di una bolla del 1219, rimandò il codicetto per la pubblicazione nella scuola. (la mandò forse anche a Padova a un magister Martino. La bolla di accompagnamento, datata 2 maggio 1226, una voltà di più era diretta a garantire l’autenticità del testo delle decretali).
Eleonora Cannatà
GRANATO LORENA
RispondiEliminaIn questa nostra prima lezione sul Diritto Canonico e sul Corpus Iuris Cnaonici, si è fatto un brevissimo accenno a importanti Papi che seguono l’opera di Gregorio VII: Dictatus Papae, la quale apre la stagione della Riforma Gregoriana, riassumendo i termini dottrinali del Primato del Pontefice, nella loro interezza e complessità.
Ricordiamo che il Dictatus Papae non è un documento ufficiale della Chiesa, pur tuttavia essendo il simbolo della prospettiva Gregoriana che pone appunto le basi delle grandi affermazioni del papato nei secoli XI – XII, ma anche delle grandi crisi dapprima con il potere Temporale e l’Impero, poi all’interno della stessa chiesa. Il Pontificato stesso, infatti, risente, come tutti i poteri, di una conflittualità che sfiora le sue strutture portanti( i pilastri stessi su cui si regge la Chiesa e la fede sono messi in dubbio da più parti).
Abbiamo in aula appunto fatto riferimento, tra i tanti, a Papa Innocenzo III e a Papa Bonifacio VIII, il primo dei quali è padre delle tesi sulla subordinazione del temporale allo spirituale, le quali tesi porteranno all’asserzione dell’ Unam Sanctam di Bonifacio VIII(1294-1303), secondo il quale il riconoscimento del primato papale è necessario per la “salvezza individuale”.
A tal proposito credo sia rilevante ricordare il ruolo fondamentale e insostituibile che in quell’epoca aveva la Fede e dunque l’immagine e le funzioni che arriva ad avere in quegli anni la Chiesa, la quale appunto persegue come finalità quella di condurre l’individuo alla “Salvezza individuale”( quella stessa finalità riconosciuta dunque ai Sacramenti).
Per meglio comprendere il grande conflitto tra Chiesa e Impero che imperversava in quel periodo di grandi cambiamenti e comprendere dunque conseguentemente come la Chiesa arriva ad assumere il ruolo fondamentale addirittura al di sopra del sovrano stesso(che doveva occuparsi esclusivamente della sfera temporale, naturalmente subordinata alla sfera spirituale – ricordate l’esempio fatto oggi in aula sulla mancata applicazione dell’istituto del divorzio previsto dal diritto Giustignaneo, ma ritenuto non applicabile poiché avrebbe condotto alla dannazione e dunque non alla salvezza secondo i teologi), vorrei postare un testo tratto dal libro di :
Sidney Z. EHLER, Breve storia dei rapporti tra Stato e Chiesa, Vita e Pensiero, Milano 1961:
Il periodo culminante del Medioevo feudale coincide con il grado più alto di autorità raggiunto dal papa nei confronti dello Stato. Facendo leva sulla forza immensa della dottrina teocratica, i successori di san Pietro avevano dato il massimo sviluppo al proprio prestigio. «La Santa Sede - spiegava Innocenzo III ai suoi contemporanei alla fine del secolo XII - sta fra Dio e l'uomo: al di sotto di Dio, ma al di sopra dell'uomo». Il papa non aveva uguale sulla terra. E poiché sia la Chiesa sia lo Stato erano convinti di derivare il proprio potere da Dio, il papa, grazie alla sua concezione della «plenitudo potestatis», si poneva come il supremo depositario d'ogni potere - essendone investito direttamente da Dio - nonché la più alta autorità della terra, le cui decisioni nessuno poteva impugnare o trascurare.
..continua(vedi sopra)..GRANATO LORENA
RispondiEliminaMa lo Stato, nel frattempo, non era rimasto inattivo. Nuove direttive, su più perfetti metodi di governo, erano state elaborate dalle monarchie feudali, e la prima a metterle in pratica fu la monarchia francese, cui le grandi personalità di Filippo Augusto e di Luigi IX, il santo, avevano impresso, nel corso del secolo XIII, un forte impulso. Le nuove idee dovevano produrre i primi risultati di rilievo nella grande contesa che esplose, fra il XIII e il XIV secolo, fra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, e a cui si ispira la bolla «Unam Sanctam» ricordata nel capitolo precedente.
All'origine del conflitto era l'aumento dell'imposta reale sui benefici ecclesiastici in Francia; l'atto fu riprovato dal papa in quanto deciso senza la sua approvazione; d'altra parte, Filippo rifiutò di sottomettersi, sfidando la procedura ierocratica. Ben presto il conflitto assunse sviluppi ben diversi da quanti, nei secoli precedenti, avevano generalmente opposto i papi agli imperatori di Germania nella grande arena politica del sacro romano impero, all'interno del quale non era stato difficile ai pontefici trovare alleati disposti a sostenere con le armi la giurisdizione ierocratica. Infatti, la debolezza di questa sul piano pratico consisteva in ciò: che aveva sempre bisogno di chi la sostenesse, sentenze e pene ecclesiastiche essendo, per loro natura, puramente dichiarative. In altre parole, il loro valore sarebbe stato soltanto morale se nessun esercito fosse poi sceso in campo per costringere i colpevoli all'ubbidienza o, almeno, ad un compromesso. Tuttavia, fino a questo momento, i papi avevano dovuto usare di tali alleanze solo contro gli imperatori di Germania, e le avevano sempre trovate vuoi fra i principi tedeschi continuamente in lotta contro il potere centrale, vuoi fra gli elementi anti-imperiali, sempre presenti sulla scena politica italiana. Ma nel caso di Filippo il Bello la situazione era diversa. Bonifacio VIII si trovò di fronte un sovrano che, grazie ad una politica energica, era riuscito ad imporre la propria autorità a tutti i vassalli ed a guadagnarsi alleati pur nel patriziato romano, avverso al papa. Sono noti gli sviluppi del conflitto, dalla spedizione di Guglielmo di Nogaret in Italia, all'alleanza di questi con i Colonna, all'affronto di Anagni, alla morte di Bonifacio, fino al trasferimento della sede papale ad Avignone.
Filippo il Bello non dovette sottomettersi, né cercare un compromesso, e il conflitto ebbe come effetto la decadenza della giurisdizione internazionale del papato. Così, le condanne pontificie pronunciate contro il re furono revocate senza aver sortito alcun effetto di rilievo. Onde da questo momento, la monarchia francese affrontò con maggior sicurezza le sue nuove relazioni con il papato avignonese. Tuttavia, il principio della superiorità papale sul potere civile non aveva subìto alcun indebolimento dall'esito del conflitto tra Filippo e Bonifacio VIII, come non ne risulterà diminuita l'ampiezza durante i settant'anni del soggiorno dei papi in Avignone. Al contrario, i pontefici, lontani da Roma - centro tradizionale della cristianità - sembrarono voler ribadire con rinnovata energia che non avevano rinunciato ad alcuna delle prerogative esercitate nella Città eterna, come capi della Chiesa e della cristianità. Ciò nondimeno, alcune di queste prerogative erano diventate impopolari già prima del periodo avignonese: tra queste, l'eccessiva centralizzazione della curia, la tassazione esorbitante dei benefici in tutti i paesi, e, in generale, la tendenza a nominare i vescovi senza elezioni canoniche. Maggiore impopolarità incontrarono tali prerogative durante il periodo avignonese, essendosene intensificata la pratica.
Per continuare il discorso sulle fonti del diritto canonico, introdotto nell’intervento di Eleonora sulle Compilationes Antiquae, vorrei riportare quanto letto nel libro di E.Cortese “Le grandi linee della storia giuridica medievale” sul Liber Extra di Gregorio IX.
RispondiEliminaLe Compilationes Antiquae erano state un assaggio delle possibilità che offriva la massa delle decretali in vista della costruzione di un ordinamento organico e moderno, ma non erano appunto che un assaggio, un lavoro preparatorio per sua natura incompleto. La pietra di volta di un sistema fondato sulle norme papali fu posta da Gregorio IX. Quest’ultimo non aveva nascosto sin dall’inizio del suo pontificato (1227-1241) di voler fare una nuova, grande collezione di decretali. Era un papa forte, aveva aperto il suo pontificato scomunicando Federico II (per il fallimento iniziale della sesta crociata) e prendendo le redini della lotta contro l’Impero, anche le vesti del codificatore gli convenivano come convengono a tutti i monarchi che sanno lasciare un segno nella storia.
Sin dal 1230 incaricò dell’impresa il domenicano spagnolo Raimondo di Penafort, canonista e moralista di grande levatura che per le sue virtù meriterà secoli dopo di essere fatto santo. Le fonti erano tante e disordinate. Non mancavano contraddizioni tra le decretali nuove e l’invecchiato Decreto di Graziano; v’erano disarmonie persino tra le Quinque Compilationes Antiquae che non erano coordinate tra loro e soprattutto, dato che nessuna bolla papale ne aveva riconosciuto l’efficacia esclusiva, entravano in collisione con altre collezioni private nelle quali non si sapeva mai quello che si trovava.
Il primo passo fu dunque di fare una cernita accurate del materiale delle cinque compilazioni antiche recuperando tutto quello che si poteva organizzare in un’architettura armoniosa, e fu la maggior parte (su 2139 capitoli complessivi delle Compilazioni antiche ne furono recepite ben 1756 e accantonate solo 383), anche a costo d’introdurre modifiche ai testi, cosa che il Santo Padre aveva esplicitamente autorizzato. Poi si dovette completare la massa delle fonti selezionate sia con le nuove decretali di Gregorio IX, che non furono molte, sia con un modesto apporto di materiale antico: Raimondo ricorse ai Canoni degli Apostoli, a concili sia ecumenici sia particolari d’Oriente e d’Occidente, a fonti germaniche e a poche leggi romane, che trasse però solo dall’Epitome Iuliani e dalla tradizione teodosiana. Questa resurrezione di Teodosio II servì a dare all’opera qualche tonalità diversa da quelle usuali nella dottrina giuridica nostrana, che non concepiva romanità fuori da Giustiniano.
La collezione non ebbe altro titolo se non quello di Decretales Gregorii IX, ma nel linguaggio corrente si finì col parlare di Liber Extravagantium (extravagantes venivano chiamate le decretali che extra Decretum vagabantur) titolo poi abbreviato in Liber Extra. Da qui si è preso il simbolo X per indicare il codice di Greogorio IX nelle citazioni.
La bolla Rex pacificus di promulgazione, datata 5 settembre 1234, conteneva un punto di grande rilevanza: proibiva la consultazione (e a maggior ragione la redazione) di altre raccolte, salva naturalmente l’ipotesi di una specifica autorizzazione della S. Sede. Il Liber Extra diventava così il pilastro portante ufficiale dell’ordinamento della Chiesa.
Giuliano Monaco
Nella lezione odierna abbiamo parlato delle fonti legislative del diritto canonico, successive al Decretum di Graziano.
RispondiEliminaNel periodo di maggiore potenza della Chiesa, che coincide con l’epoca teocratica (XII sec.), si assiste a un’intensa attività legislativa di concili e di pontefici, che viene raccolta da privati in collezioni varie, tra le quali ebbero particolare valore le “Quinque Compilationes antiquate”.
Le decretali papali sono elementi di unificazione e razionalizzazione del diritto canonico. Decretali e relative raccolte, con la disciplina di innumerevoli questioni, riflettono l’intreccio inestricabile tra Chiesa e società, nonché la rilevanza del diritto canonico di fronte all’Impero e diventano punti di riferimento ineludibili per la produzione normativa e il suo studio.
Nel 1234 Gregorio IX decide di far compilare una raccolta definitiva ufficiale delle decretali dei suoi predecessori, eliminando le ripetizioni, le contraddizioni, la prolissità, la confusione che regnava in materia di fonti canonistiche. Come ha già scritto Giuliano, il lavoro viene commissionato dal pontefice al domenicano spagnolo Raimondo da Penafort e prende il nome di “Liber Extra” o “Decretales Gregorii IX”. La nuova collezione viene pubblicata con la bolla “Rex Pacificus” e con l’invio fattone alla scuola di Bologna, è proprio questa la peculiarità sottolineata dal professore: un testo per essere effettivamente vigente va inviato alle università per essere interpretato. L’interpretazione prende forma con le glosse, infatti, non può esistere un codice senza queste.
La materia del “Liber Extra” è tratta da decretali pontificie per lo più del periodo 1145-1234, da canoni conciliari, da passi dei libri sacri e delle leggi civili ed è divisa in cinque libri: iudex, iudicium, clerus, connubia, crimen.
Successivamente alla raccolta promulgata da Gregorio IX, troviamo il “Liber Sextus” emanato da Bonifacio VIII nel 1298 con la bolla “Sacrosanctae Romanae”. Concepito come opera unica e universale viene trasmesso alle scuole di Bologna, Parigi e Salamanca. L’opera è così chiamata perché continuazione dei cinque libri delle Decretali di Gregorio IX.
Segue la collezione “Clementine”, iniziata per ordine di Clemente V, approvata nel 1313, ma completata e pubblicata nel 1317 da Giovanni XXII con la bolla “Quoniam”.
Nel 1500 Giovanni Chappuis raccoglie alcuni decretali degli anni 1281-1478 nelle “Extravagantes Communes”.
Con la conclusione del periodo teocratico si attenua la spinta propulsiva del diritto canonico, perché il papato vive le due crisi della cattività avignonese e dello scisma d’Occidente, che precedono la frattura della cristinianità ad opera di Lutero, il quale contesta il ruolo del diritto canonico e addossa a Roma la responsabilità di utilizzare la legislazione per deformare la natura originaria della Chiesa.
Per rispondere alle critiche della Riforma il concilio di Trento torna a soffermarsi sul ruolo del diritto canonico e ne ribadisce il significato nella vita della Chiesa. Viene quindi emanato il Corpus Iuris Canonici nel 1582 che raccoglie le principali collezioni giuridiche precedentemente emanate dal Decretum Gratiani fino alle Extravagantes Communes.
Continua naturalmente nell’epoca moderna la legislazione canonica, ma l’epoca di formazione del Corpus Iuris Canonici era già chiusa e solo i canoni in esso contenuti furono ricevuti e riguardati come fonti vere di diritto comune, tant’è che rappresenteranno la raccolta ufficiale di leggi ecclesiastiche valida fino al 1917, anno di promulgazione del Codex Iuris Canonici.
Camilla Bonadies e Barbara Taccone
Luca Landolina
RispondiEliminadal decreto di Graziano fino alle decretali di Gregorio IX.
Il Decretum grazianeo è un opera molto complessa,già perchè è sia una raccolta di testi che,una riflessione sugli stessi.In primo luogo è un vastissimo collage come il Digesto, ma anziche solo testi dottrinali come questo, esso raccoglie testi del tutto eterogenei, di provenienza anche legislativa. Ci troviamo infatti norme tramandate a partire dal primo millennio di storia della Chiesa, con prevalenza di canoni conciliari e decretali. Il Decretum poteva aspirare ad un'ampia circolazione ed accettazione solo se funzionale alle aspirazioni prevalenti del tempo: dare una risposta alla questione del primato papale nella Chiesa oltrechè nel mondo, e a quella dell'unità ed identità del diritto canonico. Quindi non bastava sui singoli problemi accostare passi di differente origine ma bisognava andare oltre. Con gli strumenti della dialettica, egli cercò di isolare la norma vincolante su un determinato problema confrontando le varie regole tramandate e divergenti tra loro, come avevano fatto altri prima di lui (ad esempio Abbone Abate di Fleury e Bonizone di Sutri) che si erano posti il problema di discernere i testi autentici e di elaborare criteri per concordare i testi. Una regola poteva essere generale e un'altra locale, ma rappresentare un ius vetus rispetto all'altra più recente, di ius novum. Il titolo originale della sua opera fu infatti "Concordia Discordantium Canonum", dato che i passi discordanti vi venivano coordinati e classificati componendo i loro conflitti mediante apposite considerazioni dell'editore Graziano, i cosiddetti Dicta magistri.
Anonimo ha detto...
RispondiElimina..continua(vedi sopra)..Luca Landolina
Dovendo Graziano confrontarsi in continuazione con problemi trattati anche dai teologi, si è parlato del decreto come un libro di teologia. Ma il suo tentativo fu proprio quello di isolare le questioni attinenti al governo della Chiesa e dei fedeli, più che delle anime. Il tentativo fu di isolare i problemi "esterni", rilevanti per il tribunale pubblico, il cosiddetto foro esterno, da quelli di competenza del tribunale della coscienza, destinati ad un altro tribunale, al foro interno, ossia con la confessione.
Graziano all'inizio del suo decreto si presenta come un gregoriano, non interessandosi della stabilizzazione del testo. Il dato storico rilevante è che nel 1150 il testo di Graziano diventa stabile e immutabile, copiato in tanti esemplari diventando un testo autorevole sul quale creare una scuola, svolto dalla Chiesa per contrastare il diritto civile. Creando una scuola di diritto canonico si contrastava quello di diritto civile, creandosi un sistema di citazioni nell'ambito civile che venne ripreso dai canonisti.
Il Papato non recepì mai ufficialmente il decreto come testo di legge, ma la sua utilizzazione gli pose subito il problema di intervenire sulle soluzioni prospettate da Graziano. In più il papato riformatore del 1100 aveva propri e autonomi motivi per intervenire frequentemente nella vivace litigiosità di vescovati ed abbazie con le lettere decretali, sempre più frequenti a partire da Alessandro III, grande oppositore di Barbarossa. Le lettere, venivano conservate sia in curia a Roma, sia presso gli enti di destinazione per la loro utilità al di là del caso giudiziario per cui erano state dettate. In pochi decenni si cominciò a raccoglierle unitamente ai decreti dei grandi concili che ebbero luogo nel corso del 1100 (ad esempio il Concilio Lateranenze III).
..continua(vedi sopra)..Luca Landolina
RispondiEliminaIn particolare una prima raccolta dovuta ad un canonista operante in curia a Roma, Bernardo Da Pavia, che attingendo forse direttamente ai registri papali potè fare intorno al 1190 una raccolta ordinata di circa 900 pezzi, in grande maggioranza decretali, la cosiddetta Compilatio I. I testi furono infatti raccolti in 5 libri sotto questi grandi temi: iudex-iudicium-clerus-connubia-crimen, ossia relativi alle autorità, al processo, agli ecclesiastici, al matrimonio e al diritto penale. Accogliendo la normativa maturata dopo il Decreto di Graziano, il testo era di grandissima attualità ed ebbe perciò un grande successo. la sua comodità espositiva rimase come modello per le raccolte successive di decretali. Che non tardarono, dato che il papato di questi anni produceva un gran numero di decretali. E fu così il tempo della Compilatio poi detta terza, con 482 decretali di Innocenzo III, al più tardi del 1209, messa assieme da Pietro di Benevento e inviata nel 1210 all'Università di Bologna, cui fece seguito la Compilatio della seconda anche se del 1210-12 perchè con decretali omesse nella raccolta precedente. La Compilazione quarta, opera del grande Giovanni Teutonico, accoglie sia canoni del fondamentale (per noi) consiglio lateranenze IV del 1215, sia altri testi di Innocenzo terzo (104), che continuava a dimostrarsi papa di interventi giuridici. Infine si ebbe la Compilatio quinta dovuta al canonista Tancredi, redatta su ordine di Onorio III che comprese le sue decretali degli anni 1216-26 ed ebbe riconoscimento ufficiale del 1226. Il papa dispose che i testi dovevano essere citati nei tribunali così come figuravano nella raccolta di Tancredi. Per la prima volta il papato assumeva il ruolo di legislatore per la cristianità: il papa era il verus imperator come appunto si incominciava a dire e a mostrare la nuova situazione nell'antichità costantiniana, come nell'importantissimo (per noi) ciclo alla Chiesa dei 4 Coronati a Roma.
Salve a tutti!!!
RispondiEliminaIn merito all’argomento che affronteremo in questo periodo sul diritto canonico, nella biblioteca della nostra facoltà, ho trovato un testo che illustra diversi aspetti della materia che ci possono interessare. Il testo è di Giorgio Feliciani e s’intitola “Le basi del diritto canonico”.
In questo commento cercherò di fare un excursus storico sul processo di codificazione del diritto della storia della Chiesa.
Dal 1580 Papa Gregorio XIII designa ufficialmente con il termine Corpus Iuris Canonici l’insieme delle norme del diritto canonico. Il Corpus si apre con il Decretum di Graziano su cui non mi soffermo perché comunque, sia riguardo alla sua storia, sia riguardo al suo contenuto sono già stati fatti diversi commenti di approfondimento. Mi limito a ricordare che è stato redatto nel XII secolo sulla base delle più disparate fonti che vanno dalle Sacre Scritture, alle norme dei Concili, agli scritti dei Padri della Chiesa, alle lettere dei Pontefici, alle stese leggi civili. Il Decretum si diffonde molto rapidamente sia come fonte legislativa che come testo di insegnamento a Bologna e non solo, tanto che già a partire dalla seconda metà del XII secolo a fronte delle numerose questioni giuridiche che emergono, i pontefici sono chiamati a risolverle autoritativamente e da ciò nasce l’esigenza di raccogliere le loro decretali in collezioni. Tra di queste si ricorda quella di Gregorio IX affidata a Raimondo di Penafort conosciuta come Liber Extra che da una disciplina organica alla materia eliminando quello che non serve o è in contraddizione. Questa collezione è promulgata nel 1234 con la bolla Rex pacificus che ne sancisce il carattere autentico. L’opera di Gregorio IX è proseguita da Bonifacio VIII che nel 1298 promulga il Liber Sextus (che si aggiunge ai cinque della collezione precedente per evidenziarne la continuità) dove sono raccolti i canoni dei Concili generali di Lione del 1245 e del 1274 nonché le decretali successive al 1234. L’ultima raccolta ufficiale compresa nel Corpus è costituita dalle Clementine promulgate da Clemente V, riviste poi dal Giovanni XXII nel 1317. A queste si aggiunge la raccolta privata dello Chappuis che racchiude Extravagantes Ioannis XXII e le Extravagantes communes che comprendono le decretali di vari pontefici da Urbano IV a Sisto IV.
Alla vigilia del Vaticano I si registrano esigenze di riorganizzazione del diritto canonico, vista la vastità e spesso la contraddittorietà delle varie fonti e dello stesso Corpus ; si ricorda infatti che dalla fine del XIV secolo le fonti sono ancora aumentate e le precedenti non sono state abrogate creando una crescente incertezza del diritto. Da qui l’esigenza di una Reformatio Iuris per la creazione di un codice breve, chiaro e soprattutto rispondente alle esigenza moderne della vita ecclesiastica. Nonostante le accanite discussioni, il progetto è stato accantonato perché il Concilio si è occupato di problemi politici che premevano di più i vertici della Curia Romana, (parliamo della famosa questione romana) che si è limitata quindi a riordinare solo alcuni istituti.
...continua...
...continua...
RispondiEliminaSolo il 19 marzo 1904 Pio X dichiara la necessità di emanare un codice della Chiesa e istituisce a tale scopo un’apposita Commissione Cardinalizia e un collegio di consultori che si avvarrano della collaborazione dell’Episcopato mondiale. Dalla lettera del segretario della commissione, Pietro Gasparri, si capisce quella che sarà la sistematica del nuovo codice, ispirato ai più moderni trattati di diritto canonico usati nelle università che seguono a loro volta il modello delle istituzioni giustinianee: persone, cose e azioni. Ulteriori precisazioni si trovano nelle norme approvate dal pontefice l’11 aprile del 1904: il codice sarà redatto in lingua latina, conterrà solo leggi disciplinari che riporteranno nel modo più fedele e breve possibile canoni stabiliti nel Concilio di Trento, nel Corpus, degli atti del pontefice, dei decreti delle concrezioni romane e dei Tribunali ecclesiastici.
Nel 1907 la Commissione invia un primo Progetto ai Vescovi del mondo intero, e dopo opportune correzioni, nel 1916 i lavori si concludono.
Benedetto XV promulga il Codice il 27 maggio del 1917 , il successivo 28 giugno viene pubblicato e entra in vigore il 19 maggio del 1918. Si compone di 2414 canoni distribuiti in cinque libri dalla forma breve e astratta. I libri sono ripartiti in titoli dotati di numerazione progressiva e spesso distinti in capitoli, che a loro volta possono suddividersi in articoli. A queste suddivisioni sono premesse delle rubriche che riassumono il tema trattato. I singoli canoni poi, sono suddivisi spesso in paragrafi o in numeri. Per quanto riguarda la sistematica degli argomenti il primo libro parla di norme generali, il secondo delle persone, il terzo parla dei sacramenti, luoghi sacri, culto divino, il quarto disciplina i processi e l’ultimo si occupa del diritto penale. A questi si aggiungono a costituzioni sull’elezione del Pontefice. Il valore giuridico è quello di una collezione autentica e tutte provenienti dal medesimo legislatore anche se appartenenti a epoche diverse.
Il nuovo codice della Chiesa, sia per la forma che per la struttura si è ispirato alle codificazioni civili e senza dubbio ha agevolato lo studio e la conoscenza del diritto canonico.
Nel discorso pronunciato il 25 gennaio 1959 da Giovanni XXIII alla convocazione del Concilio Vaticano II annuncia anche l’esigenza di procedere alla revisione del codice al termine dei lavori e nel 1963 viene istituita una apposita commissione. Nel 1967 la commissione divulga i primi esiti dei lavori e ottiene consensi in quanto si è cercato di adeguarsi alle le nuove esigenze della società moderna. Tra le modifiche più significative si ricorda l’ampliamento dei poteri dei Vescovi, l’enunciazione dei poteri soggettivi dei fedeli, la riforma del diritto penale. Inoltre si vuole riformare anche la ripartizione del codice e a questo proposito si discute in appositi gruppi di lavoro all’interno della commissione; gli schemi provvisori così predisposti vengono poi sottoposti al giudizio del pontefice che ne autorizza la trasmissione a altri organi consultivi per la presentazione dei testi definitivi alla commissione cardinalizia. Nel frattempo si registrano interventi della Santa Sede urgenti di carattere specifico in collaborazione con la commissione. Novità rispetto al 1917 è anche il carattere pubblico dei lavori in questione.
...continua...
...continua...
RispondiEliminaUn altro aspetto riguardante il rinnovamento del diritto canonico che emerge negli stessi anni è quello dell’elaborazione di una Lex fundamentalis che sancisca una serie di principi giuridici e teologici che valgano per la Chiesa universale (cioè quella latina e quelle orientali). Sui contenuti lavora un’apposita commissione voluta da Paolo VI, ma le polemiche non mancano e infatti Giovanni Paolo II, quando promulgherà il nuovo codice nel 1983 dichiarerà che gli unici principi ispiratori delle Chiese sono quelli del Vangelo. I lavori del codice si concludono invece positivamente nel 1980 e dopo una serie di revisioni e consultazioni dei Vescovi, Giovanni Paolo II lo promulga il 25 gennaio del 1983. Questo nuovo codice si compone di 1752 canoni e ha mantenuto la stessa denominazione del precedente e anche per quanto riguarda la struttura formale non si riscontrano particolari novità. Innovazioni si trovano invece nella ripartizione della materia che si suddivide in sette libri: norme generali, il popolo di Dio, la funzione di insegnare, la funzione di santificare, i beni temporali, le sanzioni e i processi. Questo codice è considerato dalla Commissione come una nuova legislazione, non come una semplice riforma del codice del 1917. Viene sottolineata la complementarietà tra il nuovo codice e i principi del Concilio Vaticano II alla luce dei quali va letto per una sua corretta interpretazione. Altra significativa differenza rispetto alla precedente codificazione è l’affermazione che il diritto della Chiesa non è più concepito come immutabile, ma al contrario come qualcosa in continua evoluzione assieme alla società moderna e quindi si ammette l’esigenza di periodiche riforme. Infine si ricorda, come precedentemente accennato, che l’unica legge fondamentale della Chiesa universale, è il Vangelo.
Elena Lauretti
Luca Landolina
RispondiEliminaliber sextus compilato ai sensi ordine di Bonifacio VIII.
Liber Sextus Decretalium, il titolo della raccolta canonica compilato sotto ordine di Bonifacio VIII, da Guillaume de Mandagot, vescovo di Embrun, Berenger Fredoli, vescovo di Beziers, e Riccardo Petroni, di Siena, vice-cancelliere del Papa, da chi è stato approvato come una raccolta ufficiale e autentica nella Bolla "Sacrosanctae" del 3 marzo 1298.Come la "Decretali di Gregorio IX", il "Liber Sextus" si compone di cinque libri, suddiviso in titoli e capitoli.Esso contiene inoltre ottantotto norme di diritto (regulce juris) preso in prestito dal diritto romano, e compilato probabilmente da Rossoni Dino de ', professore di diritto civile presso l'Università di Bologna.E 'un codice obbligatorio di leggi, che abroga tutte le precedenti leggi generali emanate dal momento della pubblicazione del "Decretali di Gregorio IX" fino all'adesione di Bonifacio VIII (5 Settembre 1234, al 24 dicembre 1294), con l'eccezione di quelle che sono state riservate (reservatoe)-vale a dire, mantenuto in vigore, sia con decreti inseriti nel "Sesto", dichiarando che queste leggi sono state a rimanere in vigore, o dal loro Incipit di essere inclusi nella raccolta. Il "Decretali di Gregorio IX" sono stati revocati, in quanto non coerenti con i nuovi statuti.
..continua(vedi sopra)..Luca Landolina
RispondiEliminaAnche se Laurin detiene, al contrario, riteniamo che il ottantotto norme di diritto sono anche reali leggi ecclesiastiche, perché fanno parte della collezione come approvato da Bonifacio VIII. I glossatori del "Sesto" sono stati Johannes Andrea, autore della brillantezza ordinaria, alla quale ha fatto alcune aggiunte successive (apparatum annuncio Additiones super Sexto); Monachus Johannes († 1313), e Guido de Baysio († 1313).Quanto al modo di citare il "Sesto", la revisione del suo testo da parte Romani Correctores del 1582, e le migliori edizioni, vedere Corpus Juris Canonici .
Questa collezione canonica è stato chiamato da Bonifacio VIII stesso il "Liber Sextus", in primo luogo, perché è una continuazione dei cinque libri della "Decretali di Gregorio. IX", e in secondo luogo, perché sei è un numero perfetto.Questo titolo indica, dice nella Bolla di approvazione ("Sacrosanctae"), che il corpus completo di diritto canonico, d'ora in poi raccolti in sei libri (cioè un numero perfetto di libri), fornirà una regola perfetta di azione e di essere un guida sicura in morale.Secondo Euclide il numero sei è perfetto, perché è uguale alla somma di tutti i suoi fattori (I +2 +3 = 6).Secondo Boezio, un numero è di essere paragonato a un corpo organizzato, tutte le parti di cui (fattori, quozienti, o parti aliquote) rappresentano i membri.Un numero perfetto denota quindi un corpo, i cui membri sono in perfetta sintonia con questo organismo.Così anche nell'ordine morale, il numero perfetto è l'emblema di virtù (cemulator virtutis), e, chiamando questa nuova compilation del "Liber Sextus", il Papa ha voluto significare gli effetti felice che questa raccolta di legislazione canonica produrrebbe.
Tutte le informazioni le ho trovate sul manuale "introduzione storica al diritto medievale" Mario Ascheri
Salve a tutti...
RispondiEliminaSono riuscita a trovare l'articolo di Carlo Ginzburg del 1979 Spie. Radici di un paradigma indiziario.
Premetto che non ha nulla a che fare con il diritto canonico, con il corso in generale.. e infatti non sapevo sotto quale paragrafo postarlo; però magari può essere utile a coloro che oggi hanno posto il quesito sulla somiglianza o meno del legislatore al medico e dei loro metodi operativi.
Con questo saggio l’autore vuole dimostrare come si sia imposto a fine 800 un modello epistemologico in molte scienze umane. Questo paradigma che egli definisce indiziario ha radici antichissime nell’animo umano: deriva infatti dal sapere di tipo venatorio che hanno sviluppato i nostri antenati cacciatori. Essi infatti hanno elaborato la capacità di risalire da dati sperimentali a prima vista trascurabili a una realtà complessa non verificabile direttamente. A questo sapere si sono andati collegando nel corso del tempo altri campi del sapere umano, come la semeiotica medica, la divinazione e il diritto. Infatti, se il paradigma indiziario o divinatorio è rivolto verso il futuro avremo la divinazione in senso proprio; se è rivolto verso il passato, il presente e il futuro avremo la semeiotica medica negli aspetti di diagnosi e prognosi; se è rivolto verso il passato, la giurisprudenza. Col passare del tempo è quindi emersa tutta una costellazione di discipline che si basavano sulla decifrazione di segni. In Grecia, esempio fondamentale è la medicina ippocratica, che sosteneva che solo osservando tutti i sintomi era possibile elaborare una diagnosi, essendo la malattia di per sè inattingibile. Questo paradigma è stato però schiacciato dal modello di conoscenza proposto da Platone. Le discipline che vengono indicate come indiziarie non rientrano nel paradigma delle scienze galileiane, in quanto esse sono eminentemente qualitative e basate su situazioni individuali, in quanto individuali. La scienza galileiana invece impiega la matematica e il metodo sperimentale ed è quindi basata sulla quantificazione e la reiterabilità dei fenomeni. Galileo ha impresso alle scienze della natura una svolta antiantropocentrica e antiantropomorfica. Questo spiega perchè la storia non sia mai riuscita a diventare una scienza galileiana: essa ha una strategia conoscitiva individualizzante (anche se l’individuo è un gruppo o una società intera). La conoscenza storica è congetturale e indiziaria.
...Continua...
...Vedi sopra...
RispondiEliminaIl primo tentativo di fondazione della connoisseurship è da far risalire a Giulio Mancini, medico di papa Urbano VIII. Egli scrisse un libro destinato ai dilettanti; una delle parti più originali è quella dedicata ai metodi per riconoscere i falsi. Questo presuppone che fra l’originale e la sua copia esista una differenza ineliminabile. A ciò è legato l’emergere della figura del conoscitore. Tutto il metodo proposto da Mancini era basato sull’affermazione dell’inimitabilità dei tratti individuali: in questo modo sarebbe stato infatti sufficiente isolare nel quadro gli elementi inimitabili per risalire al vero autore dell’opera. L’identificazione della mano del maestro sarebbe stata possibile particolarmente in quelle parti del quadro eseguite più rapidamente e più sganciate dalla rappresentazione del reale (capelli, panneggi). Questo metodo ci porta a pensare che il vero ostacolo all’applicazione del paradigma galileiano è la centralità o meno dell’elemento individuale. Più i tratti individuali sono preminenti più svanisce la possibilità di poterlo applicare. A questo punto sono quindi possibili 2 vie: o sacrificare l’elemento individuale alla generalizzazione o elaborare un paradigma diverso. La prima via fu percorsa dalle scienze naturali poichè la tendenza a fare a meno dei tratti individuali è direttamente proporzionale alla distanza emotiva dell’osservatore. Infatti, la conoscenza individualizzante è sempre antropocentrica, etnocentrica e così via. Per le discipline a cui era negato l’occhio soprasensoriale della matematica la vista divenne l’organo privilegiato. Tra queste c’erano le scienze umane. Ci furono dei tentativi di introdurre la matematica in queste scienze (statistica), ma esse rimasero comunque ancorate ad un modello qualitativo, che ad esempio nel caso della medicina provocò e provoca polemiche. Le cause dell’incertezza della medicina sono fondamentalmente 2: il catalogare tutte le malattie non è sufficiente perchè in ogni individuo esse si manifestano con caratteristiche differenti; la conoscenza delle malattie è sempre indiretta perchè il corpo vivente è inattingibile. Il fatto quindi che la medicina non possa raggiungere il rigore delle scienze naturali è dovuto al fatto che la quantificazione è impossibile; e questo perchè l’elemento individuale è ineliminabile perchè l’occhio umano coglie più facilmente le differenze fra gli esseri umani. La medicina rimane comunque una scienza socialmente riconosciuta. Non così per la connoisseurship che è relegata ai margini delle discipline. Essa, come altre forme di sapere legate alla pratica quotidiana, è basata sull’esperienza, sul concreto. E questo è il suo limite, il non saper servirsi dell’astrazione. A questo tipo di sapere si era sempre cercato di dare una formulazione scritta, senza mai ottenere risultati rilevanti. Le cose cambiarono nel corso del 700, quando la borghesia iniziò un processo di appropriazione di tutto il sapere, indiziario e non, e nel contempo diede il via ad una acculturazione di massa. Il simbolo di questo processo è l’Encyclopedie. In questo periodo un numero sempre maggiore di lettori venne a contatto con determinate esperienze attraverso le pagine dei libri. Grazie alla letteratura il paradigma indiziario conobbe nuova fortuna.
...Continua...
...Vedi sopra...
RispondiEliminaDue termini sono stati coniati fra il 700 e l’800 per indicare processi conoscitivi e discipline che si basano sul paradigma indiaziario: serendipity, creato da Horace Walpole nel 1754, per designare le scoperte fatte grazie al caso e all’intelligenza. Nel 1880 Thomas Huxley in un ciclo di conferenze dedicate alla diffusione delle scoperte di Darwin utilizzò la definizione “metodo di Zadig”, in riferimento ad una novella di Voltaire. Questa perifrasi indicava il procedimento che accomunava materie come la storia, l’archeologia, l’astronomia fisica, la geologia e la paleontologia: esse si rivolgono infatti al paradigma indiziario, scartando quello galileiano, basandosi sul fatto che quando le cause non sono riproducibili possono essere inferite dagli effetti. Sempre tra 700 e 800 si affermò fra tutte le scienze per prestigio epistemologico la medicina; ad essa fecero riferimento tutte le altre scienze umane. Queste discipline, col passare del tempo, hanno assunto sempre più il paradigma indiziario della semeiotica. A questo punto è chiarito il legame presentato a inizio saggio fra Morelli – Freud – Conan Doyle, 3 medici che si sono serviti ampiamente di questo modello. Morelli si era proposto di rintracciare all’interno di un sistema fatto di segni culturalmente influenzati come quello pittorico l’involontarietà dei sintomi, affermando che in questi segni involontari si poteva ritrovare la personalità dell’artista. In questo modo si ricollegava al suo predecessore, Giulio Mancini.
Al termine del saggio, l’autore sostiene che se le pretese di sistematicità sono velleitarie, non va però abbandonata l’idea di totalità: l’esistenza di una connessione profonda che lega gli elementi superficiali viene ribadita nel momento in cui si sostiene che una conoscenza diretta di questa è impossibile. Esistono tuttavia spie e indizi che ci permettono di decifrarla. La decadenza del pensiero sistematico è accompagnata dal crescere del pensiero aforistico; il termine stesso significa indizio, sintomo, spia. Aforismi era una raccolta di pensieri di Ippocrate; nel 600 si diffusero raccolte di Aforismi Politici. La letteratura aforistica è per definizione un tentativo di formulare giudizi in base a sintomi.
L’autore inoltre si chiede se un paradigma indiziario possa essere ritenuto rigoroso o meno. Ma in fondo questa caratteristica forse non è nemmeno desiderabile nei casi delle discipline che riguardano l’individualità. In questo tipo di conoscenze devono entrare in gioco colpo d’occhio, fiuto e intuizione, intendendo con quest’ultimo termine la capacità di passare in maniera repentina dal noto all’ignoto sulla base di indizi.
Eleonora Cannatà