sabato 19 marzo 2016

Dominio utile

La questione del dominium utile è fra le più discusse da parte della storiografia giuridica, che è nata nell'Ottocento, quando l'Europa si sbarazzò del feudo e del diritto feudale, puntando innanzitutto sulla promozione della "proprietà perfetta", che costituiva una struttura fondamentale per lo sviluppo del diritto borghese.
Molto ha scritto sul tema Paolo Grossi (articoli raccolti nel suo grosso Il dominio e le cose, ma alcuni li potete trovare in rete nei Quaderni Fiorentini, rivista fondate e a lungo diretta da lui, che è oggi tutta consultabile in rete). Sulle origini del concetto è fondamentale l'articolo fi Robert Feenstra, Les origines du dominium utile: ce ne è una copia in biblioteca ed è ristampato anche in Feenstra, Fata iuris Romani. C'è anche un altro articolo di Feenstra che potete scaricare da Heinonline, sempre in francese.

7 commenti:

  1. buonasera Professore buonasera colleghi, ho provato a fare una piccola ricerca sul dominio utile riguardo in particolar modo alla successione di tale diritto verso gli eredi e l'unica nota che penso sia abbastanza importante da mettere in evidenza l'ho trovata nel libro del Prof Cortese 'Le grandi linee della storia giuridica medievale' , precisamente cap IV par 8, 9 .
    Il professore in questi paragrafi analizza l' apparato e la summa di Pillio ai Libri Feudorum e la comparsa del dominio diviso, se non avete la disponibilità del libro vi ripoto entrambi i capitoli.
    Pillio per dare un contributo fondamentale alla figura tecnico giuridica del feudo lombardo prese spunto proprio dai suoi studi sui Libri feudorum. E' nel suo apparato e precisamente nella summa a quei Libri che vediamo definita come actio in rem o rei vindicatio utilis, l'azione spettante al vassallo, e dominio utile il suo diritto al beneficio.
    Era la prima comparsa del dominio diviso, una teoria che spaccava la proprietà in due sottospecie, da una parte il dominium diretto spettante a chi aveva la titolarità astratta del bene ossia il nudo proprietario, e dall'altra il dominium utile spettante a chi ne aveva il godimento concreto tale da configurare un diritto reale su cosa altrui di speciale intensità. La conseguenza portava ad allargare tutta la normazione che riguardava o richiamava la proprietà a una serie di situazioni reali che non erano proprietarie.
    Pillio traeva ispirazione da Oberto dall'Orto. questi per la verità non aveva dato prova di grande scrupolo nella definizione del beneficium feudale, che in un passo tratteggiava come uno strano usufrutto trasmissibile agli eredi, in un altro proteggeva dando al vassallo una reivindicatio (in alcuni manoscritti si parla di una quasi-vindicatio) che in vero si adattava più all'immagine di una proprietà che di un usufrutto.
    Quest'immagine quasi-proprietaria del diritto del vassallo aveva dalla sua la spinta della prassi feudale tutta costruita sulla costituzione di Corrado II del 1037. Non si sottolineerà mai abbastanza l'azione fondamentale di questa legge sulla storia del feudo italiano, assicurando da una parte l'assoluta stabilità del beneficio, purchè il vassallo non incorresse nell' infidelitas, e dall'altra la trasmissibilità ereditaria ai discendenti diretti ; essa aveva di fatto disegnato i contorni di un diritto reale molto intenso almeno quanto a quello spettante agli enfiteuti che una costituzione di Teodosio e Valentiano definiva fundorum domini.

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  2. Quando Pillio compì l'opera di assimilazione del feudo a una sorta di proprietà, era circondato da un'atmosfera consuetudinaria congeniale ( infatti secondo Meynial, le consuetudini che i glossatori medievali avevano alle spalle erano quelle formate sin dall'alto Medioevo con la diffusione delle concezioni germaniche che avrebbero gonfiato le situazioni possessorie dilatandole ad assorbire la proprietà in particolar modo con l'istituto della Gewere (investitura). In realtà la tendenza di situazioni possessorie a sovrapporsi a quelle proprietarie si riscontra già nel tardo impero. non si può negale che le stesse consuetudini romano-barbariche avessero contribuito a deformare il concetto classico di proprietà spingendolo ad allargarsi a situazioni possessorie e di godimento intenso del bene.).
    Ma i romanisti di quel tempo non potevano svolgere i loro ragionamenti se non sulla base delle fonti giustinianee, per tal motivo Pillio prese spunto da quelle che attribuivano un'actio in rem al superficiario, al conduttore a lungo termine, all'enfiteuta per spiegare come fosse naturale assegnarla per analogia anche al feudatario. E siccome si trattava di azioni definite utiles dalle fonti gli venne spontaneo di saltare dal piano formale delle azioni al piano sostanziale dei corrispondenti diritti soggettivi , due piani saldati insieme dalla tradizione romanistica e di parlare di conseguenza di Dominio Utile.
    E' in dubbio che l'actio utilis costituisse una categoria dogmatica per i Romani.
    Essa veniva talvolta invocata dal pretore per tutelare fattispecie simili a quelle direttamente protette dall'actio legittimae meritevoli di analoga tutela.
    Studiando tali istituti riusciamo a rinvenire il modello di riferimento del dominio utile nell'actio Publiciana, data in origine all'acquirente in buona fede che non fosse diventato formalmente proprietario per aver trascurato di seguire le formalità necessarie all'acquisto di un bene ( ad esempio non avesse compiuto mancipatio o in iure cessio per acquistare una res mancipi). Tale actio che era fictitia, si fondava appunto sulla finzione che fosse trascorso il tempo per usucapire il bene ed acquistare così la piena proprietà.
    Le Istituzioni di Gaio (2.40-41) ne avevano dedotto lo sdoppiamento della proprietà romana, mettendo l'in bonis habere (sarebbe la situazione di possesso) protetto dal pretore accanto al dominio quiritario (diritto di proprietà); sarebbe stato un modello magnifico di dominio diviso se i glossatori avessero conosciuto le Istituzioni di Gaio, ma non ne avevano notizia dato che il Niebuhr le riscoprì solo nel 1816.
    Già Bulgaro aveva insegnato che la prescrizione ventennale o trentennale la c.d. praescriptio longi temporis, non aveva efficacia acquisitiva della proprietà e attribuiva un semplice effectus dominii, mentre Martino diceva il contrario, e faceva della prescizione un metodo di acquisto del dominio pieno.
    a quanto sembra Giovanni Bassiano avrebbe precisato la tesi di Bulgaro dicendo che quest'effectus dominii non fosse altro che il dominium utile, e sarebbe stata questa la strada per cui la divisione del dominio si sarebbe affacciata nella scuola.
    Ma la storia dimostra che non fu dalla prescrizione che l'immagine del dominio diviso si svolse , ma nel campo dei feudi e delle concessioni di terre fiscali, dei contratti agrari e dei diritti di superficie, insomma lì dove appunto Pillio ne aveva individuato le radici.

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  3. Salve Professore, salve colleghi. Nella biblioteca del nostro ateneo sono riuscita a rinvenire il libro di Paolo Grossi :il dominio e le cose. Dopo averlo consultato per giorni vorrei provare a fare un breve excursus sul tema del dominio utile. Partendo dalla teoria del dominio diviso coniata da Pillio , mi è sembrato interessante analizzare la visione di giuristi cinquecenteschi come Zasius , Dumoulin e Jacques Cujas; per arrivare infine alla concezione tipicamente ottocentesca sul tema della proprietà. Procediamo per gradi.
    Una delle prime comparse della teoria del dominio diviso si rinviene nell’apparato di glosse e nella summa ai Libri feudorum composte da Pillio. Una teoria nuova che spaccava la proprietà in due fattispecie: il dominium diretto spettante a chi aveva la titolarità astratta del bene e il dominium utile spettante a chi ne aveva il godimento concreto.
    Nei Libri feudorum ed in particolare nella seconda delle lettere che Oberto scrisse al figlio Anselmo per erudirlo sulla difficile materia feudale, rinveniamo una famosa definizione di feudo. con tale definizione , egli voleva individuare gli elementi essenziali del rapporto feudale . In particolare si diceva che il potere sul bene immobile , veniva a scindersi , restando nel signore-concedente la proprietà formale e trasferendosi nel vassallo-concessionario l’uti-frui. È quasi certo che Oberto, con il termine usus-fructus volesse semplicemente specificare che l'uso e il godimento del bene passassero al vassallo e ai suoi eredi, e non che a questi spettasse il romanistico istituto dell'ususfructus.
    Che la situazione del vassallo non fosse identificabile con l'usufrutto ma con il dominio utile è verità accolta e confermata da tutti i classici della letteratura feudistica :dallo Pseudo-Belleperche a Jacopo Belvisi, a Baldo, fino ad arrivare al giurista Zasius , che nei primi anni del cinquecento, sottolinea come Oberto , con il termine ususfructus, avesse inteso riferirsi ad un contenuto economico e non già ad una figura tecnico-giuridica.
    Nell'articolo "Dominia" e "Servitutes' di Paolo Grossi, l'autore spiega e dimostra come vassallo e usufruttuario appartengano ad ambiti giuridici diversi . Il primo a quello del dominium , il secondo al mondo delle servitù. Molti sono stati i giuristi che hanno ripreso la teoria del dominio diviso. In particolare Bartolo dopo aver fatto cenno ad alcuni esegeti francesi che avevano teorizzato l'unicità del dominium , non ha avuto alcuna esitazione nel respingerla , rilevandone l'assoluta antistoricità. Dopo Bartolo ,tutti i giuristi hanno trattato il problema del dominium.

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  5. Circa duecento anni dopo, Zasius riprende la dottrina del dominio diviso , ma la ripercorre e la spiega in chiave teoretica . In particolare ritiene che non vi siano due specie distinte di dominio che concorrono sullo stesso bene e sono l'una sull'altra ripugnanti, ma si tratta di una stessa realtà non compatta ma gradualmente ordinata: la c.d. teoria del "gradus in dominio". Zasius nel suo commento agli "Usus " dichiara con fermezza che a certe condizioni , il godimento di un bene può di per sé incarnare una proprietà. Infatti scrive: " quando verba utendi et fruendi in principalis dispositionis consequentiam ponuntur, proprietatem significant". Per Zasius il dominio diretto e il dominio utile sono quindi assimilabili dal punto di vista della loro qualità dominativa, segno che agli occhi del giurista cinquecentesco il dominio utile si è irrobustito.
    Chiarita la posizione di Zasius, ritengo interessante riportare anche la posizione assunta da un giurista francese: Dumoulin. Quest'ultimo era un uomo immerso nella pratica forense, osservatore attento alla vita sociale francese del Cinquecento , riprende la teoria del dominio utile e arriva a teorizzare che la situazione del feudatario non consistesse in un usufrutto ma in una sostanziale proprietà, infatti osserva che il concessionario dell' uti-frui avesse visto aumentare a tal punto i propri poteri da poter esser individuato come il sostanziale propriètaire.
    Infine un altro giurista francese si occupa della teoria del dominio diviso, si tratta di Jacques Cujas, il quale esprime una posizione rigidamente umanista e rimprovera ai medievali di aver contaminato la purezza dell'originario ius civile. Cujas critica aspramente la teoria del dominio diviso, in quanto vede nella divisione del dominio in diretto e utile un mero grossolano errore.
    Avvicinandoci verso gli anni dell'ottocento vediamo come il concetto di proprietà muta e viene abbandonata l'idea di proprietà come suddivisa in due fattispecie.

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  6. Infatti gli anni della rivoluzione francese portarono ad interventi settoriali di grande importanza sul terreno del diritto civile. In materia di proprietà , l'abolizione delle istituzioni feudali porta al superamento della distinzione tra dominio diretto e dominio utile . Nel codice Napoleonico la proprietà viene definita all'art 544 come " il diritto di godere e disporre delle cose nel modo più assoluto" . Con Tale definizione il legislatore ha inteso rendere esplicito il carattere monolitico di proprietà e si è allontanato nettamente dalla definizione medievale

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