domenica 13 novembre 2011

Chiara, Paola, Marta, Federica

Molte osservazioni acute e pertinenti, e alcune citazioni di libri importanti e stimolanti. In particolare, i brani di Gurevich citati da Paola sono tratti dal lavoro di un grande studioso, che sapeva leggere il Medioevo alla luce delle categorie giuridiche. Sottolineano un punto fondamentale: lo status, cioè la posizione di un soggetto nella ragnatela di poteri e doveri della società medievale, può essere pensato come un vestito, che comprende poteri e diritti, e doveri di fare e di dare. Vi ricordati quel che diceva Gierke della funzione sociale delle proprietà? Era un germanista che conosceva bene questo sistema medievale, nel quale non la titolarità privatistica, ma la vestitura/Gewere garantiva un potere sulle cose e nello stesso tempo un dovere di tutela e protezione nei confronti di alcuni altri soggetti, che a loro volta avevano poteri e doveri "minori".
Sarà vero questo anche per il mondo romano, come suggerisce Chiara? Non lo so, sinceramente, perché non sono romanista. Certo il problema della distinzione fra diritto soggettivo e azione fu affrontato dai glossatori fin dal XII secolo.
***
Allora domani Biblioteca. Buon lavoro

5 commenti:

  1. Mi hanno colpito molto gli spunti offerti da Paola e Marta, riguardanti il fenomeno associativo nei comuni medievali e l’affermazione dell’individualità all’indomani dell’anno Mille.
    Ho svolto qualche ricerca e ho trovato su google books un libro di Gabriella Piccinni, “I mille anni del medioevo”. A partire da pag. 184 si può trovare una descrizione riguardante lo svolgimento della vita politica comunale in Italia ma anche oltralpe.
    Il secondo documento trovato è un discorso tenuto da Paolo Grossi (sì, sempre lui!) in un convegno pistoiese, in cui l’argomento discusso è proprio quello della civiltà comunale del medioevo.
    Nozione centrale del sistema medievale è proprio l’autonomia comunale, autonomia che si inserisce nell’ambito di una dialettica che coinvolge anche gli altri centri di potere come l’Impero e la Santa Chiesa (Grossi la definisce “dialettica di cerchi concentrici”) e dà luogo ad un “esasperato pluralismo giuridico”.
    La società medievale è inoltre caratterizzata dal concetto di ordine, quale “tensione ad inglobare ogni individualità in tessuti relazionali, valevoli a neutralizzare la carica eversiva di cui l’individualità è portatrice.”
    E, in effetti, basta pensare alla rilevanza che, nell’ambito della vita politica delle città, hanno assunto le corporazioni delle arti e dei mestieri e al ruolo da queste svolto nel tutelare gli appartenenti ad una stessa categoria professionale, per capire l’importanza che può assumere, in una società come quella dell’XI-XII secolo, l’appartenenza ad un gruppo e l’inquadramento in uno status giuridico.

    RispondiElimina
  2. Per chi volesse leggere il testo di Grossi il link è questo: http://eprints.unifi.it/archive/00001890/01/03_Paolo_Grossi.pdf

    RispondiElimina
  3. Facendo qualche ricerca su internet ho trovato su google books il libro "Der Einfluss der Kanonistik auf die europäische Rechtskultur", ed ho letto proprio il capitolo da lei scritto, in cui si affronta proprio il tema dei titoli di credito, come nella scorsa lezione. In esso si dice proprio come un portatore di assegno eserciti diritti identici a quelli del titolare e quindi, la legittimazione che la carta gli conferisce è stata considerata spesso e volentieri come immagine esteriore della titolarità vera e propria. I commercialisti invece si chiedono se la legittimazione non sia altro che manifestazione della titolarità o se dia luogo ad un potere indipendente da essa. Di queste discussioni troviamo una certa base storica da cui emerge il concetto di investitura (e si sottolinea come sia legato al diritto feudale) e come esso, secondo la dottrina germanofila dell'800, fosse la traduzione dal tedesco Gewere.

    Mi ha interessato la presenza di Finzi che, contrariamente alla dottrina italiana del tempo, cercò di superare il concettualismo romanista, dichiarandosi favorevole ad estendere la categoria del possesso ai diritti soggettivi. Questa sua diversità rispetto al resto della dottrina italiana del tempo, dipese probabilmente dai suoi studi, tesi al mondo medievale ed al suo ispirarsi al Die Gewere di Naendrup (come già detto a lezione). Lo stesso Naendrup arrivò a dare tanta importanza alla apparenza del diritto grazie alla tradizione storiografica che "attribuiva alla nazione tedesca un'identità giuridica propria". Importante è la supposizione che la teoria sul possesso di Jhering, fosse mutuata dai primi giuristi tedeschi, con a capo Albrecht.

    Si è posto poi il confronto tra i giuristi tedeschi che fondarono le loro ricerche su fonti processuali ed ebbero diffidenza verso la dottrina medievale e moderna, mentre Naendrup avrebbe poi applicato le dogmatiche ottocentesche alle fonti medievali. Questa contraddizione fu definita da Calasso come un "monstrum" (cioè le tesi scaturite dalla contaminazione di alcune analisi).

    Mi aveva incuriosito ciò che era stato detto a lezione, su come il termine "revestire", avesse un'origine toelogica di stampo processuale. Andando a rivedere il libro di Cortese, ho notato come secondo Anselmino dall'Orto, l'investitura fosse molto simile ad altri contratti agrari del tempo (enfiteusi), ma che aveva in più un atto simbolico di tipo formale (consegna di un oggetto), la cui mancanza avrebbe decretato la sua nullità. Proprio l'esistenza di un rito aveva portato ad un contenuto non solo materiale dell'investitura, e si fa notare come la Chiesa ne aveva esteso la pratica al conferimento di diritti incorporali, come le dignità ecclesisastiche ed altri uffici. E' corretto dire che sia questo intendimento ecclesiastico dell'investitura, sia il pensiero di Tertulliano, abbiano permesso l'ingresso del concetto di gewere nel mondo germanico?

    RispondiElimina
  4. Rispetto agli argomenti trattati nell’ultima lezione ho fatto delle ricerche su Tertulliano e sul termine “revestire” da lui usato.
    Tertulliano nasce a Cartagine (160ca.-240ca d.C.). Impegnato contro ogni forma di compromesso con il potere imperiale e con la cultura pagana, egli si pone con forza contro la Chiesa di Cartagine. Infine aderirà alle posizioni del Montanismo ,una setta fondata in Frigia che annunciava l’imminente ritorno di Cristo ,predicando un rigoroso ascetismo e la comunanza dei beni; e fonderà una propria setta.
    Tertulliano vedrà nei filosofi ” i patriarchi degli eretici” e nella filosofia il lusso intellettuale di privilegiati.
    Contro questo lusso intellettuale, egli richiama “l’anima semplice, rude, incolta e primitiva, quale posseggono coloro che essa sola posseggono, l’anima che si incontra nei crocicchi e nei trivi”. Solo questa esprime la realtà del divino. Tale anima è, per Tertulliano, materiale come lo è l’intera realtà; è come un soffio corporeo che dà vita alla carne e si trasmette di padre in figlio insieme al corpo. La creazione si manifesta grazie alla realtà del corpo esprimendo il senso del divino. Di qui il valore della incarnazione di Cristo e della sua resurrezione.
    La ragione, per Tertulliano, non può tradurre la verità cristiana; questo può avvenire solo per fede, attraverso una rivelazione diretta di Dio che come tale è assurda e aliena dalla logica umana perché estranea alle argomentazioni dell’intelletto. Tertulliano diceva “credo quia absurdum est”.
    La sua più grande opera è L’Apologeticum.
    Ho letto qualche traduzione di alcuni passi di Tertulliano che parlano della resurrezione della carne (www.parodos.it).

    RispondiElimina
  5. “(…) Non è credibile, infatti, che la mente o la coscienza o la memoria dell’uomo che vive oggi vengano distrutte in quanto si rivestano di quell’elemento di immortalità e di incorruttibilità, apportatore di mutamento: in tal caso diventerebbero ovviamente inutili il guadagno e il frutto della resurrezione e la stabilità del giudizio divino, pronunciato in un senso o nell’altro. Se io non mi ricorderò di essere quella persona che si è meritata una certa ricompensa, come potrò cantare gloria a Dio? Come potrò cantargli quel cantico nuovo, non sapendo di essere io che debbo essergli grato? Perché, poi, si considera il mutamento della carne soltanto, e non anche dell'anima contemporaneamente , dato che l'anima ha comandato alla carne in tutto e per tutto? E come è possibile che la medesima anima, che in questa carne ha percorso la successione di tutti gli atti della vita, che in questa carne ha appreso l'esistenza di Dio e si è rivestita di Cristo e ha seminato la speranza della propria salvezza, ne mieta il frutto in non so quale altra carne? Certo, è davvero favorita quell'altra carne, se potrà avere gratis la vita! Se, poi, non si muterà anche l'anima, allora nemmeno l'anima avrà la resurrezione: nemmeno l'anima, infatti, noi crederemo che sia risorta, se non ne sarà risorta un'altra. (…) “
    Inizialmente mi sembrava un po’ forzato assimilare il termine “revestire” così come lo usa Tertulliano al termine Gewere. Poi ho pensato che il parallelismo può essere condotto dalla materialità. Cioè se la Gewere esprimeva il rapporto materiale tra un bene e chi ne godeva ,al quale si riconosceva il diritto anche se solo apparentemente titolare; e se per Tertulliano tutto è materiale, allora la rivestitura di quell’elemento di immortalità, così come lui la intende, esprime il rapporto materiale tra corpo e anima.
    Non so se questo ragionamento possa filare…

    Riguardo alla conferenza di Paolo Grossi volevo solo dire che è stato davvero piacevole sentire parlare di diritto in quel modo.
    La cosa che mi ha colpito di più è stata assimilare il diritto ad una corteccia che non può fare a me no della sua linfa vitale che è la società.
    Il diritto non può astrarsi dalle esigenze e dalla realtà che vive ogni individuo che vive all’interno della società.
    Mi è piaciuta molto questa similitudine perché mi sembra che spesso la società non si renda conto che è essa stessa a “nutrire” il diritto.

    RispondiElimina