sabato 20 marzo 2010

L'Ottocento, il Medioevo e noi

Il modo in cui avete sviluppato gli interventi sul blog è quello che ci vuole per seguire un corso in modo attivo, senza assorbire passivamente quello che vi viene detto a lezione. L'importante è andare in biblioteca, cercare i libri e gli articoli che vi consiglio, leggerli per capirne il senso e metterli in relazione con quanto abbiamo detto. In biblioteca si fanno anche incontri fortuiti, come quello di Antonio. Che però si è dimenticato di dirci il titolo e l'autore del libro che aveva trovato...
Ricordate tutti di menzionare le vostre fonti: per discuterle dobbiamo poterle identificare.
Bene, dopo queste due settimane di Ottocento, da lunedì dovremmo sprofondare nel Medioevo, forse un po' più consapevoli dell'importanza che può avere per noi. Prima però parleremo dell'articolo di Otto von Gierke e del richiamo al Medioevo come modello di diritto sociale.

20 commenti:

  1. Niccolò Falez e Carlotta Trucillo21 marzo 2010 alle ore 18:34

    Considerati gli ultimi argomenti trattati e in vista della lezione di domani abbiamo ritenuto utile dare un quadro generale del background storico-politico di Otto Von Gierke.
    Abbiamo aggiunto a questo piccolo studio delle prime conclusioni personali.

    1 of 3: Otto Von Gierke nasce nel 1841 a Stettino. Essendo figlio di un ufficiale Prussiano cresce in un contesto familiare “intensly Prussian”; sviluppando un fortissimo senso di appartenenza alla “nazione”.
    Fin da giovane è molto attento alla storia tedesca dimostrando amore per la ricerca scientifica, infatti successivamente egli analizza il diritto in modo razionale e rigoroso. Lo scopo dei suoi lavori sarà finalizzato allo studio delle forme giuridiche del “vivere in comunità” (Gemeinschaftsleben).
    Il suo spirito nazionalistico viene maggiormente rafforzato dalla guerra e dalla sua personale esperienza al fronte come tenente dell’esercito Prussiano, per ben due volte– esperienza che, tra l'altro, interrompe temporaneamente la sua carriera universitaria.
    È allievo di Beseler a Berlino e abbraccia da subito le idee del filone germanistico della scuola storica creata da Savigny, iniziando un percorso di riscoperta di quei principi legali “genuinamente tedeschi”.
    Divenuto professore si dedica all’approfondimento delle sue riflessioni storiografiche e dei legami tra diritto e politica sociale (Sozialpolitik).
    Critico nei confronti del diritto statale allora vigente, dominato da un forte formalismo, dedica la sua attività allo studio del concetto tedesco di “associazione”, (Genossenschaftrecht).
    Acquisendo sempre più fama nel corso della sua carriera, Otto Von Gierke si dimostra non solo uno storico del diritto, analizzando i fatti da una prospettiva esterna, ma un giurista attivo del suo tempo criticando duramente la prima bozza pubblicata del BGB.

    Niccolò Falez e Carlotta Trucillo

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  2. Giulia Cianetti e Amelia Schiavone21 marzo 2010 alle ore 19:10

    Dopo aver opportunamente analizzato le linee-guida del suo pensiero in classe, ci è sembrato interessante avviare una ricerca su James Q. Whitman e sulla sua concezione del diritto romano, leggendone un estratto dal titolo(significativo): " THE DISEASE OF ROMAN LAW ".

    Il blog non permette di pubblicare commenti che superino un certo numero di caratteri, lo pubblichiamo quindi in due parti.

    L’estratto esordisce con una breve premessa dei maggiori esponenti tedeschi del XX secolo che abbracciarono questa idea dell’ impatto distruttivo del diritto romano sulla società tradizionale( Brunner parla di “destructive infection”, Weber e poi Chambarlain che al punto 19o del programma del partito nazionalsocialista aveva auspicato l’eliminazione del diritto romano denunciandolo come strumento di un ordine mondiale materialistico), ponendola in contrasto con una buona parte della dottrina moderna.
    La parte centrale del testo Whitman la dedica a Brunner e alla sua idea di diritto romano come “destructive” e “infectious”. Per capire cosa Brunner volesse davvero significare qualificando il diritto romano come distruttivo Whitman richiama il pensiero diffuso del popolo tedesco sul diritto romano per il quale era da considerarsi come “alien or foreign force”, come “materialistic and commercial” e come” excessively rationalistic”. La prima critica attiene al fatto che per il popolo tedesco era disonorevole essere soggetti ad un sistema legale straniero; la seconda, veniva comprovata dal fatto che la proprietà assoluta del diritto romano tendendo a ridurre le relazioni umane alle obbligazioni tra debitore-creditore contrastavano con i valori sociali della fiducia e dell’onore , proprie del diritto tedesco; per quanto riguardava la terza invece, ciò che gli veniva spassionatamente rimproverato era l’abuso di argomentazioni e di ragionamenti utilizzati per distorcere semplici verità (i Romantici parlavano del diritto romano come del diritto dei giuristi “jurists law”, in contrasto con il “Volksrecht” del diritto tedesco).
    (...)

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  3. Giulia Cianetti e Amelia Schiavone21 marzo 2010 alle ore 19:13

    (...)
    La domanda che sorge spontanea in Whitman è allora la seguente:” Posto che il diritto romano è “alieno” e “materialistico” perché e come si è diffuso? Brunner risponde seccamente “Perché è un diritto scientifico”: afferma cioè che il diritto romano si diffuse (come una malattia) in tutte quelle nazioni dove non c’erano né ordine, né scienza, con le uniche due eccezioni di Francia e Inghilterra, dove i giuristi avevano imparato un po’ di diritto romano e lo avevano utilizzato come modello per portare ordine e scienza ai loro sistemi consuetudinari, ed è questo che permise loro di resistere alla “full-scale infection” del diritto romano. Questa è , in sintesi, l’idea della “malattia”in Brunner :un misto di credenza dell’inevitabilità del trionfo dell’ordine deduttivo e di un corollario elegiaco(espresso compiutamente da Weber) :l’idea era quella per cui il sistema tedesco poteva sopravvivere solo trasformandosi esso stesso in un sistema razionalistico e concettualistico, al pari di quello romano.
    Infine Weber pone l’accento sul valore tuttora rivestito dalla metafora della malattia di Brunner fra gli storici contemporanei . La sua concezione del diritto romano come “infectious” è infatti sopravvissuta: molti sono infatti gli storici che hanno lavorato sulle implicazioni che la diffusione dei principi di ordine e di razionalismo propri del diritto romano hanno portato sugli altri sistemi legali; mentre si considera oramai sepolta l’idea di un diritto romano “destructive” e con essa anche la tendenza ad abbandonare l’interesse sull’impatto sociale dei sistemi legali che studiano, con l’unica eccezione fra le teorie della “destructiveness” del diritto romano , quella del diritto romano come razionalistico e con esso l’idea del diritto romano che infrange le regole della società tradizionale, razionalizzandola; mentre le altre accuse di essere un diritto alieno e materialistico non sono più presenti nella nostra letteratura. In modo particolare, l’idea del diritto romano come diritto alieno viene respinto perché considerato frutto di un quasi- superstizioso ottocentesco nazionalismo. È stata respinta anche l’idea di un diritto romano materialistico e commerciale che avrebbe forgiato cioè la nascita e la crescita della società commerciale in Europa, giacchè il diritto romano con la sua idea di proprietà assoluta , lungi dall’aver condotto alla moderna società commerciale, ne rappresenterebbe, piuttosto, un ostacolo. Questo argomento che risale ai dibattiti sul codice commerciale tedesco degli anno 1850 ss. si focalizza sui problemi della negoziabilità; infatti, i sistemi fondati sulla proprietà assoluta richiedevano un altro grado di formalità per il trasferimento del titolo garantito, perciò un sistema come quello romano fondato sulla proprietà assoluta non poteva essere connesso con il sorgere della società commerciale, cosa che è confermata dal fatto che tanto l’ Inghilterra- che è l’esempio della classica società commerciale- che l’ Hansestädte hanno fatto del diritto romano un piccolissimo uso, al contrario dell’ Olanda dove qui ebbe un ‘influenza grande sia nella società mercantile che in quella extra-mercantile, tanto da potersi qui, a ragione, attribuire la nascita della società commerciale al diritto romano.
    Il dibattito sull’influenza del diritto romano prosegue…

    L'articolo è stato reperito su Heinonline.org.

    Giulia Cianetti e Amelia Schiavone.

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  4. Dato che domani non potrò essere a lezione, pregherei gentilmente qualcuno di voler sintetizzare quanto trattato in classe così da non avere buchi negli appunti presi sul quaderno e di citarmi le eventuali fonti di approfondimento consigliate dal professore. Grazie.
    Antonio

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  5. Carlotta Trucillo e Niccolò Falez21 marzo 2010 alle ore 23:36

    2 of 3: In questa sezione proponiamo un breve percorso cronologico inverso riguardante alcuni termini tedeschi, tentando di mostrarne le origini:

    Il pensiero di Otto von Gierke viene caratterizzato sinteticamente da due concetti: la scuola storiografica del diritto (Historische Rechtschule), branca del mondo giuridico in cui Gierke ha sempre svolto il suo operato ed il socialismo conservatore (Sozialrecht, im konservatievem Sinne), che sempre lo ha contraddistinto.
    Il maestro di Von Gierke era Georg Beseler, affermato giurista e fermo germanista; ha esercitato il ruolo di professore presso diverse università ed è stato deputato in vari parlamenti.
    Beseler è stato il creatore del concetto del diritto cooperativo (Genossenschaftrecht), che si è fortemente contrapposto alla teoria del “Juristenrecht”, teoria portata avanti dalla scuola storiografica del diritto. Questa però, a partire dall’opera “Volksrecht und Juristenrecht”(diritto del popolo vs. diritto dei giuristi) ha vissuto e sofferto le due contrapposte correnti, romanistica e germanista. Difatti è con quest’opera che Beseler si contrappone alla teoria di Savigny, all’interno della medesima scuola di cui Savigny stesso era stato il fondatore.
    Von Gierke elabora i contenuti di Beseler e si evolve passando dal concetto sociale della comunità intesa come gruppo di individui ad una forma di diritto sociale più complessa, quella sul piano statale. Fine ultimo di tutti questi sforzi diventa infatti
    il raggiungimento dello stato socialista (Sozialstaat), che tenta di eliminare il divario tra il diritto pubblico ed il diritto privato per assicurare a tutti una concreta sicurezza e giustizia.

    Niccolò Falez, Carlotta Trucillo

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  6. Carlotta Trucillo e Niccolò Falez21 marzo 2010 alle ore 23:40

    3 of 3: Considerando il contenuto complessivo dei nostri interventi, riteniamo interessante aggiungere due riflessioni:

    E’ incredibile quanta passione e convinzione Von Gierke sia capace di esprimere nei suoi scritti, evidente segno della profonda conoscenza e consapevolezza che egli ha della materia e delle sue affermazioni.
    Il tedesco è una lingua affascinante ma difficile e può risultare dura ,ma Von Gierke ha saputo dosare e poi calcare sull’argomento con un’attenta scelta delle parole; operazione tra l’atro molto difficile data la precisione dei termini tedeschi.

    Va notato però, che anche Albrecht viene definito un nostalgico. Ecco che risulta chiaro quanto forte ed istintivo sia quel “senso sociale“ tanto radicato negli animi dei popoli germanici ed altrettanto ricercato nel mondo moderno, allora impostato su una struttura romanistica. Potremmo ora affermare, che sia stata un’applicazione troppo forzata di un sistema estraneo, per origini, cultura, abitudini.
    Arriviamo così al secondo punto, che concerne tra l’atro anche una questione di attualità: Il problema della perdita dell’elemento “sociale” nella struttura giuridica.
    I germanisti, a seguito dell’imposizione della struttura romanistica attraverso la diffusione del diritto canonico, hanno sentito il bisogno di recuperare quei valori antichi che gli appartenevano e che rappresentano la forma più viscerale del diritto; quello del popolo (Volksrecht). Regole e comportamenti rispettati perché sentiti dal basso, dal profondo di ciascun individuo come il collante della comunità. Non ci sembra azzardato affermare che questo senso sociale possa derivare ed essersi sviluppato proprio per l’assenza di una resistente struttura giuridica nelle comunità barbare di quelle lande. E proprio questa assenza ha permesso lo sviluppo di un sistema diverso, nascente dall’interno dell’animo di ciascun individuo.
    Un meccanismo che il sistema romanistico non ha ed a cui mai si è interessato, perché il soggetto è già destinatario di una struttura rigida, formale, impostata.
    Lo spirito evolutivo individualista che ci caratterizza così dietro l’angolo ed i diritti di proprietà concepiti come diritti assoluti, ovvero privi di limiti intrinseci, ne sono la logica conseguenza. Il nostro diritto assoluto viene limitato solo dall’esterno e solo nel caso in cui ve ne sia un altro equivalente ma contrapposto.

    È molto interessante il fatto che nei suoi studi, Otto Von Gierke, abbia dato un ruolo centrale alle “collettività” come culle naturali del diritto del popolo. L’individualismo sfrenato esaltato dal diritto romano e dalle sue costruzioni non è per Gierke il diritto genuino, ma una sorta di artificio, un nostrum soprattutto nella concezione tedesca dove fin dai tempi delle tribu barbare, si sviluppa un fortissimo senso del gruppo. Ad esempio, ha origini nell’antico diritto germanico una teoria rifiutata dal moderno diritto internazionale, ma che ha trovato un rigurgito in alcuni atteggiamenti degli stati totalitari della prima metà del ventesimo secolo: la teoria della “solidarietà di gruppo”, in base alla quale il gruppo doveva ritenersi responsabile- e pertanto legittimo oggetto di rappresaglie da parte della vittima- per le azioni dannose dei suoi membri.
    Emblematico dell’uso distorto di questa teoria fu l’atteggiamento dell’Italia che nel 1923, in pieno regime fascista, reagì all’assassinio del generale Tellini, avvenuto in Grecia, sostenendo l’automatica responsabilità dello stato greco. La reazione al crimine “internazionale” fu l’immediata rappresaglia armata contro l’isola greca di Corfù.
    ...to be continued..

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  7. Niccolò Falez e Carlotta Trucillo21 marzo 2010 alle ore 23:41

    Gierke considera le “associazioni” come entità con una propria reale personalità, diversa da una personalità fittizia attribuita per legge. Sia parlando delle associazioni nel diritto moderno (ad esempio le trade unions), sia guardando al passato, e in particolare al medioevo dove fiorivano Comuni e ghilde, Gierke riconosce che queste entità collettive si organizzano e perseguono dei fini propri, con un proprio sistema di “social law”, e con la capacità di orientare le proprie azioni verso determinati atti, con scelte volontarie e consapevoli. Lo Stato stesso viene visto come un’associazione con una sua personalità. Osserviamo come questa concezione abbia dato adito a molte interpretazioni ed idee diverse sulla ideologia di Gierke: il filosofo Americano Morris Cohen ha visto in Gierke "a sort of patron saint of political pluralists."; e lo storico inglese del diritto Frederic Maitland introducendo la dottrina di Gierke nel 1900 all’ambiente accademico inglese tra i tanti aspetti interessanti, ha voluto porre l’accento proprio sulla teoria dell’autonoma e reale personalità delle associazioni. In ogni caso egli non fu mai un vero sostenitore del pluralismo. Le sue idee per quanto pluraliste potessero sembrare erano sempre bilanciate dal ruolo dominante che affidava allo stato e alla sua legge. La sua devozione per la monarchia, in particolare Prussiana e la sua preoccupazione di costruire una Germania unita lo portarono sempre a propendere per uno Stato centralizzato.
    Fortunatamente ad oggi anche il sistema romanistico ha avuto l’ occasionale capacità di assorbire taluni valori germanisti; un esempio è il contratto collettivo. Eppure anche in questo caso è stata “rubata” solo la struttura del meccanismo, scartando invece lo spirito sociale che l’istituto rappresenta: difatti il contratto collettivo esiste, ma teoria a lui appartenente, “teoria dell’incorporazione” pare venga rifiutata da un punto di vista puramente dottrinario.
    Sarebbe per noi tutti utile studiare queste differenze fra i due sistemi guardando sempre anche ai diversi risvolti attuali, cui i due sistemi hanno portato.
    Oggi, in un mondo individualista senza scrupoli sarebbe auspicabile ritrovare ed assorbire nel nostro sistema legale un po’ di quel senso sociale tanto amato dai germanisti.

    Niccolò Falez e Carlotta Trucillo

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  8. LORENA GRANATO
    Per ricollegarci a quanto detto nell’ultima lezione su Beseler e a seguito su Otto Von Gierke, esponente del socialismo giuridico tedesco il quale ha preso parte alla conformazione del “nuovo diritto tedesco”, in vista di una codificazione, mi sembra interessante riflettere su questa volontà di tornare alla costruzione di un diritto tedesco come alle origini e dunque più distante dal diritto romano, perché occorre ricostruire la storia del diritto germanico che si svilupperebbe nel corso del Medioevo sulla base delle tradizioni del popolo tedesco, sviluppo arrestato dai giuristi(Beseler).
    Vi posto, a tal proposito, poche righe di uno scritto interessante:

    “I primi decenni del XIX° secolo furono segnati in Germania dalla rinascita dell’idealismo. Durante il dominio del Diritto, questo movimento fu caratterizzato da un tentativo paragonabile a quello che si perseguì durante il dominio della Filosofia Generale: Rompere con il metodo che pretende di lanciare il concetto della osservazione dei fatti come con il relativismo che sembra comportare ciò.
    Si trattava di affermare il primato del concetto della Scienza del Diritto, così come si tentava di fare nello studio della Storia o in Matematica.
    È dopo quell’epoca un luogo comune della dottrina tedesca d’imputare al positivismo quella che si suol nominare”la Decadenza del diritto”.
    In uno studio consacrato alla personalità e al pensiero di Gierke, Erik Wolf dichiara che al momento che egli pubblica, seconda metà del XIX° secolo, la scienza del diritto era divenuta semplice tecnica o compilazione di testi. Storici e legislatori preoccupati di ricercare l’erudizione o di colmare con delle costruzioni artificiali le lacune della legge scritta, avevano perduto il senso dei <>. Essi si eran mostrati incapaci, in un’epoca nella quale la nuova formazione del Reich e i nuovi problemi sociali esigevano soluzioni nuove e costruttive, di svolgere il loro ruolo,perché essi avevano dimenticato che il diritto è essenzialmente un “sistema di valori oggettivi” nel senso Kantiano del termine, per applicare al diritto il casualismo delle scienze naturali.
    Uno dei rimproveri più diffusi che si indirizza al positivismo è che questo sarà all’origine di un legalismo senz’anima, di un’accozzaglia di leggi suscettibili di esse messe al servizio di tutte le cause e generatrice di anarchia individualista. Già nel 1847,un magistrato di Berlino, J.H.v.Kirchmann dichiarò che << la legge positiva aveva messo il diritto al servizio del dubbio, dell’errore, della passione e della follia>>. Nell’allacciarsi a contingenze, la scienza giuridica avrà rinunciato a servire l’ideale e sarà essa stessa divenuta contingente”.
    ….

    Breve passo tratto dal testo “UNE CRITIQUE ALLEMANDE DU POSITIVISME JURIDIQUE” di Charles Bourthoumieux. (Membre suppléant du Conceil Supèrieur de la Magistrature-France-).
    .

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  9. LORENA GRANATO
    a 17 righe dalla conclusione del testo la parola che non compare tra i segni: <> è : VALORI.
    mi scuso.

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  10. Abbiamo accennato a lezione come nell’ottica nazista il fuhrer applicasse il diritto in relazione al caso concreto, non rilevando alcun principio di generalità ed astrattezza della norma giuridica.
    Ho cercato qualche notizia su Carl Schmitt (1888-1985 ), sostenitore di queste teorie (purtroppo non sono riuscito a trovare alcun testo su internet).
    Nato da famiglia cattolica in Renania, compiuti gli studi in legge, insegnò dopo la guerra nelle università di Greifswald e Bonn e nel 1928 ottenne la cattedra di Diritto nella scuola di specializzazione in amministrazione commerciale di Berlino; nel 1933 si iscrisse al Partito nazionalsocialista, fu nominato consigliere di Stato prussiano e ottenne la cattedra di Diritto pubblico a Berlino. Dopo il massacro delle SA del 1934, si tenne un po' in disparte dal regime, difendendo tuttavia le leggi che sopprimevano i diritti civili degli Ebrei, ed accentuando il suo antisemitismo; nel 1945 fu arrestato dagli alleati, venne internato in un campo e nel 1947 fu indiziato per crimini di guerra nel processo di Norimberga, dove si difese sostenendo che i suoi scritti erano soltanto analisi teoriche.
    Tra i suoi principali scritti: La dittatura (1921); Teologia politica (1922); Il concetto del politico (1927); Il Custode della Costituzione (1931).
    Nel suo pensiero, fortemente influenzato dal contesto politico in cui si trovava, il diritto è strettamente connesso alla politica; il concetto centrale è sempre quello di Stato, concepito come entità politica sovrana, con la quale si identifica il popolo.
    Si dedicò quindi all’analisi dei fondamenti della sovranità dello Stato nel XX secolo. In aperto contrasto con Kelsen sostenne che la sovranità si fonda non sulla norma ma su una decisione politica. Più precisamente, prima che si determini un ordine stabilito, entro il quale la norma possa efficacemente operare, esiste uno stato di eccezione, caratterizzato dall’assenza di norme. Sovrano è allora chi nello stato di eccezione riesce ad imporre la propria decisione, dando origine all’ordinamento giuridico. Sovrano è colui che a partire dall’eccezione, ossia dall’assenza di norme, decide instaurando un ordine; dal concreto stato di eccezione e dalla decisione che da esso prende le mosse e fonda un ordine, ha origine la politica.
    Il sistema politico non può fondarsi soltanto su una norma giuridica fondamentale; è necessaria, invece, un'autorità che decida e garantisca la legalità; senza un'autorità sovrana in grado di decidere che cos'è giusto in un caso particolare, esiste soltanto una lotta di gruppi, che combattono ognuno in nome della giustizia e dell'ordine.
    Conseguenza ultima del pensiero di Schmitt è la legittimazione di chiunque detenga il potere politico di decidere chi sia il nemico, inteso nell’accezione di “nemico pubblico”, estraneo al popolo, visto come “l’altro”, in palese continuità proprio con la visione della superiorità della razza ariana promossa dal fuhrer stesso.

    Alessandro Sonnino

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  11. Nella ricerca della famosa Lìttera Pisana (anche nota come Pandette Fiorentine, e divenuta "fiorentina" a seguito della conquista di Pisa da parte di Firenze) sono incorsa nella cosiddetta Scuola Culta.
    E' un movimento dottrinale di giuristi che operò nella fine del Medioevo con il proposito di rinnovare il diritto allora vigente, al fine di comporre una "culta giurisprudenza" .
    Infatti, alcuni umanisti, rendendosi conto che il testo del Digesto presentava degli errori, avanzarono la proposta di correggerlo ricorrendo al manoscritto più antico all’epoca disponibile: la Lìttera Pisana.
    Tutto ciò è stato possibile grazie all'infiltrazione della Glossa, l'interpretazione, a scapito della lettera del testo: come sintetizzato da Paolo Grossi, "il testo giustinianeo altro non è se non un chiodo piantato nel muro, al quale si attacca un filo del tutto autonomo rappresentato dall'interpretatio" . La Scuola culta tendeva, perciò, al recupero di una sorta di ortodossia giustinianea e ad una riabilitazione del dogmatismo, ribaltando la tendenza assunta nel frattempo dal diritto giurisprudenziale, che massimamente di glossa si nutriva e non più del testo, e per questo teneva come punto di riferimento i manoscritti conservati in Toscana.
    Le Pandette Fiorentine erano conservate nella chiesa allora detta di San Pietro in Vincoli, presso la Prioria dei Monaci Olivetani, e molti autori si soffermarono a suffragarne ovvero confutarne l'autenticità anche in epoche di molto successive.
    Infatti, nel XVIII secolo fu piuttosto acceso il dibattito su queste Pandette ed in particolare sul punto della loro "pura" autenticità; il giureconsulto olandese, Arrigo Brencmanno, denunciò che la custodia pisana non fosse stata affatto impeccabile. Per gli studiosi della Scuola culta, ad ogni modo, la Littera era autentica, e come tale fu presa a riferimento per lavorare sugli ordinamenti correnti ad emendarne le incoerenze.


    Serena Pecci.

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  12. Buona sera a tutti...
    Volevo sollecitare una brevissima riflessione su due punti fatti emergere dal professore nella seconda parte della lezione di oggi.
    Uno di carattere più generale e che riguarda il problema della continuità o discontinuità della tradizione del Corpus iuris giustineaneo in occidente tra il 565 d.C. e il XII secolo, e l'altro di carattere più specifico con riferimento al divieto di glossa a margine disposto da Teodosio II all'atto della pubblicazione del suo codice nella prima metà del V secolo...
    Per quanto riguarda il primo aspetto, premesso che di tradizione del Corpus nel suddetto periodo può parlarsi esclusivamente con riguardo a quella che oggi è l'Italia e ciò per forza di cose dato che qui si fermò la "riconquista" giustineanea e perchè di conseguenza gli altri territori d'occidente (in particolare la Spagna) continuaromo a rimamanere influenzati dal diritto teodosiano divulgato dalle varie leggi romano-barbariche, un indizio chiaro a favore della continuità di questa tradizione, a mio modestissimo parere e pur sempre tenendo presente i pochi ma comunque esistenti frammenti che ne denunciano un strisciante applicazione, può essere individuato nella petitio che la contessa Matilde di Canossa(acerrima nemica dell'allora imperatore Enrico V) rivolge a Wernerius(Irnerio), forse nell'ambito del placito tenuto a Baviana(Ferrara) nel 1113, invitandolo a compiere una "renovatio" dei libri delle leggi...beh sgombrato ogni dubbio sulla circostanza che ciò possa essere visto come l'istituzione di una grande Università Imperiale(che autorità avebbre avuto la contessa a riguardo?), a rigor di logica se ad Irnerio viene chiesto di restituire al testo delle leggi la sua antica forma(solo così può essere inteso il su indicato invito alla renovatio) ne consegue che qualcosa in qualche modo, a quel tempo e da secoli, doveva circolare con riguardo ai libri legales per quanto fosse appunto "corrotto"...
    Con riferimento al secondo punto invece semplicemente credo che il divieto di glosse opposto da Teodosio II, lungi dall'essere rivolto all'interpretazione, costituisce un espediente tecnico di divulgazione del testo, che può essere inteso come una risposta nuova ad un problema, allora molto sentito ma che in parte affligge anche i tempi moderni, vale a dire la c.d. certezza del diritto, che tra l'altro più o meno nello stesso periodo spinse il suo collega d'occidente, Valentiniano III, ad adottare nel 426 d.C. la famosa legge delle citazioni.Grazie.
    Vittorio Ferro

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  13. riguardo alla continuita del d romano durante l'alto medio evo
    Per cercare tracce di diritto romano nell'alto medio evo , epoca che vide tanta parte dell'italia preda dei barbari, possiamo rivolgere lo sguardo verso quelle regioni di essa che sfuggirono all'invasione.Roma riuscì a contrapporsi ai conquistatori per la forza politica che vi risiedeva: il papatp.
    La scuola Imperiale fu la scuola piu famosa di diritto a Roma. Questa ,importantissima all'epoca di Giustiniano, riuscì a sopravvivere fino all'arrivo dei Longobardi, dovette poi soccombere.
    Però una tradizione , raccolta da Odofredo, Maestro della scuola di Bologna , detta dei Glossatori, nel XIII sec. ci direbbe che la Scuola di Roma sarebbe stata costretta a rifugiarsi a Ravenna.
    A provare questo è uno scritto di San Pier Damiani che racconta che a Ravenna vi era una continuità con il diritto Romano , riscontrata nella computazione dei gradi di parentela fatti ancora secondo la regola romana.
    Francesco Calasso "Medio Evo del diritto" 1954
    Lavinia Masini, Marianna Saponara, Grazia Pavoncello

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  14. Nata come interpetazione di parole oscure, affinchè il testo non risultasse ostico per l'utilizzo di termini lontani nel tempo.
    Il divieto di introdurle venne sancito da Giustiniano al fine di applicare un diritto che non fosse mediato da alcuna interpetazione, mantenendo il testo puro rispetto alla contaminazione di glosse che esulavano dalla semplice sostituzione di vocaboli non più appartenenti al linguaggio corrente.
    Ad ogni modo, proprio l'impossibilità di introdurre glosse, da una parte ha salvaguardato il contenuto del Codex, dall'altra però (rovescio della medaglia!) non ha permesso un'opera di interpretazione puramente letterale che rendesse il testo maggiormente comprensibile.
    Quest'ultima considerazione spiega il sorgere dal VI secolo con la cosiddetta glossa torinese e via scorrendo (..la Scuola di Pavia per gli Editti Longobardi e il Capitulare Italicum, la glossa bolognese i cui testi riorganizzati hanno permesso la compilazione della Magna Glossa, ed altre ancora...)scuole che grazie al contatto diretto con il testo, libero da ogni influenza storica potevano avere una conoscenza realmente obiettiva di questo.
    Marianna Saponara, Lavinia Masini, Grazia Pavoncello

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  15. bè ci scuserete vista l'ora...non abbiamo introdotto il testo, riguarda le glosse ovviamente! scusate!
    M. Saponara L. Masini G. Pavoncello

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  16. Il senso del tempo nel Medioevo.
    E' il Sole che imprime al tempo il suo ritmo: l'alternarsi del giorno e della notte, il ritorno ciclico delle stagioni; questa successione immutabile e perfetta appartiene a Dio e quindi alla Chiesa. Le feste liturgiche scandivano secondo gli avvenimenti astronomici l'anno, così come le preghiere seguendo il ritmo del giorno e della notte suddividevano la giornata. Le pratiche per calcolare il tempo (la quantità di ore all'interno della giornata, che varia tra l'equinozio e il solstizio; il conteggio delle ore nelle giornate senza sole o durante la notte, che avveniva attraverso l'utilizzo di candele che si consumavano ogni 3 o 4 ore ciascuna, ad esempio la notte durava 3 candele) non erano curate dalla popolazione che viveva nel "tempo della Chiesa". Le masse di contadini non sentivano l'esigenza di conoscere la propria età, determinare un'ora precisa o stabilire il numero degli anni.
    Alla fine del Medioevo, con l'avvento dell'orologio meccanico che andò a sostituire le campane della Chiesa, e la possibilità di un conteggio di ore uguali tra loro, si realizzò un grande cambiamento intellettuale. Si concepiva ora un tempo "laico" il cui calcolo non era più un privilegio della Chiesa. L'utilità del conteggio del tempo venne riconosciuta dai mercanti, i quali per primi ne scoprono il valore. Era il tempo infatti a scandire i viaggi, gli affari, gli scambi.
    Robert Delort "La vita quotidiana nel Medioevo"

    Credo che questa breve panoramica renda ancora più evidente il conflitto circa la "paternità" del tempo, che rilevando nella pratica della vita quotidiana non poteva che riflettersi sul piano giuridico, venendosi a creare una sorta di dicotomia tra "tempo sacro" e "tempo laico".
    Marianna Saponara

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  17. Concezione del falso: mendacium, veritas, auctoritas.
    Perché la Chiesa ha potuto riservare tanta fortuna ad un falso? Il pullulare in quell’epoca di
    falsificazioni fa pensare che si desse all’alterazione dei testi un valore diverso da quello che gli si dà
    oggi.
    È evidente che si davano casi in cui il falsario fuorviava intenzionalmente i lettori al fine di
    procacciarsi un illegittimo profitto personale, e allora cadeva nel grave peccato di mendacium che
    la chiesa aborriva. La condanna del mendacium era diventata un tòpos della patristica sin da s.
    Agostino di cui sono noti il De mendacio (395) e il Contra mendacium (420ca)
    V’erano casi però, come quello dello Pseudo-Isidoro, in cui l’autore non si riprometteva
    affatto di indurre qualcuno in errore; si riprometteva al contrario di giovare alla chiesa dei fedeli
    riportandola alla purezza del suo stato di grazia originario, ossia sostanzialmente di condurla sulla
    retta strada della veritas religiosamente intesa. E la verità, nel campo dottrinale va sempre recepita:
    se vi è certezza della verità del contenuto, anche l’apocrifo deve essere accettato.
    Per quanto poi riguarda i testi normativi e quelli canonici in via specialissima, due sono i criteri formali di valutazione.
    Il meno importante nel medioevo era quello della genuinità/originalità della scrittura, che
    riguardava essenzialmente l’accertamento della paternità e della datazione.
    Decisivo era invece il carattere dell’autenticità, ed autentici erano, secondo il valore medievale del
    termine, tutti gli scritti caricati di un’auctoritas che ne impedisse il rifiuto. Emblema stesso
    dell’autenticità erano i testi sacri che la chiesa aveva recepiti e corredati di un’autorità non
    discutibile. Un’opera teologica, invece,
    pur essendo sicuri il testo e la paternità, poteva non essere ritenuta autentica se non fosse stata
    ufficialmente recepita, viceversa diventava autentico un apocrifo, pur riconosciuto come tale,
    quando la chiesa lo accettava e faceva proprio.
    grazia pavoncello

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  18. Riguardo a Otto Von Gierke , sono riuscito a trovare un articolo su internet del prof: Diego Corapi.



    “”Si narra che Otto Von Gierke in un incontro con Maitland abbia confermato di non
    essere mai riuscito a comprendere a fondo il senso di un istituto come il trust.
    L'aneddoto attesta in modo emblematico le difficoltà per i giuristi continentali,
    cresciuti nella coscienza dell'unità e organicità dell'ordinamento giuridico, di calarsi
    nello spirito della tradizione di common law, basata invece sulla concorrenza di
    diverse giurisdizioni e sull'incidenza di distinti ordini istituzionali nella disciplina dei
    rapporti tra privati. Poichè, in fondo, di questo si tratta nel trust: la situazione
    soggettiva del legal owner è riconosciuta come una proprietary right ed il suo titolo
    ha carattere di assolutezza at common law (secondo il diritto comune), ma deve fare i
    conti con la possibile compresenza di un'altra distinta situazione soggettiva (quella
    dell'equitable owner) di carattere anch'esso assoluto che è riconosciuta nella distinta
    sfera dell'ordinamento di equity. La distinzione, basata sull'esistenza di due distinti
    sistemi giudiziari in Inghilterra fino alla riforma della seconda metà dell'Ottocento,
    ha mantenuto il suo significato anche dopo l'unificazione del sistema delle Corti.
    La flessibilità che il riconoscimento di diverse situazioni giuridiche relativamente agli
    stessi beni consente ha, anzi, fatto del trust lo strumento per la soluzione di tutte
    quelle questioni che richiedono una disciplina articolata e più complessa della
    semplice individuazione di situazioni giuridiche omogenee e contrapposte.
    Il trust ha consentito nella common law la disciplina delle diverse pretese intorno a
    patrimoni separati o di destinazione, che nella civil law viene invece risolta con
    soluzioni di secondo grado, quali la costruzione di soggetti giuridici distinti dalle
    persone fisiche e di un così detto rapporto organico in virtù del quale le persone
    fisiche traducono in atti giuridici l'esigenza di dare rilevanza distinta a tali patrimoni
    (non a caso proprio Gierke, teorico della così detta "realtà" di queste creazioni,
    confessava difficoltà a comprendere il trust).
    Il trust consente al giurista di common law di dare disciplina adeguata anche a quelle
    situazioni in cui il giurista continentale, ritenendo eccessivo il ricorso allo strumento
    della soggettivazione di patrimoni, impiega uno strumento più limitato (l'ufficio)
    ovvero non definisce la situazione proprietaria: esempio del primo tipo, la curatela
    fallimentare; esempio del secondo tipo, i fondi comuni di investimento.
    Il trust è, poi, impiegato nella common law anche per risolvere questioni poste
    dall'incompleta elaborazione in quel sistema di una categoria generale delle
    dichiarazioni di volontà: così ad esempio parlare di un contratto preliminare””


    Matteo Gobbo

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  19. Salve a tutti, presso la biblioteca dell'ateneo sono riuscito a trovare un libro di Paolo Grossi, (l'Europa del diritto) , sono rimasto molto curioso durante la lezione quando il Prof. Conte ha citato la sua critica verso Grossi e quindi volevo leggere qualcosa di Paolo Grosso.
    il libro qui sopra citato diciamo che è abbastanza lineare alla storia del diritto comune, segue un itinerario abbastanza basato sulla nostra esperienza giuridica, il libro cerca di dominare l'interezza del passaggio giuridico, collocando il diritto come una mentalità che ordina il costume, fino ad arrivare forse al capitolo piu interessante riguardo la mia opinione,quindi verso il coronamento di un lavoro storico , cioè verso BGB, che prese avvio nel 1887 , stiamo parlando della sua prima presentazione da parte di una commissione,malgrado la presenza di giuristi teorici e pratici, il risultato fu un prodotto caratterizzato da una scelta decisa per l'astrattezza e per un linguaggio complicato con contenuti tecnici altamente dottrinari , quindi di difficile accesso al cittadino.
    il progetto fu come il sasso lanciato in una un un mare calmo , provocando il levarsi di parecchie voci polemiche , sia culturali sia basate sull'ideologia.
    tra i piu importanti interventi troviamo quello di Otto Van Gierke che ha un crescente prestigio ( piu appartato e discreto rispetto alla ufficialità romanista) del diritto consuetudinario.
    egli muove il suo attacco in un libello che è tutto un contrappunto fra le astrazioni borghesi del verbo pandettistico e la solida concretezza del Deutshe Recht.
    Si passa a una seconda commissione a un nuovo progetto, che fa entrare ufficialmente in vigore il bgb nel 1900


    Matteo Gobbo

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  20. La caratteristica peculiare del BGB è il principio di astrazione (nella terminologia giuridica tedesca “Abstraktionsprinzip”), che domina l'intero codice ed è di capitale importanza per la corretta comprensione del sistema del BGB. Un esempio consente maggiore comprensione: nel sistema del BGB, la proprietà non è trasferita con un contratto di vendita al momento della manifestazione del consenso dei contraenti come avviene in moltissime altre legislazioni. Secondo il BGB un contratto di vendita semplicemente "obbliga" il venditore a trasferire la proprietà del bene venduto all'acquirente. La Sezione 433 del BGB dichiara esplicitamente quest'obbligo del venditore, così come quello dell'acquirente a pagare il prezzo negoziato. Per il trasferimento della proprietà, è necessario un altro contratto che è regolamentato dalle sezioni 929 et seq. Quindi, nel caso del semplice acquisto di un bene pagato immediatamente in contanti, la legge civile tedesca interpreta la transazione come composta da (almeno) tre contratti: il contratto di vendita in sé, che obbliga il venditore a trasferire la proprietà del prodotto all'acquirente e l'acquirente a pagare il prezzo; un contratto che trasferisce la proprietà del prodotto all'acquirente, adempiendo all'obbligo del venditore; e un contratto che trasferisce la proprietà del denaro dall'acquirente al venditore, adempiendo all'obbligo dell'acquirente..
    Anche se il principio di astrazione non si trova in sistemi giuridici che non siano di stampo germanico, e contraddice l'usuale interpretazione di buon senso, delle transazioni commerciali, esso è indiscusso nella comunità legale tedesca. Il principale vantaggio del principio di astrazione è la capacità di fornire una costruzione legale sicura per praticamente tutte le transazioni finanziarie, indipendentemente da quanto queste siano complicate. Un buon esempio è quello noto del mantenimento del titolo. Se qualcuno acquista qualcosa e paga il prezzo di acquisto con delle rate, il sistema si confronta con due interessi contrastanti: l'acquirente vuole avere subito il prodotto acquistato, mentre il venditore vuole assicurarsi il pagamento dell'intero prezzo di acquisto. Con il principio di astrazione il BGB da una risposta semplice: il contratto di acquisto obbliga l'acquirente a pagare il prezzo pieno e richiede al venditore di trasferire la proprietà al ricevimento dell'ultima rata. Poiché gli obblighi e l'effettivo passaggio di proprietà sono in due contratti differenti, è abbastanza semplice assicurare gli interessi di entrambe le parti. Il venditore mantiene il diritto di proprietà fino all'ultimo pagamento e l'acquirente è il mero detentore del bene acquistato. Se non riesce a pagare per intero il venditore può reclamare la sua proprietà come qualsiasi
    altro proprietario.

    Matteo Gobbo

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