lunedì 17 ottobre 2011

Pandettisti: tra Windscheid e Heusler

Come vi ho detto oggi, l'enorme produzione della scuola storica tedesca in materia di diritto privato è digitalizzata dal Mx-Planck-Institut per la storia del diritto di Francoforte.
Guardate ad esempio il frontespizio del trattato di Heusler o l'indice delle famose Pandette di Windscheid.
Se avete dubbi o idee da prospettare lasciate un commento.

16 commenti:

  1. Federica Ferreri
    Ho provato a cercare sul Mx-Planck-Institut il trattato di Heusler; è questo?
    Heusler, Andreas:
    Institutionen des Deutschen Privatrechts
    Leipzig , 1885
    http://dlib-pr.mpier.mpg.de/m/kleioc/0010/exec/books/%22151346%22

    E "il diritto delle pandette" di Bernhard Windscheid:
    Windscheid, Bernhard:
    Lehrbuch des Pandektenrechts - 6. Aufl.
    Frankfurt a.M. , 1887
    http://dlib-pr.mpier.mpg.de/m/kleioc/0010/exec/books/%22214201%22

    In quest'altro link c'è l'indice vero e proprio: http://dlib-pr.mpier.mpg.de/m/kleioc/0010/exec/bigpage/%22214201_00000003.gif%22

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  2. Fede è quello che trovi cliccando sopra i nomi qui sul post :) ma penso sia lo stesso! ero curiosa di leggere direttamente sul testo l'immagine che Heusler ha dato del diritto germanico (la metafora del corpo e del muro) sapete dove poterlo cercare? In italiano dubito ci sia!

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  3. Avevo letto il post dal cellulare senza accorgermi che ci fosse già il collegamento...Allora ho provato a cercare su internet! Grazie comunque :) :)

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  4. Ripensando alla lezione di ieri sui germanisti e in particolare sulla visione astorica del diritto e il loro continuo attingere a norme,regole ritenute sempre valide e svincolate da un determinato periodo storico,una sorta di diritto immanente nella storia stessa del popolo tedesco,mi sono chiesta se è possibile vedere nel successivo BGB una sorta di reazione a questa concezione del diritto,in quanto la scelta del legislatore è stata quella di utilizZare formule imprecise,vaghe,tali da consentire una interpretazione diversa a secondo del periodo storico,della realtà economico-socio-politica.
    Da una parte cioè abbiamo una visione statica del diritto,dall altra la risposta
    alla necessità di non imbrigliare il diritto in formule non modificabili,ma di
    adeguarlo in base all evolversi dello zeitgeist e volksgeist.

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  5. Ho avuto modo di leggere la parte del manuale di Francesco Calasso "Medioevo nel diritto" in cui si discutono le tesi di Enrico Brunner e Ludovico Mitteis; queste riguardano una il problema della storia del titolo al portatore (argomento, tra l'altro, affrontato proprio ieri a lezione) che secondo Brunner non aveva radici nel diritto romano ufficiale ma "si legava ad una prassi che, alterando gravemente il diritto ufficiale, aveva lentamente immedesimato l'obbligazione nella pergamena che la documentava". Secondo Brunner così come era sorto un latino volgare accanto alla lingua latina scritta, per analogia era sorto un diritto romano volgare accanto al diritto scritto. L'altra tesi, quella del Mitteis, sviluppando e dilatando quella del Brunner, affrontava "il problema della persistenza dei diritti locali nonostante la romanizzazione" con particolare riguardo alle province orientali. Come abbiamo detto ieri a lezione Calasso ci racconta che queste due tesi hanno subito una sorta di "degenerazione" ad opera di due storici italiali, Besta e Solmi, che hanno parlato di diritti italici preromani. E proprio Calasso, riprendendo le obiezioni già sollevate da Brandileone, ha negato ciò sottolineando il fatto che i due storici italiani erano andati ben oltre quello che Brunner e Mitteis volevano dire. Ho trovato molto interessante la lettura di questi paragrafi del manuale poiché riassumono i punti salienti della lezione di ieri chiarendo in maniera esplicita che la teoria dei germanisti secondo cui il diritto romano sarebbe stato il diritto di uno "Stato oppressore" non si adatta all'Italia.

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  6. Come suggerito alla lezione di ieri, ho recuperato il manuale del Calasso "Il Medioevo del diritto" e approfondito la questione sulla volgarizzazione del diritto romano. Mi ha colpito particolarmente la concezione del diritto volgare del Brunner e del Mitteis. Brunner, autore della maestosa opera "Zur Rechtsgeschichte der romischen und germanischen Urkunden", pubblicata nel 1880 e dedicata alla storia del diritto romano e germanico, trattava il problema della storia del titolo al portatore e trovava che questa forma di documentazione non aveva radici nel diritto romano ufficiale ma si legava invece ad una prassi slegata e indipendente dal diritto scritto, qualificata dallo stesso come diritto romano volgare per l'evidente analogia con il latino volgare. Questo diritto, che si presentava come svolgimento o degenerazione del diritto romano puro, presentava una evidente analogia con il latino corrotto, qualificato dall'autore come latino volgare. La sua idea ebbe grande successo e fu integrata undici anni piu' tardi da un'altra opera tedesca dovuta al celebre storico del diritto Ludovico Mitteis, intitolata "Reichstrecht und Volkscrech in den ostilichen Provizen des romischen". Egli affrontava, con particolare riguardo alle province orientali dell'Impero, il problema della persistenza dei diritti locali, malgrado la romanizzazione, precisando la lotta tra il "diritto statuale" e il "diritto popolare".
    La filologia romanza ha superato questo concetto del latino volgare come deformazione e degenerazione del diritto romano ufficiale e ha chiarito che il latino volgare debba essere concepito semplicemente come il diritto vivo, il diritto parlato, non solo dai plebei, contadini, forestieri, ma da tutti nei quotidiani rapporti della vita, quel diritto che nasceva in tempi di carenza del potere pubblico e di inoperosità della giurisprudenza.

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  7. http://fragmentaiuriscivilis.myblog.it/media/01/01/904940488.pdf

    Questo sito è interessante in quanto oltre a descrivere il processo di formazione del BGB,si incentra in particolar modo sul sostrato filosofico-giuridico che ha portato alla codificazione incentrando l attenzione sulla figura di Savigny,la scuola storica e Windscheid che viene considerato l incarnazione della pandettistica, tant'è che un motto che circolava all'epoca suonava così "giurisprudenza vuol dire pandettistia,pandettistica vuol dire Windscheid".
    Il vero diritto fu per Windscheid "vincolato e però libero, fermo e però mobile,severo e però mite",il che rispondeva all'antico diritto romano. Il giurista era chi,come i giuristi romani dell antichità "sa allo stesso modo servire i suoi concetti e innalzarsi con consapevole libertà al di sopra di essi".

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  8. lucio maria lanzetti18 ottobre 2011 alle ore 19:57

    io ho analizzato i testi di Heusler e Windscheid scorrendo il loro indice, e ho ritrovato un dato statistico che mi ha lasciato un po perplesso, suonandomi quasi come una incongruenza: Heusler scrive un'opera intitolata "Institutionen des Deutschen Privatrechts", quindi dal genere letterario dovrebbe trattarsi di un testo destinato all'apprendimento di studenti del primo anno, nel quale mi aspetterei di trovare numerosi concetti e definizioni di base, che forniscano proprio agli studenti gli strumenti per poi proseguire il percorso formativo e approfondire le questioni: in tedesco "concetto" si esprime con "begriff", e questa parola viene usata da Heusler solo raramente nell'opera, in una sorta di parte introduttiva che riguarda il formalismo, e successivamente per la definizione di persona giuridica; ritrovo invece nel lavoro di Windscheid, che scrive invece "Lehrbuch des Pandektenrechts", (in cui "lehrbuch" se la traduzione è corretta, sta per "libro destinato all'insegnamento", quindi un genere letterario molto simile anche se privo del nomen di istituzioni) un ampio uso del termine "Begriff", sia proprio in apertura dell'opera, sia in un tema generale come i diritti (begriff des rechts), sia poi in numerosi paragrafi sparsi nei libri (numeri 15, 20, 43, 57, 69, 86, 114, addirittura ad inizio del 3 libro sono 2 consecutivi).

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  9. Ero rimasta affascinata dall’idea comunità intesa nel suo significato etimologico di cum munus, dono di una parte della propria individualità in vista di qualcosa di sovra individuale, perciò ho provato a leggere il libro che ci aveva consigliato “communitas” di Esposito.
    Pensando poi alla lezione di ieri dell’idea di genossenschaft di Gierke ho provato a fare un confronto fra la sua idea di comunità, sulla base di un breve saggio del 1902 sulla natura delle unioni umane, e quella di Hobbes, a mio parere completamente opposta ( trovando poi un riscontro di questa intuizione nello stesso libro di Esposito)
    Esposito nella parte introduttiva del libro sostiene che ci siano diversi modi per intendere il concetto di comunità, ma che quasi tutti siano paradossalmente riconducibili all’area semantica della proprietà; mi spiego meglio: se ad una prima impressione l’idea di comunità sia il contrario del concetto di proprium, alla fine finisce per configurarsi come una qualità, una “ sostanza” propria, di proprietà di coloro che della comunità fanno parte. La stessa comunità Weberiana, continua, è definita come “ la comune appartenenza sentita dagli individui che ad essa partecipano”. Qualcosa in più, quindi, che si aggiunge all’ essere individuali dei soggetti che la compongono. L’autore vuole distaccarsi da tale concezione per sostenere invece un’idea di communitas che non aggiunge, ma toglie qualcosa all’individuo. Come ci ha detto ieri a lezione, Esposito parte dell’etimologia della parola e approfondisce il significato di “munus”, questa parola da un lato è sinonimo di donum dall’altro ha un significato più spacifico e apparentemente contrastante: quello di dovere, ufficio, un’idea di cogenza insomma; munus è infatti quel dono che esige in cambio un controdono, rimanda all’idea di dono non gratuito, ma contrassegnato dall’elemento dello scambio. A partire da questa scoperta, definisce communis colui che condivide un carico e communitas un insieme di persone unite non dalla proprietà di una qualifica, ma da un dovere, un debito, un vuoto. I membri della communitas sono privi fin dal principio dell’individualità intera, completa, partono con un debito nei confronti dell’altro e per questo sono costretti ad uscire da se stessi ( a non essere monadi mi viene da pensare). Perciò, conclude, la comunità non può essere costruita come un corpo più grande nel quale i singoli si fondono .

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  10. Passando poi al confronto che mi propongo di fare, mi pare che sia Hobbes che Gierke pongano come base fondamentale della stato una comunità; per il primo una creazione artificiale che possa porre fine ai rischi enormi dello stato di natura, per il secondo una forma di unione prima e indipendentemente dal diritto, che, anzi, crea essa stessa diritto e sulla quale il diritto deve essere plasmato. Un capovolgimento di prospettive quindi. Da un lato una creazione artificiale realizzata mediante il dritto ( contratto sociale), dall’altro una realtà fisica e spirituale immanente. ( interessante sarebbe approfondire la dimostrazione della materialità e della spiritualità che G. prevede nel saggio).
    Anche pensando alla costruzione di tale unione vedo una contrapposizione forte: Gierke, infatti, ritiene che l’ unione-persona giuridica sia un Tutto ulteriore rispetto alla somma della forze individuali, un organismo che è qualcosa di più della somma degli organi che lo compongono, ogni membro ( la terminologia medica ritorna) è titolare di diritti, doveri e di una posizione (rapporti di sovra-sottordinazione) all’interno del Tutto. Questo Tutto non può identificarsi con la persona del sovrano ( Hobbes) e la stessa rappresentanza dell’unione è diversa da quella del diritto giuridico individuale: è rappresentanza organica ( con interessante paragone tra la persona ficta considerata alla stregua di un minore incapace e l’unione persona giuridica come un soggetto capace, in grado di agire e volere nel mondo circostante attraverso l’operare del sui organi; mi sembra di vedere, peraltro, un punto di contatto con la disciplina della società nel diritto attuale). Secondo Gierke è anche imputabile per colpa (cosa fermamente contrastata dai sostenitori della persona ficta).
    Hobbes invece viene definito da Esposito come il “più strenuo avversario della comunità”: ritiene che l’unica cosa comune fra gli uomini sia “un’uccidibilità generalizzata”, la legge di natura, la necessita di perseguire la propria sopravvivenza nella consapevolezza che questo può avvenire sono a scapito dell’altro da sé. Di fronte a questa realtà gli uomini preferiscono costruire una comunità attraverso un patto, che per mezzo della paura della sanzione possa farli uscire dallo stato di natura in vista di una “ pace”. A ben vedere però il risultato dell’ accordo è tutto il contrario di una comunità, il corpo politico è semplicemente la somma degli individui, la loro incorporazione in una persona sovrana che ha il volto del re (http://www.bl.uk/onlinegallery/takingliberties/images/55hobbesleviathansmall.jpg copertina del Leviatano). È unità senza relazione. Come conclude Esposito: se l’unica comunità sperimentabile dall’uomo è quella del delitto, la soluzione di H è il delitto della comunità.

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