domenica 11 aprile 2010

Irnerio e l’Authenticum

Irnerius, Gl. in const. Cordi : "…nulla alia extra corpus eiusdem Codicis constitutione legenda, nisi post ea varia rerum natura aliquid novum creaverit quod nostra sanctione indigeat…hoc a nobis et constituatur et in aliam congregationem referatur, que Novellarum nomine constitutionum significetur".

Hinc argumentum sumi potest quod liber iste, idest Authentica, sit repudiandus. Eius enim stylus cum ceteris Iustiniani constitutionibus nullo modo concordat, sed omnino inter se discrepant. Item eius libri principium nullum est, nec seriem (al. stylum, al. finem) nec ordinem aliquem habet. Item novelle iste constitutiones de quibus hic loquitur non promittuntur nisi de novis negotiis et nondum legum laqueis innodatis. y.

… Novelle quippe constitutiones de quibus hic loquitur nonnisi de novis negotiis et que nondum sunt laqueis legum innodata promittuntur. At leges ille (si modo “leges” dicende sunt) de his dumtaxat negotiis loquuntur de quibus et Codex, cui et in pluribus adversantur. Non est autem verisimile Iustinianum, huic operi toties tanto labore tantaque diligentia confecto mox adversa constituisse, scilicet ut contra suum propositum reperiatur aliquid in legum articulis contrarium… (ed. Biener 607; Heimbach ccccxlix; Pescatore 44 nt.2; Besta 123 nt. 3; Dolezalek Repertorium 132)

Iohannes Bassianus, Prooemium in Authenticum. (ed. Biener, 607-8): Liber iste dudum liber Novellarum dicebatur, verumtamen, quia alius liber est hoc nomine vocatus qui tractat similem expositionem huius, postea placuit, ut ad eius differentiam huius libri nomen mutaretur, ut authenticum vel authentica seu liber authenticorum nominaretur: eo quod prae ceteris legum libris authorizabilis habeatur.

Huius autem libri autor fuit dominus Iustinianus, et sic hodie totus mundus observat et praedicat ubique, licet a quibusdam temere sibi blandientibus aliquando contrarium non solum dictum, sed etiam scriptum fuerit quoniam (melius: quod) scilicet a monacho vel ab alio scriptum fuerit, ut ait Hyrnerius, quod apparet per suam notulam in const. de emend. Iust. Cod. circa finem positam. Sed tamen quod Hyrnerius voluit dicere verum esse potest quoad dicta, sed tamen auctoritas a Iustiniano data fuit.

Azo in const. Cordi:

Per literam istam nitebatur Gua. dicere quod liber Authenticorum non est factus a Iustiniano, eo quod hic dicit se facturum Iustinianus constitutiones si natura creaverit aliquid novum, sed ibi nil novi continetur, sed correctio veteris iuris. Item hic se promittit Iustinianus facturum constitutiones. Item quod ille liber nec principium habet nec finem nec stilum sicut alii libri Iustiniani. Et hoc dicebat ideo quia quidam in causa quadam obtinuerat contra ipsum per Authenticum. Sed tamen et ex consuetudine contrarium est et eos qui grecam linguam noverunt. secundum Az.

Odofredus in const. Cordi

Sed credo quod dominus Irnerius ei qui allegavit contra eum l. Auth. dum esset in iudicio, dedit tunc tale responsum (ut supra dixi) ideo, quia non studuerat adhuc in libro illo: unde necesse habuit dare tale responsum. Sed ipse postea mutavit opinionem suam quia sapientis est mutare consilium in melius, et dixit quod standum erat illi libro, et in illo libro studuit optime et bene scivit eum, quod apparet ex eo, quod ipse totam utilitatem posuit super C., signando auct. que leguntur super C.

24 commenti:

  1. Giulia Cianetti, Amelia Schiavone e Alessandro Serrani12 aprile 2010 alle ore 18:13

    A seguito della lezione odierna, ci è sembrato opportuno effettuare una ricerca per cercare di ricostruire un quadro storico di riferimento che ci aiuti a comprendere meglio quale sia il percorso attraverso cui si passa da una lettura acritica del testo, visto come ricettacolo di Verità assoluta, ad una visione critica, che porta con sé, non solo la nascita di un metodo dialettico di studio del testo, ma anche e soprattutto uno studio filologico dello stesso.

    L’ XI è un secolo vivace e pieno di innovazioni.
    Ci troviamo di fronte un millennio che si apre con un risveglio, con una nuova economia, agricoltura; commerci che superano i confini, tasso demografico e città che si espandono, per prendere quella che sarà poi la forma comunale.

    Queste innovazioni di certo non potevano non premere sulla cultura del tempo che, proprio come i commerci e le città, visse un forte risveglio.

    È il secolo in cui si assiste alla nascita della Scuola di Bologna, con il suo capostipite in Irnerio, ed allo sviluppo della Scienza Giuridica.
    La culla di questo grande risveglio possiamo individuarla nel fenomeno religioso della Riforma Gregoriana, che con la sua forte religiosità ha invaso anche il mondo laico. Fermento da cui è nata la chiesa nuova - la chiesa gregoriana - con una struttura politica, nuove organizzazioni e nuovi scopi, agendo direttamente sulla cultura.
    Chiesa che necessitava di nuovo ordinamento giuridico. E proprio per questo motivo Gregorio VII diede impulso ad un’ondata di ricerca di manoscritti antichi.
    Dalle biblioteche vengono tirati fuori Canoni, Decretali, opere dei Padri della Chiesa, ma non solo. Proprio in questo periodo riemerse, dopo molti secoli, nelle mani degli scrupolosi ricercatori, una parte del Digesto di Giustiniano.

    Protagonista di quest’epoca fu il Libro e ci troviamo di fronte ad un profondo dialogo tra lo studioso ed il testo; testo guardato con venerazione, nonostante i problemi di comprensione che porta con sé.
    Ma c’è qualcosa di più: nell’atmosfera della riforma matura anche un nuovo metodo di studio, un nuovo metodo di lettura del testo.
    Il libro è il testo antico; testo da cui si prevede scaturisca saggezza.
    Ci troviamo quindi di fronte ad un Rinascimento del testo.

    L’approccio ovviamente non è più quello che si è avuto nell’alto medioevo con le Sacre Scritture, depositarie di una verità che si doveva accogliere e recepire passivamente. Lo studioso dell’epoca, infatti, non inquinava la Verità con le proprie idee. Nei primi approcci dell’XI secolo, invece, i violenti studiosi gregoriani guardano al testo sacro con occhi critici. Di ciò ne abbiamo certezza per via di un opuscolo di Pier Damiani – componente della triade dei Gregoriani – uomo colto e conoscitore del diritto, nonché eremita, poi monaco ed infine eletto cardinale, che scrive all’abate Desiderio di Montecassino, il quale sarà poi Papa dopo Gregorio VII.
    Ebbene, Pier Damiani scrive a Desiderio lamentandosi degli studiosi del tempo, i quali iniziano ad usare troppa dialettica, troppa retorica, denunciando quindi lo spirito critico che andava pervadendo gli ambienti gregoriani.

    ( Prosegue nel prossimo commento )

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  2. Giulia Cianetti, Amelia Schiavone e Alessandro Serrani12 aprile 2010 alle ore 18:15

    Pier Damiani parla quindi di dialettica; intendendo cosa?

    La dialettica può esser quella platonica, ovvero la dialettica della distinzioni; delle distinzioni dei vari aspetti di cui si compone il testo.
    Ma può esser anche dialettica aristotelica, con la sua logica del probabile e non del certo. E proprio la dialettica aristotelica torna in auge in questo secolo; periodo in cui si parte dal dubbio per creare una certezza, anche li dove una certezza non c’è.
    Nasce quindi la Praesumptio.
    Per noi la dialettica riporta ovviamente a Fichte ed Hegel e la sintesi dei contraria, ma essa non trova posto in questo periodo, dove invece l’interesse si concentra sull’oppositio dei contraria. Ci si pone di fronte al testo sacro con intenzioni critiche, scoprendone le infinite contraddizioni e con la necessità di aggredirlo.
    Il testo viene ancora guardato con venerazione, ma è un testo che crea problemi e non più e solo un ricettacolo di Verità.
    Subentra allora la dialettica platonica della distintio, che permette agli studiosi di comprendere le contraddizioni del testo.
    Il procedimento di questa distintio contrariorum è quello di distinguere le parti contrastanti e cercare la Vita del testo nella solutio.
    Emerge proprio in questo periodo il metodo brocardico, con la creazione di principi generali, di una verità che può essere tratta dai testi e proprio dai testi deve essere supportata.
    Metodo costruito nel clima incandescente della Riforma Gregoriana, per l’approccio ai testi sacri e che viene poi ripreso dai giuristi.

    Irnerio fu maestro delle Arti liberali e proprio dalle scuole liberali assorbe questo metodo; ma anche qui vi sono delle contraddizioni; cosi, ad esempio, Irnerio elimina la quaestio dalle sue fonti e dal Digesto, dove i giuristi romani avevano già utilizzato questo metodo.
    Il metodo rappresenta il rapporto personale intensissimo che si viene a creare tra lo studioso e il testo.
    È un’epoca in cui il libro costituisce la cultura.

    Verso la metà del 1200, Odofredo, a proposito della nascita della scuola di Bologna, fa una descrizione che rappresenta proprio il modo di vedere di quei tempi: la nascita della scuola di Bologna si ha quando, certi libri, che si trovavano a Roma, a seguito di alcune guerre e della distruzione della scuola di Roma, vengono trasferiti primi a Ravenna per poi raggiungere in un secondo momento Bologna. E l’arrivo di quei libri segna proprio la nascita della scuola di Bologna.
    Il libro viene quindi considerato un protagonista della vita culturale del tempo.


    Risultato ovvio è che la scienza nasce anzitutto come scienza filologica.
    Il contenuto era l’obiettivo, ma prima di tutto ci troviamo di fronte ad un lavoro filologico cui lo studioso teneva molto. C’è il gusto della ricerca degli originali delle opere studiate.
    La plena scientia è la scienza formatasi sui libri originali: “L’acqua bisogna attingerla alle sorgenti”.



    Fonte: Lezione del Prof. Ennio Cortese sulla Riforma Gregoriana, la nascita della Scuola di Bologna e della Scienza Giuridica, reperita su Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana.

    Giulia Cianetti, Amelia Schiavone e Alessandro Serrani.

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  3. Riguardo alla genesi e alle fonti delle Novelle giustinianee ho reperito sul web un articolo di Timothy G. Kearley professore all’università del Wyoming disponibile all’indirizzo
    http://uwacadweb.uwyo.edu/blume&justinian/AJCNovels2/KearleyJustNovelsweb.pdf
    Egli parte subito rilevando la scarsità della letteratura anglosassone in tema di storia del diritto giustinianeo rilevando che per attingere a dettagliate informazioni sia indispensabile la conoscenza del tedesco, dell’italiano, del francese e del latino e non sia permesso se non agli eruditi un approfondimento della tematica, poiché in lingua inglese sono presenti sintesi molto estreme e superficiali. L’intento di Kearley è quello di rendere in lingua inglese certi argomenti ignoti a chi non può leggere il tedesco o il francese, il che può essere vantaggioso anche per noi italiani che a malapena sappiamo leggere un po’ di inglese. Giustiniano come si sa, promulgato il codex nella prima e nella seconda edizione, capì che ciò che aveva prodotto non poteva essere considerata una legislazione definitiva in cui “omnia inveniuntur” come sosteneva Accursio ma erano necessarie delle integrazioni, le Novellae constitutiones. Nella prammatica sanzione del 554 Giustiniano prefigurerebbe una raccolta ufficiale delle novelle modificatrici del codice (novellae constituziones, quae post nostri codicis confectionem late sunt) ma non lo farà mai. Saranno invece dei privati a impegnarsi in tal senso, colmando i vuoti e compilando le novelle che risultano in diverse forme come rilevato da BIENER e KRUGER. Ma queste compilazioni hanno permesso alle Novelle di attraversare i secoli. La costituzione può presentarsi in diverse forme: edicta, decreta, mandata, rescripta, epistulae, subscriptionis; WENGER riconosce anche adoationes, leges generales e sanctio pragmaticae. Le costituzioni si presentano in forma standard:
    inscriptio: che indica il destinatario della legge e dichiarando la paternità imperiale.
    Praefatio o proemio: spiega la ragione della legge
    Corpus della legge (sanktion nella letteratura tedesca): contenuto precettivo
    Epilogus: istruzioni al destinatario e criteri di effettività della legge.
    Subscriptio: data e luogo di promulgazione (spesso omesse nelle moderne ricostruzioni)
    Molte novelle sono scritte in greco qualcuna fu scritta in latino che comunque era la lingua giuridica dell’impero; di altre abbiamo la versione in tutte e due le lingue. Le novelle furono per secoli la parte più conosciuta del codice secondo RADDING e CIARALLI, in quanto create ad hoc sulla base di esigenze contingenti, in rispondenza del diritto vivente. E per molti secoli furono il diritto vigente dell’impero di Bisanzio. Charles SHERMAN e Rudolpf SOHM sostengono che le novelle furono recepite dal diritto tedesco nel sedicesimo secolo. Le Novelle ora sono la parte più studiata e discussa del CJC. Come abbiamo visto le costituzioni erano dirette a un destinatario che, nell’epilogo era investito del compito di darne conoscenza ad altri. La maggior parte delle Novelle hanno applicazione generale, dirette al Prefetto del Pretorio d’Oriente che aveva il compito di renderle note. Riporta curiosamente BIENER che la pubblicazione avveniva scolpendo la legge su tavolette, per quelle meno importanti, o su lastre di marmo o addirittura poste nelle Chiese per quelle più importanti.

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  4. FONTI DELLE NOVELLE:
    I) LIBER LEGUM: raccolta delle nuove leggi tenute dall’amministrazione di Giustiniano. P. NOAILLES descrive a lungo questo archivio come un grande deposito, mentre altri scrittori non sono dello stesso avviso. Lettere tra Plinio e Traiano riportano l’esistenza di archivi in cui le costituzioni venivano conservate per anni. Nel testo di alcune novelle si riporta il fatto che fossero depositate. WENGER riporta l’esistenza di un fascicolo di documenti denominato Quaestor sacri palatii citato nella Notitia dignitarum, che potrebbe essere per l’appunto il Liber legum, in cui il Quaestor era tenuto a curare una collezione delle leggi più importanti, soprattutto leggi generali ma anche alcuni rescritti e prammatiche sanzioni. Sempre NOAILLES ci riporta il fatto che le leggi erano raccolte in gruppi semestrali ma non necessariamente in ordine cronologico. Noailles ritiene che il Liber legum fosse la fonte archetipo da cui deriverebbero tutte le altre fonti a noi note. Potrebbe essere questa secondo lo stesso Noailles la raccolta promessa da Giustiniano della Costituzione Cordi. Alcuni studiosi come SCHILLER controbattono dicendo che un archivio non può essere paragonato a una compilazione, archivio la cui esistenza è quasi unanimemente accertata e fu la base per le tre importanti compliazioni di Novelle: L’Epitome Juliani, l’Authenticum e la Raccolta Greca.

    II) EPITOME JULIANI: creata da Giuliano, rinomato professore di diritto a Costantinopoli che tradusse sommariamente 124 novelle greche (di cui 2 ripetute) ad uso dei suoi studenti di lingua latina nell’anno accademico 556-557. Un frammentario commento della costituzione CXXV presente n 2 manoscritti che farebbe salire il numero della collezione a 125 costituzioni. Il vero intento ambizioso di Giuliano era quello di rivolgersi alle regioni italiane che con la prammatica sanzione entravano sotto il controllo di Bisanzio e nelle quali ovviamente si parlava il Latino. Le scuole di diritto a Roma avevano avuto un declino e i migliori studenti si recavano ovviamente a Costantinopoli per terminare gli studi. Un’opera di questo genere avrebbe senza dubbio incentivato il rilancio culturale in occidente, come acutamente rileva LIEBS. L’epitome si presenta palesemente incompleta se confrontata con la collezione greca, tuttavia presenta una novella omessa dalla collezione greca, inserita per completezza nelle moderne raccolte di novelle. La compilazione si diffuse, portata a Roma dai suoi studenti e fu lo strumento principale di conoscenza per centinaia di anni delle novelle. RADDING e CIARELLI rilevano che solo le novelle nella forma dell’Epitome Juliani godettero di una certa fama nell’alto Medioevo rispetto alle apparizioni fugaci di altre parti del Corpus che non produssero una tradizione intellettuale rilevante.
    L’Epitome Juliani destò anche l’interesse della Chiesa che conservò molte di quelle novelle ma il modo in cui l’Epitome fu trasmessa durante l’alto Medioevo risulta ancora misteriosa. Il primo manoscritto rinvenuto risale al settimo o ottavo secolo e altri furono fatti durante il dominio carolingio. L’Epitome ebbe così tanto successo che Paolo Diacono lo riteneva un lavoro ufficiale di Giustiniano.

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  5. III) AUTHENTICUM: nel XII secolo l’Epitome Juliani perse la sua autorevolezza in favore di una più estesa versione latina, l’Authenticum, che comparve a Bologna intorno al 1100. La denominazione “Authenticum” deriva dal fatto che Irnerio la riteneva una traduzione ufficiale ordinata da Giustiniano. Dopo essere stato dimostrato che non si tratta in verità di una versione autentica è stata spesso indicata come Versio vulgata.La raccolta include 133 novelle presentate in un rozzo ordine cronologico, che ancora è motivo di interpretazione. NOAILLES sostiene che lo stesso gruppo di documenti trovato nel Liber legum sia alla base dell’Authenticum e della Collezione Greca poiché le prime 115 novelle dell’Authenticum sono tra quelle delle prime 120 della Collezione Greca, cioè avrebbero un certo manoscritto X comune che si fa risalire al Liber legum. I glossatori lo ritennero una traduzione ufficiale ordinata da Giustiniano dopo la Prammatica Sanzione. Questa teoria ha gradualmente perso autorevolezza, anche se fu strenuamente difesa da Z. von LIGENTHAL. Erano troppo forti le prove della non autenticità: un latino molto povero, l’assenza ai riferimenti al pro petitio Vigili e l’inclusione di molte leggi che non hanno nulla a che fare con l’Italia. E poi se fosse esistita una traduzione, altre traduzioni sarebbero state inutili, e ciò mette in evidenza il fatto che traduzioni simili esistevano già. Si ritiene ormai diffusamente che l’Authenticum risalga alla metà del sesto secolo. KROLL lo colloca durante il regno di Giustiniano mentre NOAILLES pretende di fornire la data esatta al 556; MOMMSEN contrariamente lo colloca nell’XI secolo come una traduzione di latino barbarico. C’è disputa anche sul luogo di origine: certi lo collocano in Italia, altri in Grecia. Una recente ipotesi avanzata da SCHELTEMA suggerisce che l’Authenticum fosse una sorta di kata poda (traduzione letterale), creato per gli studenti di lingua latina che avevano difficoltà a comprendere il Greco: si pensa che in origine riprendesse le costituzioni in greco con testo a fronte in latino. Qualunque sia la natura dell’Authenticum, esso ha mantenuto quella natura autorevole da cui sono scaturite tutte le copie successive delle novelle giustinianee: sono stati individuati 129 manoscritti molti di più di quelli relativi all’Epitome Juliani. La versione migliore è il Codice viennese del tredicesimo secolo

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  6. IV) RACCOLTA GRECA: è la più estesa raccolta delle novelle, l’ultima ad essere conosciuta in occidente, raccoglie 168 costituzioni e venne alla luce intorno al 1200. Due costituzioni sono ripetute (75=104 e 143=150) un’altra è nella doppia versione Lation-Greco. Le costituzioni sono organizzate per anno fino al numero 120, integrate da costituzioni di Giustino II e Tiberio II e da editti del prefetto del pretorio. È probabile che il gruppo di novelle di Giustiniano abbia raggiunto la sua forma base a Costantinopoli durante il regno di Tiberio II. Sembra come se il compilatore o i compilatori avessero accesso all’Authenticum e all’Epitome Juliani o a una collezione comune a entrambe perché le novelle 1-43 della collezione greca sono nel medesimo ordine nell’Authenticum nei numeri 44-120 e anche all’Epitome anche se con qualche eccezione. L’evidenza sembra dire che le novelle fossero state composte in due gruppi uno nel 556 e l’altro nel 572, mentre un terzo gruppo fu aggiunto come appendice nel 575 e in questa forma la collezione è stata mantenuta per secoli. Il gruppo di tredici editti di Giustiniano che completa la collezione fu trovato nella versione del manoscritto veneziano. Questi editti coprono l’intero periodo delle Novelle e c’è una disputa su dove e quando gli editti siano stati raccolti ma sembra probabile che il gruppo sia stato inserito unitariamente molto dopo la sua compilazione iniziale. WENGER per quanto riguarda gli editti, li ritiene come un’entità separata aggiunta da uno dei proprietari della collezione greca e allegata alla fine, mentre NOAILLES suggerisce che questi sarebbero stati aggiunti in un qualsiasi momento dal non secolo al tredicesimo. La versione moderna della collezione ci è giunta attraverso due manoscritti: quello Marciano del XII sec.(perché fu esaminato presso la Cattedrale di S.Marco a Venezia) e il Laurenzianodel XIV sec. (dal nome della biblioteca). Il manoscritto veneziano fu la fonte principale usata da SCHOELL e KROLL per la loro edizione e divenne la versione standard del CJC di MOMMSEN e KRUGER.

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  7. Abbiamo cercato di approfondire la questione relativa alla critica che Irnerio fa riguardo alla originalità dell'Authenticum, nella glossa alla costituzione Cordi.
    Quando viene a conoscenza del “Liber Authenticum” Irnerio, infatti, in un primo momento, non lo ritiene opera genuina per la differenza dello stile con il Codex e per il fatto che non innovava rispetto a quest'ultimo.
    Questo ripudio dell'Authenticum viene criticato da vari glossatori come Giovanni Bosiano, Uguccione da Pisa, Azzone, Accursio e Odofredo. Emblematico è proprio l'intervento di quest'ultimo, che abbiamo cercato di tradurre. Il giurista critica Irnerio perchè proprio quest'ultimo si sarebbe avvalso dell'Authenticum in un giudizio. Questo fatto rendeva Irnerio contraddittorio perchè inizialmente aveva definito la raccolta di novelle non valida, poiché proveniente da un monaco e non da Giustiniano. Al termine del passo Odofredo ci dice che “Irnerio mutò la sua opinione, studiò quel libro e ne parlò molto bene”.
    Da questo momento in poi, i giureconsulti che seguirono Irnerio volsero la loro attenzione all'Authenticum e considerarono l'”Epitome Iuliani” (la traduzione in latino delle Novelle, arrivata per prima in Italia) dapprima semplice libro sussidiario e poi addirittura la dimenticarono.
    Secondo Alberico da Porta, la fortuna dell'Authenticum è dovuta anche al suo nome, che sta ad indicare la maggiore autenticità del testo nei confronti dell'Epitome: “Et ideo fuit appellatus liber authenticum, qua magis authenticus quam ille et magis completus” (ad const. Cordi).

    Da “Corso di diritto comune” Di Giuseppe Ermini (1900-1981), pubblicato postumo nel 1989.
    Giuseppe Ermini è stato Ministro della Pubblica Istruzione e Rettore Dell'Università di Perugia.

    Camilla Bonadies e Barbara Taccone

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  8. Giulia Cianetti e Amelia Schiavone13 aprile 2010 alle ore 18:13

    Il magistero irneriano venne portato avanti prevalentemente dai c.d.‘quattro dottori’: Bulgaro, Martino, Iacopo e Ugo.
    Di questi, due sono in particolare degni di nota, per via dello sviluppo di due indirizzi dottrinali contrapposti. Da una parte, Bulgaro fautore dell’interpretazione letterale e rigorosa della legge scritta ( Rigor iuris ); dall’altra, Martino, con la sua scuola ‘gosiana’, privilegiò invece l’equità, descritta come principio razionale ed etico, individuabile nel fatto, ossia nella stessa fattispecie concreta, in conformità ad una legge costantiniana, secondo la quale a prevalere doveva essere l’aequitas.
    Ma a Martino venne imputato, da Giovanni Bassiano ( allievo di Bulgaro ) e da Azzone ( allievo di Giovanni ) e poi ancora da Odofredo, di trarre equità dal proprio arbitrio, equità, quindi, soggettivizzata, tanto da farle meritare l’appellativo di ‘ficta’.
    Dalla disputa tra le due correnti nascono, però, anche delle contraddizioni.
    Infatti, se da un lato, si imputa al Martino di far uso di un’aequitas soggettivizzata, allo stesso tempo, lo si raffigura come un giurista eccessivamente fedele alla lettera del testo legislativo.
    Uno dei maggiori esponenti della scuola gosiana fu il Piacentino, il quale, nella sua Summula Placuit, dedicata al contrasto tra rigore ed equità, dimostra come il dato equitativo debba essere attinto da norme scritte e non tratta arbitrariamente dalla propria coscienza.

    Fonte: Il diritto nella storia medievale, Ennio Cortese.

    Giulia Cianetti e Amelia Schiavone.

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  9. Seguendo la lezione di oggi, ci siamo rese conto che il passo riportato nel testo da noi esaminato era incompleto e questo ci ha portate a dare un senso diverso alla critica fatta da Odofredo a Irnerio.
    Come ha spiegato il professore, Irnerio, in un giudizio, avrebbe criticato l'utilizzo dell'Authenticum fatto dalla controparte, in quanto scritto da un monaco e non da Giustiniano.
    Secondo Odofredo, Irnerio avrebbe ripudiato la raccolta di novelle perchè ciò era più conveniente per la sua posizione nel processo.
    In seguito, sempre per Odofredo, Irnerio avrebbe cambiato idea “quia sapientis est mutare consilium in melius” e usò i dispositivi delle costituzioni per ottenere un'edizione completa e onnicomprensiva del Codex. Ciò conferma l'interesse dei glossatori ad ottenere la stabilità del testo.

    Ci scusiamo per l'errore nella traduzione.

    Camilla Bonadies e Barbara Taccone

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  10. Curiosando tra i siti web per trovare qualche curiosa notizia su questo
    eterno dibattito tra l'Impreratore Federico I del Sacro Romano Impero e
    i vari glossatori del tempo, mi sono imbattuta in un testo davvero simpatico,
    tra l'altro scritto da Federigo Carlo di Savigny.
    Il testo enuncia brevemente tutti i vari diverbi avuti tra i 4 famosi "storici"
    come Jacopo, Martino, Bulgaro e Ugo e l'imperatore.
    La parte iniziale del testo fa riferimento ad Irnerio e richiama l'Abate di Usperga,
    il quale cita Irnerio per i suoi numerosi studi sul diritto, oltre a citare Odofredo,
    Roffredo,il Diplovatazio e Pietro de Unzola i quali attribuivano ad Irnerio le Autentiche
    (che credo sia l'equivalente di quello che noi chiamiamo Autenticum)
    Per contestualizzare meglio le varie "scenette" è opportuno fare un piccolo excursus nelle vite di ciascuno dei coinvolti.

    Bulgaro:
    chiamato anche Bulgarino o Borgaro, era noto essere siglato nelle glosse con una "b". Di
    patria bolognese, dottore in legge, fu soprannominato come Bocca d'oro.Fu anche una volta
    giudice, ma mai Vicario imperiale, come si interpretò malamente nella frase "curia di Bulgaro"
    in una glossa di Accursio. Impazzì in vecchiaia e fu sepolto il 1 Gennaio del 1166.

    Martino:
    Martino Gosia, della nobile famiglia Gosi, bolognese e ghibellina, fu noto essere siglato
    nelle glosse con una "M", ma alcune volte anche con una "M.G."; fu denominato Copia Legum.
    Note a tutti furono le controversie che egli ebbe con Bulgaro. Fu sepolto accanto a Bulgaro
    nel 1166.

    Jacopo:
    Soprannominato Porta Ravennate e da Odofredo chiamato Dottore antico per contraddstinguerlo
    da un suo precettore Jacopo Balduini, fu bolognese. La sua sigla nelle glosse fu Jac. oppure
    J. Non vi è nessuna certezza che egli appartenesse alla scuola d'Irnerio.Morì 11 ottobre del
    1178. Anche lui viene spesso citato per le varie controverise avute, ma non quando Bulgaro e Martino.

    Ugo:
    Anche noto come Ugo d'Alberico, dal nome di suo padre, a volte anche unito al " dalla porta di
    Ravvennate", come Jacopo, poichè bolognese, proveniente dallo stesso quartiere di quest'ultimo.
    La famiglia di Ugo, bandita da Bologna poichè ghibellina, per poi essere riaccettata.
    Ha per sigla nelle glosse Ug. o U. Morì tra il 1166 e il 1171.

    continua..

    Francesca Finocchi

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  11. Una delle prime scene che viene raffigurata è la Dieta di Roncaglia:
    Narra Otto Morena, che i 4 dottori furono incaricati dall'Imperatore, affinchè giudicassero quali
    diritti dovessero restituirsi alla sua Corona dalle città che glieli avessero usurpati. I 4
    rifiutarono di addossarsi questo odioso incarico,così l'imperatore nominò ben 28 giudici ( due per città)
    i quali insieme ai dottori redigessero una nota delle regalie da restituirsi all'Imperatore da
    ogni città. ( e già questa scena ci permette di capire quanto i questi fossero propensi a servire il loro
    Imperatore "buzzurro").
    Tutti e 4 godevano di una "grazia dell'Imperatore", specialmente Maritno e Bulgaro (più
    il primo che il secondo). Ciò s'indende, dal fatto che Federico Barbarossa vi soleva cavalcare
    vicino interrogandoli su varie controversie giurisprudenziali, da dove poi traggono luogo la scena
    del caval donato e del'Autentica Sacramenta puberum.
    La prima, narrata sempre da Otto Morena, vede Federico Barbarossa cavalcare tra Bulgaro e Martino,
    domandando loro se Egli fosse il signore del mondo. Bulgaro lo negò, mentre Martino lo affermò,
    così l'Imperatore regalò il suo cavallo a Martino e Bulgaro esclamò: " amisi equum quia dixi aequum,
    quod non est aequum." ( Anche qui, capiamo quanto Bulgaro non temesse l'Imperatore per permettersi di
    replicare in tal maniera)
    La seconda storia, è quella raccontata dal professore in classe, sull'abilità di un minore di stabilire
    un contratto. E' narrato che questa legge, poi accolta nelle Decretali d'Innocenzo III e di Bonifacio VIII,
    abbia portato la debita pena alla famiglia di Martino, il cui patrimonio fu tutto sperperato da un minorenne
    per contratti giurati. - della serie ciò che dai ti ritorina indietro.

    Francesca Finocchi

    -Storia del diritto romano nel medioevo, F.C. Savigny

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  12. E' possibile configurare l' istituto della rappresaglia come di origine germanica poiché espressione del sentire comune?
    Il fenomeno della rappresaglia può essere analizzato sotto più punti di vista, per ciò che può interessare i nostri studi è da escludere ovviamente quello prettamente militare che consta in un' azione o misura punitiva violenta, indiscriminata e disumana, adottata da una potenza militare occupante nei confronti della popolazione del territorio occupato, quando questa abbia causato qualche danno a propri cittadini (militari o civili) dimoranti in quello stesso territorio. Viene considerata rappresaglia anche l'azione analoga effettuata da formazioni di guerriglieri, ribelli, rivoluzionari armati o fuorilegge, contro gli occupanti ed invasori, oppure i rappresentanti del proprio stato, in quanto non si riconoscano e si combattano, o di altre organizzazioni o fazioni.
    Oggetto di analisi dunque è quella che Antonio Pertile nella sua Storia del diritto Italiano definisce come “Atto con cui l'autorità territoriale autorizzava i cittadini danneggiati a rivalersi sui beni degli stranieri inadempienti o nemici”. Essendo espressione di un contesto economico nuovo che si stava affermando bisogna ricercare figure se non proprio uguali, simili negli ordinamenti passati per cercarne le origini. Indagando si scopre che rappresaglia intesa come responsabilità di un singolo cittadino per le azioni compiute da singoli componenti o dalla sua intera comunità può essere riscontrata anche in altri ordinamenti che nella regolazione dei rapporti internazionali ne facevano uso: esempi sono quelli che si configurarono tra le città-stato elleniche dove, come nei comuni italiani XII sec., il cittadino era inevitabilmente legato alla sua città di provenienza la cui “reputazione” aveva un peso notevole per lui anche a livello personale (città nemiche non per forza in guerra vietavano ai propri mercanti di avere rapporti economici con l' altra città). La diversità e la sua appartenenza in entrambe i casi venivano accentuati dal fatto che diverse città avevano diverse lingue ( nella maggior parte dei casi dialetti diversi ) diverse monete e ovviamente diverse Autorità. Questa stessa configurazione di rapporti internazionali è riscontrabile anche nella roma imperiale quando nei confronti di determinate popolazioni venivano attivate misure di rappresaglia non militare. Considerazione finale è che più che un istituto di origine germanica il diritto di rappresaglia è un' altra argomentazione utile a scardinare la corrente che afferma la natura germanica-popolare del diritto medievale argomentando proprio da questa seconda caratteristica. La rappresaglia configura, si la ricezione da parte dell' ordinamento di un comportamento diffuso, MA la presenza di questo in diversi luoghi e momenti storici spiega come questo procedimento avvenuto per altre consuetudini( che i germanisti affermano essere proprie del popolo e non articolate costruzioni giuridiche) è stato male interpretato e distorto per essere assoggettato a una logica utilitaristica per fini nazionalistici di derivazione romantica.
    Giovanni Gaeta

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  13. Salve a tutti!!!
    Dopo la lezione di martedì in cui abbiamo parlato dell’Imperatore Federico Barbarossa e delle costituzioni che emanò, curiosando su internet ho trovato una traduzione (credo fatta abbastanza bene) della famosa “Autentica Habita” di cui abbiamo anche discusso.
    Venne emanata nel Novembre del 1158 nella celebre Dieta di Roncaglia a favore degli studenti e dei professori; infatti stabilisce privilegi, soprattutto giudiziari nei loro confronti.
    Per capire il motivo dell’emanazione di questa costituzione, bisogna ricordare che venne concepita negli anni in cui fioriva lo studio a Bologna e orde di studenti, desiderosi di sapere, si allontanavano dalle terre natie per raggiungere le Università e spesso, essendo stranieri, erano vittime dell’allora diffuso diritto di rappresaglia( altro fenomeno che abbiamo affrontato) e di altri abusi. Federico Barbarossa, in modo molto scaltro, capì che il nascente ceto di studiosi poteva appoggiarlo nel suo programma di restaurazione del potere imperiale così, per “ingraziarseli” emanò questa costituzione.

    Ecco la traduzione che ho trovato, presa dai Monumenta Germaniae Historica.

    «Consultati con ogni diligenza su questo problema abati, duchi, conti, giudici e altre personalità della nostra corte, concediamo per nostra magnanimità a tutti gli scolari che a motivo dello studio si spostano da una località all’altra, e soprattutto ai professori di diritto canonico e civile, questo privilegio, affinché sia essi sia i loro inviati possano recarsi ad abitare in piena sicurezza nelle località nelle quali si praticano gli studi delle lettere.
    Riteniamo giusto infatti che, esercitando una così lodevole attività, siano protetti dalla nostra approvazione e tutela, che siano preservati da ogni offesa, per così dire, con uno speciale affetto, dal momento che illuminano il mondo con la loro scienza ed educano i sudditi a vivere in obbedienza a Dio e a noi, suoi ministri. E chi non proverebbe compassione di loro, quando, fatti esuli dall’amore della scienza, volontariamente abbandonano la ricchezza per la povertà, espongono la vita ad ogni sorta di pericoli, e, quel che è peggio, spesso sono costretti a subire senza motivo offese corporali dagli uomini più vili!
    Pertanto con questa legge avente valore generale e perpetuo, stabiliamo quanto segue: ci si guardi bene, d’ora in poi, dal recare a scolari qualsivoglia offesa; non si sottopongano a condanna di alcun genere per delitti commessi in altra provincia, come a quanto abbiamo udito accade talvolta per una esecrabile consuetudine; si sappia che ai trasgressori di questa costituzione, e, qualora trascurino di farla applicare, agli amministratori locali a quel tempo in carica, sarà richiesta la restituzione del quadruplo dei beni sottratti, e decretata ipso iure la nota di infamia, con la decadenza perpetua dal loro ufficio. Inoltre, qualora gli scolari siano chiamati in causa da chiunque per qualsiasi motivo,potranno essere giudicati a loro scelta dal signore, dal loro maestro o dal vescovo della città; ai quali concediamo la relativa giurisdizione. Qualora si tenti di portarli di fronte a un altro giudice, anche se l’imputazione fosse validissima, per questo solo tentativo cadrà. Comandiamo che questa legge sia inserita tra le costituzioni imperiali sotto il titolo ne filius pro patre.
    Dato a Roncaglia, nell’anno del Signore 1158, nel mese di Novembre.»

    Elena Lauretti

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  14. LORENA GRANATO

    Vorrei racchiudere in questo intervento più argomenti trattati, che a mio parere possono esser ricollegati in vista della capacità di evoluzione e trasformazione di una società e di una coscienza giuridica, velocità che ancora oggi ci appartiene.
    Riguardo a quanto detto circa l’intervento dell’Imperatore Federico Barbarossa sul fenomeno delle “rappresaglie”, egli, mentre era in viaggio per Roma per l'incoronazione ufficiale dal Papa,incontrò (presso Colonia) un gruppo di studenti e professori che gli erano venuti incontro per parlargli di un problema che affliggeva gli studenti stranieri nelle università(in questo caso quella di Bologna).
    Gli studenti spiegarono all'Imperatore che coloro che erano studenti forestieri venivano spesso trattati male perchè non c'era un corpo di leggi che ne tutelasse i diritti.
    Spiegarono che molto spesso subivano offese di tipo personale e di tipo patrimoniale, e ricevevano offese anche da parte di studenti di classe sociale più basse.
    Allora Barbarossa prese a cuore questo problema che riguardava infatti molti studenti provenienti dalla Germania che si trasferivano a Bologna per imparare Diritto(studiando il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano), e e insieme ai personaggi più illustri e competenti, come per esempio abati, duchi,conti e giudici, istituì una Costituzione: La Costituzione "Habita" di Federico Barbarossa.

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  15. CONTINUA..LORENA GRANATO

    Il trattato inizia con la Consultazione , in cui sottolinea il fatto che il trattato è stato scritto con la consultazione di uomini di competenza e di estrema saggezza; poi parla della concessione del Beneficio agli studenti pellegrini di vivere in sicurezza, attuando delle regole con l'intento di tutelare gli interessi degli studenti , e permette loro di scegliersi il giudice in caso di processo, e se non gli viene permesso di sceglierlo, decade automaticamente l'accusa; infine parla delle motivazioni del perchè vuole tutelare questi studenti, e i motivi sono : perchè gli studenti sono utili alla società, perchè Barbarossa potrà poi servirsi dei laureati per amministrare il suo impero; poi per il fatto di conquistare il loro favore nei confronti dell'Imperatore , e poi perchè dice che bisogna proteggere gli studenti che abbandonando le proprie case si mettono in viaggio per raggiungere le Università dove intraprendere gli studi.
    Barbarossa estende questa norma nel tempo e nello spazio e diventa così universale e viene infatti adottata da tutti i Comini Italiani.
    Federico è qui a favore degli studenti e esalta la loro utilità e il loro lavoro di studio, perchè dice con la loro scienza illuminano i Mondo.
    Qesto privilegio vale per tutti gli studenti, ma in particolare per quelli di diritto(quindi a Bologna)
    A noi non è arrivato il documento originale ma ci è arrivato il documento all'interno del Corpus Uiris Civilis , nel capitolo "Ne Filuis Pro Patre, ricopiato da un contemporaneo di Barbarossa.
    La costituzione è stata attuata nei volumi dell'Authenticum.
    A mio avviso dunque come già si è detto in aula, il fenomeno della rappresaglia va ben oltre la semplice e direi insufficiente etichettatura di “fenomeno germanico” in quanto è fenomeno collegato in generale alla evoluzione delle società e dei relativi costumi e tradizioni. Ciò inoltre ben può comprendersi altresì dal fatto che lo stesso Barbarossa era un Imperatore barbarico( tra l’altro mal considerato e visto dai glossatori stessi proprio per le sue origini), ma nonostante ciò distante dalla tradizione della rappresaglia tanto da voler disciplinare il fenomeno in una costituzione appositamente creata, ancorchè creata opportunamente e forse esclusivamente perché in quell’epoca ad esser oggetto di rappresaglie, in particolar modo nella città di Bologna appunto, eran proprio gli studenti provenienti dalla Germania.

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  16. CONTINUA..LORENA GRANATO

    L'Italia era per l'imperatore tedesco il contesto ideale per ottenere alcune prerogative essenziali per realizzare la costruzione dell'impero universale: la supremazia nella contesa col papato per la potestà civile universale, il legame con la tradizione dell'impero romano, cui Federico si ispirava, e la sovranità su Comuni e feudatari. A tal scopo dispose un saldo controllo su tutti i territori della Corona, utilizzando funzionari di umili origini e provata fedeltà, i ministeriales, e si pose l'obiettivo di recuperare gli iura regalia, le regalie, ossia gli inalienabili diritti del potere regio (amministrazione della giustizia, difesa del territorio, riscossione delle imposte), poiché il potere comunale in Italia si stava arrogando poteri propri del sovrano sia all'interno sia all'esterno del territorio urbano, come dimostrava l'esempio di Milano, che aveva apertamente aggredito altri sudditi dell'imperatore.
    Nel secolo XII, mentre i Paesi dell'Occidente tendevano a un accentramento politico e territoriale che sarebbe sboccato nella formazione di Stati unitari, in Italia persisteva, anzi si aggravava, il frazionamento del potere. Per la sua posizione geografica l'Italia era il Paese destinato al maggiore e più rapido incremento della sua ricchezza, perché attraverso il Mediterraneo avvenivano gli scambi tra l'Occidente e i porti del Mar Nero, dell'Asia Minore, della Siria, dell'Egitto. Era il momento in cui decadeva la potenza araba indebolita dalle discordie interne e l'Occidente progrediva nella sua ricostituzione civile e politica. Delle condizioni commerciali favorevoli approfittavano in più larga misura le città marinare italiane, mentre quelle dell'interno della penisola, come le città della Val Padana, che si trovavano sulle maggiori vie commerciali, sfruttavano il commercio di transito o svolgevano un traffico proprio o accrescevano la loro attività industriale. Firenze e Siena, Pisa e Genova, Venezia e Milano, furono i centri maggiori del commercio, dell'industria, del capitale, e i loro commercianti e banchieri cominciarono a far sentire la loro azione in Italia e oltre le Alpi.

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  17. CONTINUA..LORENA GRANATO

    Questa trasformazione e questo sviluppo dell'economia favorirono il sorgere di nuovi ceti sociali e determinarono nuovi bisogni, nuovi aspetti e forme di vita, nuovi rapporti giuridici, nuovi orientamenti negli elementi costitutivi della popolazione: feudatari, commercianti e artigiani tutti aspiravano a una posizione sociale e politica corrispondente al loro nuovo stato e si organizzavano in forme associative nuove in competizione e anche in aperta lotta fra loro, per mancanza di un potere politico centrale che riuscisse a coordinare tutte queste spinte centripete.
    L'Italia era infatti per gli imperatori germanici, compreso dunque il Barbarossa, il campo in cui potevano sperare di raccogliere da feudatari e dai Comuni i tributi dovuti alla loro sovranità, la via per cui potevano tendere al mare, il ponte di passaggio per l'Oriente, il territorio con il quale era collegata la tradizione dell'Impero Romano, il Paese in cui pensavano di poter riprendere in mano le redini nella lotta contro il pontefice per rivendicare i diritti della potestà civile universale.
    Questo ci permette di ricollegarci a quanto detto circa il passaggio dal fenomeno della stabilità dei rapporti giuridici, che tendeva col trasformarmi in un arresto allo sviluppo delle società stesse, al fenomeno ben diverso della essenzialità della “volontà” come momento fondamentale dei rapporti giuridici.
    Infatti, per meglio comprendere la portata di tale fenomeno, nel diritto romano ben sappiamo che il ruolo della volontà era minimo e ogni atto era compiuto sulla base di precisi requisiti formali. Con l’espandersi invece del commercio e scambio reciproco anche tra non cittadini la forma venne ridimensionata ed emerse il concetto di causa(quella stessa causa che noi siamo soliti definire come la “funzione economico-sociale svolta dal contratto”). Successivamente appare anche quello della volontà.
    Nacque così e si affermò dapprima in Germania, ma poi venne trapiantato anche nella nostra tradizione giuridica, il concetto di negozio giuridico, inteso appunto come l’atto compiuto da uno o più soggetti(e parliamo di soggetti proprio perché sulla scia di tali evoluzioni si arriverà poi alla formulazione del concetto di persona giuridica distinguendola in tal modo dalla persona fisica ),al fine di costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico.

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  18. CONTINUA..LORENA GRANATO

    Tali fenomeni sono essenziali poiché rappresentano le prime forme di quel processo di “astrazione del diritto”, iniziato con la riscoperta del diritto Giustignaneo da parte dei maestri di Bologna; processo che ritroviamo altresì nelle nostri moderni ordinamenti giuridici che si fondano appunto sulla creazione da parte del legislatore di fattispecie astratte( capaci di ricomprendere e attrarre in una stessa figura diversi fenomeni della realtà concreta), alle quali ricollegare delle conseguenze sul piano giuridico.
    Come spiegato poi dal prof. Conte, tali astrazioni sono una scoperta tanto importante per la nostra tradizione giuridica, tanto da riuscire il legislatore, proprio attraverso tali fattispecie, a modificare o comunque a incidere sulla realtà concreta dei rapporti giuridici.
    A mio avviso il fenomeno della astrazione è di vitale importanza perché, a mio modesto parere, il problema della mancata creazione di fattispecie astratte, è quello di avere molteplici tipologie ed esempi differenti di situazione del mondo materiale che si cerca di disciplinare, nella impossibilità però di avere una regolamentazione efficiente per tutte le potenziali situazioni suddette. Inoltre, credo che con il fenomeno della astrazione si è cercato di dare un fondamento giuridico a rapporti giuridici che possono sorgere tra soggetti, dando così certezza di disciplina(che può essere estesa a casi simili), certezza che altrimenti dovrebbe esser riposta nella capacità del singolo legislatore di individuare e regolarizzare i diversi rapporti che si possono instaurare.

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  19. Riguardo alla scuola bolognese dei glossatori e ad Irnerio ho effettuato alcune ricerche sul web per approfondire l'argomento che mi ha colpito particolarmente.
    Innanzitutto bisogna dire che la scuola bolognese dei glossatori(XII-XIII sec)è una scuola di giuristi e studiosi che ricostrui il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano I di Bisanzio facendone un'analisi approfondita,riscoprendo e reinterpretando i testi classici.
    A Bologna,prima di Irnerio,vi era un altro personaggio molto importante:un certo Pepo o Pepone,che secondo un racconto del glossatore Odofredo,di sua iniziativa nella seconda metà dell'IX sec avrebbe cominciato a dare lezioni di diritto romano.Pepo,peraltro,sempre secondo questo racconto,con il suo insegnamento non consegui alcuna fama;ma ricevette le lodi di un noto maestro inglese,Rodolfo il Nero,che lo defini "aurora surgens" per aver determinato la rinascita dello studio del diritto romano e della scienza romanistica.
    Di Pepo non si sa molto,una recente ipotesi,o meglio,secondo uno studio di Piero Fiorelli,Pepo può essere identificato con quel Pietro che fu vescovo scismatico di Bologna dal 1085 in poi.Infatti si sa di un racconto in versi esametri,intitolato De utroque apostolico("Dei due papi")scritto da Gualfredo vescovo di Siena,dove si racconta di un immaginario convegno tenutosi al tempo di Papa Urbano II,intorno al 1090,per discutere dei diritti del papa e antipapa di nomina imperiale per risolvere lo scisma tra impero e papato.A tel convegno sembra che abbiano partecipato vescovi e personalità di spicco tra cui un certo Pepone chiamato clarum bononiensium lumen(luce dei bolognesi).
    Fatto sta che le cronache narrano che il celebre Studium bolognese non abbia mai avuto una sede stabile fino alla metà del XVI sec e che gli antichi dottori tenevano le loro letture nelle proprie case o in sale prese in locazione dal Comune.
    Continua...

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  20. Mentre in altre situazioni ,come ad esempio Parigi, le origini dell'università furono legate alla chiesa e all'autorità monarchica,a Bologna lo Studium rappresentò un esempio di scuola laica,basata su uno stretto rapporto tra studenti e comune.Il primo maestro che lesse in pubblico i testi giustinianei e divulgò il risultato dell'analisi svolta su di essi fu Irnerio-definito da Odofredo come "lucerna iuris qui coepit per se studere...et studendo coepit docere in legibus",che la tradizione indica come percusore e fondatore della scuola bolognese.
    Fu notevole l'accorrere degli studenti provenienti da tutta Europa per poter assistere alle letture dei professori e per ascoltare il maestro che rivelava questi testi misteriosi.Nacque cosi la prima Università della storia.
    La risonanza dello Studium del diritto fu tale che già nei secoli XII-XIII l'ordinamento universitario bolognese era articolato in due universitas.Citramontani di cui facevano parte Lombardi,Toscani,Romani e Campani;e gli Ultramonatni che raggruppava tredici nationes europee.
    Quindi possiamo dire che a partire dal XII sec compare una nuova figura nella storia del diritto medievale:Irnerio,il quale fece della scuola Bolognese,nella quale insegnava,la più celebre di questo periodo.Poco si sa della sua vita,una cosa è certa,ossia che è di origine germanica.Tra i pochi eventi certi celebre fu il suo incontro con Matilde di Canossa,che gli affidò l'incarico di "rinnovare i libri della legge",cui secondo alcuni con ciò intendeva spronarlo all'insegnamento della scienza giuridica attraverso la creazione di una scuola specialistica,secondo altri a produrre uno studio filologico della compilazione giustinanea.
    Continua...

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  21. Ciò che è certo è che Irnerio presta grande attenzione alla autenticità dei testi,tanto che mette in dubbio la genuità dell'Authenticum,raccolta delle Novelle giustinanee.
    Rilevante nella vita di Irnerio fu l'anno 1119:inviato dall'imperatore a Roma per perorare la causa di Maurizio Burdino,che srà poi eletto antipapa.Irnerio ricorre probabilmente alla lex regia de imperio con la quale il popolo romano avrebbe conferito all'imperatore tutti i poteri.Irnerio cade nelle ire del papa Callisto II,che lo scomunica;ed è per questo che forse cade nell'ombra scomparendo dalle cronache fino al 1125.
    La morte di Irnerio non segna un declino della scola bolognese,poichè la sua opera fu proseguita da quattro suoi allievi:Bulgaro,Martino,Iacopo e Ugo,i quali furono considerati tanto autorevoli da essere chiamati come consiglieri dell'imperatore nella dieta di Roncaglia(1158).
    Il risultato centrale dell'attività di Irnerio e dei suoi discepoli consiste nella trasformazione di un testo,antico di secoli e dimenticato,in una normativa vigente e suscettibile di immediata applicazione.Attraverso l'opera di interpretazione del testo,in chiave libera e creativa,la scuola di bologna intese adattare a fattispecie concrete norme che in origine avevano una differente funzione,ricollegandovi scopi attuali che tali norme di per sè non possedevano!

    FRAU WANDA

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  22. Continuando a fare ricerche sul web in relazione all'argomento da me trattato ieri circa la scuola bolognese dei glossatori ho trovato altre notizie a mio avviso interessanti in particolare riguardo lo Studium bolognese e i suoi primi glossatori.
    Tra l' XI e il XII sec vi è una evoluzione e diffusione in Europa dell'Università.Le corporazioni universitarie medievali si strutturano seguendo due modelli:quello parigino,dove maestri e studenti formavano una sola comunità;e quelo bolognese,dove gli studenti formavano giuridicamente l'universitas.
    Per la prma volta lo studio del diritto diventa scienza autonoma rispetto alla tradizione altomedievale delle artes liberales.Durante il medioevo,infatti,con questa espressione si intendeva il curriculum di studi seguito dai chierici prima di accedere agli studi universitari.Nell'Alto medioevo furono istituite numerose scuole(la più celebre la schola palatina voluta da Carlo Magno).Queste scuole dovevano servire a preparare al mestiere di funzionario(e cosi si spiega la parola arte poichè era sinonimo di mestiere).Ma non tutti potevano fare accesso all'istruzione superiore;ciò era possibile solo per i ranghi più alti della società,per quelli che venivano definiti come arimanni(ossia uomini liberi e di qui la spiegazione del termine liberales).
    Il vero iniziatore dello Studium è Irnerio,al quale si devono i compendi delle Novelle,cioè delle cosidette "Authenticae" e che meritò il titolo di lucerna iuris.
    Fatto sta che i "libri legales"apparivano ad Irnerio e ai suoi allievi come i contenitori di un diritto per eccellenza emanato dagli imperatori romano-cristiani per ispirazione divina.La loro attività prenedrà il nome dal genere letterario in cui si concentrarono i risultati del loro metodo specialistico:la glossa.
    Continua...

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  23. La glossa non è altro che l'immediato chiarimento che il professore apporta alla"litera"del testo giuridico durante la lettura di esso agli studenti.L'attività esegetica dei glossatori si concentra nel tentativo di ricostruire la struttura originaria del Digesto,integrando le lacune,correggendo le alterazioni e togliendo le interpolazioni apportate dalla ignoranza della cultura alto-medievale.
    Questo lavoro porterà ad una ripartizione delle fonti di diritto romano che prenderà il nome di Corpus Iuris Civilis e che si discosterà dalla compilazione giustinianea.
    Oltre alla glossa vengono utilizzati agli strumentiper intervenire sui testi classici:
    Le Distinctiones:vale a dire una divisione della questione di diritto nei diversi aspetti in cui può essere considerata.Non raramente il procedimento di distinctio assumeva graficamente la forma di tabella;
    Le Regulae Iuris:che racchiudono regole,principi e dogmi giuridici fondamentali in sintetiche ed incisive frasi;
    I Casus:cioè le fattispecie pratiche cui la legge può essere applicata;
    Le Dissensiones Dominorum:che sono i diversi e contrastanti pareri dei maestri riguardo ai più famosi e discussi argomenti di dibattito;
    Le quaestiones:forma letteraria tipica della scuola,attraverso cui il doctor pone il caso giuridico,cita i testi e le argomentazioni a favore di una soluzione e quelli contro,ed enuncia infine la propria spiegazione;
    Le Summae:che rappresentavano l'espressione più tipica del lavoro sintetico e sistematico dei giuristi bolognesi.Si tratta di opere in cui è condensata l'intera sostanza di un titolo,di un libro o di un argomento.
    Il proposito dei glossatori non è di innovare ma di interpretare il diritto senza discostarsi dallo spirito delle fonti.Essi accettano l'autorità della parola della legge,rinunciando alla loro personale interpretazione.Il diritto giustinaneo era il diritto,quello che deve essere sempre seguito,senza preoccuparsi delle norme consacrate dai tribunali e dagli statuti.
    Frau Wanda

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  24. Mi sono dimenticata di postare questo antico brocardo che sottolineava il parallelismo tra Irnerio e Graziano.

    Chronicon Urspergense di Burcardo di Biberach:
    La cronaca duecentesca lasciataci dall'abate del monastero tedesco di Ursperg contiene un noto passo nel quale viene presentato un parallelo tra le figure di Graziano e Irnerio, che sottolinea la forte analogia tra le iniziative dai due giuristi. In tal modo viene ancor più evidenziato il ruolo avuto da Graziano come primo sistematore del diritto canonico e quello avuto, sempre a Bologna, da Irnerio come autore della prima raccolta sistematica del diritto romano giustinianeo in seguito a una petitio (un invito) della contessa Matilde di Canossa.

    “Huius temporibus magister Gratianus canones et decreta, quae variis libris erant dispersa, in unum opus compilavit adiungensque eis interdum auctoritates sanctorum patrum secundum convenientes sententias opus suum satis rationabiliter distinxit.
    Eisdem quoque temporibus dominus Wernerius libros legum. qui dudum neglecti fuerant nec quisquam in eis studuerat, ad petitionem Mathildae comitissae renovavit et secundum quod olim a divae recordationis imperatore Iustiniano compilati fuerant, paucis forte verbis alicubi interpositis, eos distinxit. In quibus continentur instituta prefati imperatoris, quasi principium et introductio iuris civilis; edicta quoque pretorum et aedilium curulium, quae rationem et firmitatem prestant iuri civili, haec in libro Pandectarum, videlicet in Digestis continentur; additur quoque his liber Codicis, in quo imperatorum statuta describuntur; quartus quoque liber est Autenticorum, quem prefatus Iustinianus ad suppletionem et correctionem legum imperialium superaddidit”.

    Francesca Finocchi

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