lunedì 22 marzo 2010

Manoscritti giuridici dell'alto Medioevo

Ansegiso:
http://www.e-codices.unifr.ch/de/csg/0727/1/medium

Pseudo Isidoro:
http://www.e-codices.unifr.ch/de/csg/0670/4/medium

16 commenti:

  1. Giulia Cianetti e Amelia Schiavone25 marzo 2010 alle ore 00:31

    Mosse dalla curiosità che ci ha suscitato la lezione inerente la rinascita dell’impero (c.d. Rinascita Carolingia) proseguita da Carlo Magno, ma già avviata dal padre Pipino e dallo zio Carlomanno, durante le nostre ricerche ci siamo imbattute nel saggio “ Carlo Magno, un padre dell’ Europa ” di Alessandro Barbero, il quale dedica alcuni paragrafi del suo scritto proprio alla nascita e allo sviluppo della “ minuscola carolina ”. Riteniamo utile un breve excursus storico-culturale degli anni che ne precedono lo sviluppo.
    L’origine della minuscola carolina è dovuta non solo ad un forte interesse personale da parte di Carlo Magno per la cultura e ad una sua spiccata curiosità intellettuale, ma anche all’eredità tramandatagli dai suoi predecessori, i quali avevano già ben chiara la necessità di una riforma dell’ambiente ecclesiastico. Non a caso la Rinascita Carolingia ha una natura essenzialmente religiosa, incentrata sul miglioramento dell’educazione del clero e sulla correzione dei suoi costumi e in funzione dei quali “giudicava indispensabile che i libri venissero emendati non solo sul piano dell’ortodossia, ma anche su quello della lingua”; era cioè necessario che i preti possedessero le necessarie conoscenze della lingua dei testi sacri. E’ proprio questo il fine perseguito dal grande capitolare “Admonitio generalis” del 789, che sottolinea come per l’osservanza degli antichi canoni fosse necessaria una corretta conoscenza della lingua liturgica, ovvero il latino. Lo scopo avviato con l’ “Admonitio generalis” rappresenta una costante di tutta la durata del regno di Carlo Magno e raggiunse momenti di maggiore incisività con i provvedimenti dell’ 802 e dell’ 811 che vedono l’ imperatore sottoporre tutti gli ecclesiastici dell’impero ad una serie di indagini e di interrogatori volti ad attestarne la preparazione dottrinale. Infatti, per Carlo Magno, l’Impero, come la Cristianità, era uno ed occorreva che la liturgia venisse celebrata in modo uniforme; inoltre, fondandosi la sua legittimazione religiosa sull’alleanza col papa di Roma era opportuno che ad essere imposti fossero gli usi liturgici romani, privati di qualunque influenza bizantina.
    A tal fine Carlo Magno si impegnò in modo particolare nella produzione di un testo corretto della Bibbia, nonché dei testi liturgici e dei libri su cui si apprendeva il latino, indispensabili per la preparazione del clero. Vanno da sé le attenzioni e le cure che Carlo Magno dedicò alla costruzione di una biblioteca a palazzo, ed è da sottolineare a questo proposito che è grazie ai manoscritti commissionati da lui stesso e dagli intellettuali del tempo che sono sopravvissute numerose opere della classicità latina.
    Fra i lasciti più significativi della Rinascita Carolingia vanno annoverati i caratteri che a tutt’oggi vengono utilizzati per la stampa. Si passò quindi da una scrittura volutamente complicata ad una scrittura assai più pratica , che facilitava di gran lunga la lettura dei testi, la c.d. minuscola carolina che, nata imitando i modelli antichi, fu ispirazione nel Rinascimento per i primi stampatori da cui sono poi derivati i caratteri odierni. L’introduzione di questa scrittura nacque in particolare dalla profonda preoccupazione degli errori che si introducevano nei libri sacri per via di inesperti copisti. La sua diffusione si deve ad una volontà di unificazione della vita religiosa e intellettuale di tutto l’impero su uno standard omogeneo.
    Una curiosità: di quest’epoca è l’introduzione del punto interrogativo!

    Fonti:

    “Carlo Magno. Un padre dell’ Europa” di Alessandro Barbero.


    Giulia Cianetti e Amelia Schiavone.

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  2. Considerati gli ultimi argomenti trattati in classe ho ritenuto interessante approfondire l'opera di falsificazioni realizzata nel Medioevo.Leggendo una relazione da me trovata su internet,in relazione a tale argomento, particolarmente attenzione hanno catturato le Decretali Pseudo-Isidoriane.Prima di analizzare queste ultime ritengo opportuno illustare brevemente quanto è avvenuto nel Medioevo a partire dal XI secolo.
    Innanzitutto il Medioevo è per eccellenza l'età dell'oro dei falsi:dalla Donazione di Costantino alla Decretali pseudoisidoriane,alle cronache,reliquie,agiografie,agli innumerevoli documenti confezionati per retrodatare,confermare o inventare fondazioni,diritti di possesso di terre,privilegi fiscali ed esenzioni giurisdizionali.
    Le principali falsificazioni medievali sono state prodotte a partire dalla metà del secolo IX in ambienti ecclesiastici francesi come antidoto alla crisi della monarchia carolingia divenuta incapace di difendere la Chiesa di Francia da una nobiltà sempre più interessata a mantenere l'organizzazione ecclesiastica nel disordine per meglio depredarla e dominarla.
    Nella prima metà del IX secolo Carlo Magno e Ludovico il Pio avevano assicurato una vita ordinata della chiesa e ne avevano promosso la rinascita mediante l'imposizione di numerosi Capitularia Ecclesiastica,ossia,testi normativi relativi al clero,alle chiese e ai monasteri emanati dai sovrani carolingi al termine delle diete o altre pubbliche riunioni e cosi denominate perchè si trattava di brevi capitoli e nn di singoli precetti.
    Quando la monarchia perse il potere(in seguito alla morte prima di Carlo Magno e poi di Ludovico il Pio)i capitolari ecclesiastici e la struttura della chiesa si feudalizzarono.Due furono gli episodi più significativi di tale processo:la dieta di Compaigne dell'823 in cui la nobiltà impedi la promulgazione di un editto che prevedeva la retituzione alle chiese dei beni sottratti dai nobili;e la dieta di Epernay dell'846 in cui l'aristocrazia impose a Carlo il Calvo di non promulgare un capitolare ecclesiastico.Dopo tale episodio nei monasteri francesi sorsero delle vere e proprie "officine di falsi".

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  3. segue...
    riguardo alle Decretali Pseudo-Isidoriane sono uno dei prodotti giuridici più significativi dell'età carolingia dal momento che sono stati diffusi e utilizzati in tutta Europa per secoli.
    Si tratta di lettere false attribuite ai papi sei primi secoli,da Clemente I a Gregorio I,inserite nel IX secolo,in una collezione di canoni,da un certo Isidoro Mercato.Il nome Pseudo-Isidoro è stato all'autore(o agli autori) da studiosi posteriori.Il nome Isidoro,infatti,compare nella prefazione accompagnato in alcuni manoscritti dall'appellativo Peccator(normale professione di umiltà) e nella maggioranza delle fonti dal termine Mercato(qualifica poco comprensibile).Si tratta sicuramente di uno pseudonimo scelto dai falsari in onore del famoso Isidoro di Siviglia,considerato fin dal VII sec come il massimo dispensatore di dottrina.
    Alla stesura dell'opera hanno partecipato mani diverse,tutte però sotto il controllo di un'unica regia la cui identità resta ancora sconosciuta;è stato provato che i manoscritti usati provenivano dalla biblioteca di Corbie.Il falsario si è basato sulla collezione Hispana Gallica Augustodunensis,interpolando i suoi falsi ai documenti autentici li conseravati,mentre il Liber Pontificalis è stato usato dal falsario come guida storica.L'insieme dei falsi documenti è stato completato intorno agli anni 847-852 nella diocesi di Reims.
    Per quanto riguarda il contentuto l'opinione generale afferma che le decretali falsamente attribuite ai papi martiri affermano : l'autonomia dei vescovi e la loro pari ignità.Riguardo al primo punto affermano la proibizione di accusare un vescovo di delitti,condannando alla dannazione eterna chi si permetteva di perseguire un vescovo.In caso di apertura di un processo contro un vescovo,questi aveva diritto tanto a scegliere i propri giudici che di appellarsi al papa che stabiliva l'impunità.Riguardo alla pari dignità tra i vescovi vi è una accentuata animosità contro metropolitantisti e arcivescovi ,che possono agire fuori la loro diocesci unicamente con il consenso di tutti i vescovi della provincia,ciascuno dei quali può appellarsi al papa contro di loro.
    Altre parti dei falsi trattano in modo convenzionale questioni di ortodossia di fede,in particolare le relazioni fra le tre persone della Trinità.

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  4. segue...
    Fatto sta che le Decretali per circa due secoli sono state poco note.Una delle loro prime utilizzazioni risale all'867 quando Icmaro vescovo di Iaon le usò per contrapporsi alla posizione di comando assunta dallo zio Incmaro arcivescovo di Reims e metropolita di Gallia.Icmaro di Iaon curò e sottoscrisse la redazione di un ampio estratto dell'opera nell'869 e a usò nella controversia e per questo fu deposto e accecato dallo zio.
    Durante l'XI secolo la situazione è cambiata rapidamente,sotto l'impeto delle riforme gregoriane e della lotta delle investiture.La spinta dei movimenti riformatori monastici ha fatto si che un gruppo di cardinali e una serie di pontefici si sono sforzati di eliminare tanto gli abusi ecclesiastici quanto il controllo imperiale sulla Chiesa,già liberata in gran parte dall'influsso della nobilità romana.
    Questa tendenza è perdurata fino al 1140 circa quando il canonista Graziano ha pubblicato il Decretum Graziani che ha sostituito le vecchie collezioni diventando la pià autorevole.Con la sua opera l'influsso immediato delle false Decretali è giunta alla fine.
    Durante il Medioevo sono sorti dei dubbi sulla genuità delle lettere papali e con il progredire degli studi filologici i dubbi si sono rafforzati.Nel XVI secolo gli storici protestanti hanno criticato sistematicamente le Decretali,pur non riuscendo a riconoscerne la falsità,finchè il pastore calvinista David Blondel è riuscito a dimostare che in quegli scritti i papi dei primi secoli citavano nelle loro supposte lettere scrittori di secoli posteriori.Dopo vari tentativi di alcuni telologi cattolici di sostenere l'autenticità di quei documenti,dal XIX secolo nessuno mette più in dubbio le falsificazioni presenti nelle Decretali.

    Frau Wanda

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  5. LA RIFORMA GREGORIANA E LA RINASCITA DELLA SCIENZA GIURIDICA..
    (Irene Calzavarini).
    -Parte prima-
    Navigando in internet ho trovato di grande interesse un discorso fatto da Ennio Cortese sulla riforma Gregoriana e la rinascita della scienza giuridica..
    Sentita l'esigenza di dar vita ad un nuovo ordinamento giuridico, su impulso di Gregorio VII,fu avviata una ricerca di manoscritti e libri antichi al fine di sostituire le antiche collezioni canoniche con nuove collezioni che rispecchiassero meglio gli ideali e le strutture volute da Gregorio.
    Nel lavoro di ricerca di Decretali,opere canoniche,opere di Padri della Chiesa ebbe un ruolo di grande importanza Ivo di Chartres in quanto fece riemergere opere di grande importanza come il Digesto che ispirò fortemente la redazione di una importantissima collezione canonica,la cd. Collectio Britannica,che deve la propria importanza al fatto che può essere considerata come la base della culture moderna.
    In questo periodo,matura un nuovo metodo di studio dei testi,infatti, diviene di grande importanza la ricerca degli originali mettendo da parte i commenti poichè ritenuti inquinati.
    Del metodo della riproposizione di testi antichi si trova traccia anche nell'epoca del rinascimento culturale Carolingio durante il quale vide la luce una nuova scrittura,molto raffinata e ispirata a quella romana,la cd. Carolina.
    L'approccio al testo dell'epoca Carolingia si distingue però dal metodo usato nel secolo XI,infatti, mentre nell'alto medioevo le scritture sacre erano deposito di verità e dovevano essere recipite così com'erano,senza che lo studioso osasse muovere delle critiche,nel secolo XI c'è un inversione di tendenza che spinge lo studioso a liberarsi dell'atteggiamento passivo e a guardare al testo sacro con occhio critico.

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  6. LA RIFORMA GREGORIANA E LA RINASCITA DELLA SCIENZA GIURIDICA..
    (Irene Calavarini).
    -Parte seconda-
    Uno tra i maggiori oppositori del nuovo metodo fu San Pier Damiani,che,scrivendo un opuscolo all'abate di Montecassino,criticò i Gregoriani per il loro atteggiamento arrogante nei confronti del testo sacro incolpandoli di persegure lo studio in modo pericoloso in quanto la troppa dialettica avrebbe indotto alla confusione.
    Il metodo dell' OPPOSITIO CONTRARIORUM, criticato da Damiani,faceva emergere dalle sacre scitture molte contraddizioni suscitando l'esigenza di aggredire il testo con metodi dialettici;l'importanza della solutio era del tutto marginale in quanto si può arrivare ad essa solo attraverso la distinctio.
    Abelardo,uno dei maggiori sostenitori del procedimento binario delle opposizioni,nella sua opera "Sic et non",procede ad una razionalizzazione della fede usando la ragione per la risoluzione di problemi teologici.Egli per tanto può essere considerato un anticipatore del razionalismo Cartesiano o dell'illuminismo di Voltaire.
    Il metodo dell'oppositio rimane vigente fino al periodo della scolastica e viene adottato anche dai giuristi,i quali,per arrivare ad una solutio partono dalla quaestio,che,quando trae spunto dalla realtà processuale (come accade spesso) favorisce il trattamento "scientifico" della realtà pratica e la progressiva professionalizzazione dell'attività giudiziale.
    Simile al sistema delle quaestiones è il "METODO BROCARDICO",finalizzato all'alliniamento di passi del Corpus iuris apparentemente antitetiche, ma differente da esse che pongono un casus dubbio e prospettano catene di argumenta in favore di soluzioni opposte.
    Irnerio fa suo il metodo brocardico e redige un'opera di fondamentale importanza,la c.d."SOMMA PERUSINA".

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  7. LA RIFORMA GREGORIANA E LA RINASCITA DELLA SCIENZA GIURIDICA..
    (Irena Calavarini)
    -Parte terza-
    SCUSANDOMI anticipatamente per l'infelice frase di chiusura del commento precedende causa stanchezza inizio subito col precisare che la Summa Perusina NON fu un'opera di Irnerio;seppur considerata di fondamentale importanza per la ricostruzione di una parte del Corpus iuris civilis.
    Nonostante sia conservata a Perugia,probabilmente l’area geografica di origine è da circoscriversi intorno alla città di Roma: ciò si desume dalla circostanza che tra il 999 e il 1014 i giudici del territorio romano applicavano nelle loro decisioni non le costituzioni del Codice di Giustiniano, bensì la Summa Perusina. Quest’ultima si caratterizza per il contenuto molto primitivo e pieno di fraintendimenti. Ciò è dovuto non solo ad ignoranza ma era dettato, probabilmente, dalla necessità di adattare alle esigenze coeve dei precetti divenuti inapplicabili perché relativi ad istituti scomparsi.
    Viceversa l'approccio di Irnerio al testo Giustinianeo è di tipo filologico;egli cominciò lo studio su impulso della Contessa Matilde di Canossa che gli chiese di riportare i libri alla forma che avevano al tempo della compilazione.La ricostruzione tuttavia non fu opera semplice in quanto la maggior parte dei testi circolanti erano stati oggetto di contaminazione.Irnerio assunse un'atteggiamento piuttosto critico ritenedo il problema della contaminazione piuttosto grave,problema che tuttavia fu isussistente all'epoca dell'alto Medioevo in cui ci si serviva quasi esclusivamente di parafrasi,nelle quali si ripose massima fiducia con la conseguenza di grandi fraintendimenti del testo.
    L'attività appassionata di Irnerio fu un punto focale e di svolta per la cultura e la civiltà europea. Le sue numerose glosse interlineari del codice giustinianeo (raccolte poi nella Summa Codicis di Azzone) segnarono l'inizio di un diritto europeo scritto, sistematico, comprensibile e razionale, basato per intero sul diritto romano.La didattica del giurista bolognese si basava sulla lettura di una parte del codice agli studenti, i quali l'avrebbero copiata per poi corredarla di suoi commenti e sue spiegazioni in merito contenute in glosse. Fu, pertanto, il primo dei glossatori, la categoria di giuristi che in quel periodo si sarebbe affermata e che avrebbe contribuito moltissimo all'evoluzione del diritto: il testo della Litera Bononiensis (una versione praticamente parallela della celebre Litera florentina) su cui si applicavano gli studenti di Irnerio si disseminò per l'Europa in pochissimo tempo grazie ai discepoli bolognesi che tornavano a casa dopo la preparazione euristica.
    In conclusione si può affermare che Inerio inaugurò una nuova scienza laica che si esercita sulle pagine dei libri giustinianei.Per primo abbandona l'ottica di utilizzatore del diritto legittimato a decidere tra testi da considerare e tralasciare.

    Bibliografia:
    -Alberto Del Vecchio, Notizie di Irnerio e della sua scuola (Pisa, 1869)
    -Enrico Besta, L'opera d'Irnerio: Contributo alla storia del diritto romano, 2 voll., Torino: Loescher, 1896
    -Antonio Rota, Lo Stato e il diritto nella concezione di Irnerio, Milano: Giuffre, 1954
    (DE) Friedrich Carl von Savigny, Geschichte des Römischen Rechts im Mittelalter (2nd. ed., Heidelberg, 1834-1851) iii. 83
    (DE) Julius Ficker, Forsch. z. Reichs- u. Rechtsgesch. Italiens, vol. iii. (Innsbruck, 1870).
    -(DE) Herman Fitting, Die Anfange der Rechtsschule in Bologna (Berlino, 1888)
    -Enrico Spagnesi, Wernerius Bononiensis iudex: la figura storica d'Irnerio; contiene l'edizione critica di 14 documenti diplomatici d'Irnerio (Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria. Studi, 16), Firenze: Olschki, 1970.

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  8. Particolarmente incuriosita del periodo di rinascita carolingia, in questi giorni mi sono occupata di approfondire le mie conoscenze in merito e ho trovato tre autori che a mio avviso ne danno un’interessante lettura.
    Innanzi tutto Christopher Dawson il quale afferma che l’importanza storica dell’epoca carolingia trascende di gran lunga le sue realizzazioni materiali. Il poco maneggevole impero di Carlomagno non sopravvisse a lungo al suo fondatore, e non raggiunse mai veramente l’organizzazione economica e sociale di uno Stato civile. Eppure, malgrado questo Dawson sente di poter dire con convinzione che esso segna il primo emergere della cultura europea dal crepuscolo di un’esistenza prenatale alla coscienza della vita attiva. Sinora i barbari erano passivamente vissuti del capitale che avevano ereditato dalla civiltà da loro saccheggiata; allora cominciarono finalmente a cooperare con essa in un’attività sociale creatrice. Il centro della civiltà medievale non doveva trovarsi sulle sponde del mediterraneo ma nelle terre settentrionali fra la Loira e il Weser che erano il cuore dei domini franchi. Fu questo il centro formatore della nuova cultura, ed è qui che le nuove condizioni che avrebbero regolato la storia della cultura medievale trovano la loro origine. L’ideale dell’Impero medievale, la posizione politica del papato, l’egemonia tedesca in Italia e l’espansione della Germania verso oriente, le fondamentali istituzioni tanto religiose quanto politiche della società medievale e l’incorporazione della tradizione nella sua cultura, tutto ha il suo fondamento nella storia del periodo carolingio.

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  9. Il tratto essenziale della nuova cultura fu il suo carattere religioso.
    I carolingi ritraevano la loro origine tanto dai guerrieri franchi quanto da vescovi e santi gallo–romani e combattevano il valore guerresco di un Carlo Martello con una vena di idealismo religioso. È in Carlomagno che ambedue gli elementi trovano un’espressione simultanea. Questi fu soprattutto un soldato ma nonostante la durezza e la sua ambizione priva di scrupoli, non fu soltanto un guerriero barbarico; la sua politica si ispirò a ideali e fini universali.
    L’incoronazione di Carlo come imperatore e la restaurazione dell’Impero d’Occidente dell’anno 800 concluse la riorganizzazione della cristianità occidentale e completò quella quell’unione tra la monarchia franca e la Chiesa di Roma che era stata iniziata dall’opera di Bonifacio e Pipino. Tuttavia, sarebbe un errore supporre che l’elemento teocratico del dominio di Carlo fosse fondato sul suo titolo imperiale o che egli derivasse il carattere universale della sua autorità dalla tradizione dell’imperialismo romano. Egli si era già fatta un’alta opinione della sua autorità come capo divinamente eletto dal popolo cristiano, ma quest’ideale si fondava sull’insegnamento della Bibbia e di sant’Agostino piuttosto che sulla tradizione classica di Roma imperiale. Questo ideale teocratico domina ogni aspetto del governo carolingio che si può definire uno Stato chiesastico.
    Il re è il reggitore della chiesa oltre che dello stato; il governo di tutto l’impero era largamente ecclesiastico.
    Carlo considerava il papa come un suo cappellano tanto che gli storici moderni, specialmente in Francia e in Inghilterra non sono convinti che l’incoronazione del re franco nel natale dell’800, fosse sinceramente un’iniziativa del papa.
    Certamente Carlo guadagnò dall’incoronazione poiché la sua universale autorità in occidente ricevette adesso la sanzione della legge romana e della tradizione. Per il papato tuttavia, il vantaggio non fu meno chiaro. La supremazia della monarchia franca, che aveva minacciato di mettere in ombra quella di Roma, era adesso associata a Roma e per conseguenza anche al papato. La sommissione politica del papa non era più divisa tra l’autorità de iure dell’imperatore di Costantinopoli e il potere de facto della tradizione romana; come imperatore, entrò in un accordo giuridico definito col capo della chiesa.
    Indicativa la descrizione che Modoino, vescovo di Auxerre, fa del suo tempo come rinascita di Roma dall’antichità classica: rursus in antiquos mutataque mores; aurea Roma iterum renovata renascitur orbe.
    Christopher Dawson “ La formazione dell’unità”.
    Nicoletta Barra

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  10. Gli altri due autori a cui facevo riferimento all’inizio sono Georges Livet e Roland Mousnier i quali nel libro “Storia d’Europa – il Medioevo” risultano particolarmente attenti nel descrivere la struttura organizzativa che fonda e di cui si avvale Carlomagno durante il periodo del suo impero.
    Sembra questi ritenere infatti che sia necessario avere a disposizione, per il buon funzionamento dello stato, un personale amministrativo che abbia ricevuto una formazione seria e che, nel clero, preti e monaci debbano essere istruiti. L’obiettivo principale è l’educazione dei chierici, innanzitutto per la funzione religiosa. Per conseguirlo, Alcuino, che dirige in certo senso l’accademia ufficiale del regime, la Schola Palatina di Aquisgrana, mette a punto un programma che verrà seguito in tutte le scuole: alla sua base c’è l’esigenza di essere in grado di leggere e scrivere, di cantare, l’obbligo di conoscere bene il latino, tutte cose che dovevano richiedere un certo tempo; poi, a un livello più elevato, c’era l’iniziazione delle arti liberali e l’acquisizione, a un grado più o meno avanzato, dei loro procedimenti e delle loro conoscenze. Le arti liberali sono quelle del TRIVIUM – la grammatica, la retorica, la dialettica – e quelle del QUADRIVIUM – l’aritmetica, la geometria, la musica, l’astronomia. Ma l’accento viene posto soprattutto sul trivium, cioè sulla padronanza della lingua, la qualità dell’espressione, il metodo della riflessione.
    Il programma pienamente ambizioso non venne pienamente realizzato, tutt’altro. Riuscì tuttavia a far nascere una rete relativamente fitta di centri intellettuali e di focolai culturali. Vi si ricollegarono dapprima un buon numero di monasteri benedettini, sia perché, dopo il loro periodo anglosassone, i seguaci di san Benedetto attribuivano grande importanza alla propria formazione, ritenendo di dover essere colti per evangelizzare, sia perché Carlomagno volle che ciascuna abbazia svolgesse attività del genere. Tuttavia, dopo il suo regno, la riforma monastica di Benedetto d’Aniane recò pregiudizio, da questo punto di vista, a parecchi conventi anche se accanto ai monasteri, numerose chiese cattedrali e alcuni capitoli mantennero delle scuole. Inoltre in molte chiese furono istituiti dei laboratori (scriptoria), per confezionare libri – delle copie di precedenti manoscritti degli autori dell’antichità classica e cristiana, presentate in una “veste tipografica” elegante e chiara: LE MINUSCOLE CAROLINE; vi si istituirono biblioteche, alcune delle quali rinomate per la loro ricchezza. La più famosa quella si S. Gallo, possedeva numerose opere scritturali, liturgiche, di patristica, libri di diritto, narrazioni agiografiche, lavori di grammatici, volumi di Virgilio, Orazio, Giovenale;Lucrezio, Marziale, Ovidio ecc. A Lione, la collezione di opere dei Padri della Chiesa era ancora superiore, come anche quella di opere di diritto.

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  11. Tuttavia l’educazione dei chierici, che avvantaggia la stessa amministrazione civile in quanto molti funzionari e agenti vengono reclutati tra i membri del clero, non è l’unico obiettivo di Carlomagno. Si pensa anche a dare un’educazione religiosa a tutti i fedeli, anche i più modesti.
    Lo sforzo culturale e pedagogico punta soprattutto sull’aristocrazia, sia ecclesiastica che laica. Esso alla fine si manifesta in una produzione molto vara, che riflette piuttosto fedelmente gli intenti originari. Da una parte, alcuni autori ed opere che hanno essenzialmente preoccupazioni spirituali e pedagogiche, mentre il dominio religioso si estende alla sfera politica con delle riflessioni sul potere e la compilazione di testi giuridici; dall’altra, scrittori e libri decisamente più letterari; poeti, cronisti e storici.
    Queste opere e tutti gli scritti del tempo rivelano una cultura essenzialmente latina e cristiana. I carolingi, dunque, sono riusciti a fare elaborare e a valorizzare una cultura “universale”, valida e vantaggiosa per tutti gli abitanti dell’impero e dell’Occidente.
    Facendo un bilancio di tutte le attività, si nota come alla fine del VIII sec. e nei primi anni del XI l’occidente cristiano, quasi interamente compreso entro i confini dell’impero carolingio, sia stato, in un certo senso, unificato sotto una potestà suprema, che aveva l’obiettivo di mantenere e rafforzare l’unità per far vivere insieme, secondo le medesime norme morali e con una stessa visione della vita e del destino umano, popoli dapprima diversi e separati. L’unificazione, basata su una dottrina che esaltava al livello etico l’autorità pubblica, poggiava su un sistema di istituzioni saldo e coerente, che permetteva a queste di funzionare efficacemente ed era coronata da un’elaborazione culturale originariamente destinata al servizio della religione, la quale costituiva il nesso fondamentale tra il governo e i governati e gli stessi governanti.
    I contemporanei sentirono la necessità di questo ancoraggio all’impero al fine di preservare la propria particolarità, vale a dire ciò che li distingueva, nel comportamento e quindi nella mentalità, dalle comunità “straniere”. Per questo l’impresa carolingia può effettivamente considerarsi come una certa costruzione dell’Europa, “l’Europa cattolica” per usare la formula di R. S. Lopez, che intende sottolineare tutto ciò che la diversifica dai popoli vicini e dalle popolazioni cristiane legate dai loro riti alla chiesa bizantina, mentre le isole britanniche costituiscono un gruppo ancora separato, anche se intriso della stessa cultura.
    Nicoletta Barra

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  12. una correzione alla ventunesima riga: alla fine del VIII sec. e all'inizio del XI non del XI

    Nicoletta Barra

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  13. ho scritto praticamente la stessa cosa è il mio computer che non va: alla fine dell'ottavo secolo e all'inizio del nono, non dell'undicesimo. Scusate

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  14. Poichè, i suddetti Vescovi di Sassonia, erano senza dubbio anche i difensori di Ildebrando, ovvero del loro Papa, credevano tuttavia, con frequenti concilii, di assolvere se stessi e i propri seguaci e di condannare l'Imperatore Enrico che essi stessi avevano in primo luogo cacciato dal regno di Sassonia. E tuttavia, per questo motivo, un giorno si decise, con il consenso di entrami i Vescovi,che il motivo di una lunga controversia, non potendosi portare a termine con le armi, fosse concluso con i libri. Avvenne un incontro in un luogo chiamato Gerstungen il 17 febbraio dell'anno 1085 dall'incarnazione del Signore. Allora per primo Corrado Traiettense, Vescovo della Chiesa, disse:"Ecco, veniamo e dimostreremo, con la testimonianza dei Santi canoni, che il nostro Re Enrico, non è stato condannato o scomunicato; a lui, se non furono d'aiuto presso di voi, le cose che legittimamente sono state ordinate da Dio riguardo l'onore del Re, almeno concedete questo, ovvero di servirsi di quel diritto che in base alle regole ecclesiastiche,è stato concesso di utilizzare anche alle più infime delle persone della Chiesa". E disse ad Ezzelino, Vescovo della Chiesa di Magonza, di alzarsi e leggere quel tale capitolo dai decreti dei Pontefici romani. Allora quello, si alzò e lesse in che modo uno, che sia stato spogliato delle sue proprietà o scacciato dalla propria sede con la forza o spinto dal terrore, non possa essere accusato, chiamato in giudizio, giudicato o condannato, prima che non gli vengano restituite integralmente tutte le cose che gli sono state sottratte e non si reintegri il suo diritto con ogni suo privilegio, eche eglipacificamente goda a lungodei suoi onori, regolarmente restituito alla propria sede.

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  15. Salve a tutti!!!
    Anche se con un po’ di ritardo rispetto alle lezioni, dopo che abbiamo parlato delle raccolte private di Ansegiso dei capitolari carolingi, ho ritenuto interessante fare qualche ricerca nella biblioteca della nostra facoltà per meglio intendere che cosa erano in effetti questi capitolari.
    Il testo in cui ho trovato le informazioni storiche che mi servivano è : “I capitolari italici, storia e diritto della dominazione carolingia in Italia” di C. Azzara e P. Moro. Ed. Viella, 1998.

    Innanzitutto una definizione: il capitolari erano degli atti giuridici emanati duranti l’impero carolingio suddivisi, di regola, in articoli. Venivano emanati dal sovrano munito del cosiddetto potere di banno a seguito di assemblee con gli altri “grandi” (tra cui figuravano prima di tutto Vescovi e Episcopati) e avevano lo scopo di introdurre e far conoscere misure legislative e amministrative. Nell’ottica odierna potremmo usare il sinonimo di decreto, editto.
    Il termine esisteva anche in epoca anteriore solo che indicava diversi fenomeni tra cui atti per la riscossione coatta di imposte o atti d’accusa; il punto in comune con il termine dell’epoca carolingia era solamente la suddivisione in articoli, capitoli appunto.
    Il primo uso del termine nel significato attuale lo si trova nel proemio a un editto del re longobardo Astolfo nel 750. E’ dai carolingi in poi insomma che capitolare diventa definitivamente sinonimo di atto normativo. Atti che si differenziavano dalle precedenti legislazioni germaniche per il fatto che provenivano dal sovrano munito del sopra ricordato potere di banno, mentre negli altri popoli si avevano raccolte di usi nazionali o vari provvedimenti specifici locali.
    In modo molto schematico i numerosi capitolari possono essere suddivisi in “ecclesiastici” e “mondani” (cioè laici) anche se è riduttiva in quanto ne troviamo tantissimi misti. Un’ulteriore divisione è stata fatta a partire da Ludovico il Pio in : capitolari da unirsi a altri codici o comunque con la funzione di modifica, provvedimenti totalmente autonomi da tutto il resto del complesso normativo e provvedimenti della più svariata natura da inviare nelle singole Province. Classificazione anch’essa riduttiva perché comunque residuano provvedimenti misti anche da questo punto di vista.

    ...segue...

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  16. ...segue...

    Una precisazione riguardo la loro emanazione: venivano redatti dal sovrano durante delle assemblee chiamate Placiti dove veniva stabilito un ordine del giorno e al termine della discussione fra i partecipanti il sovrano decideva quali capitolari emanare e affidava ai cosiddetti “missi” il compito di renderli pubblici e conosciuti in tutte le Province. Il testo dei provvedimenti poteva essere redatto per iscritto e diffuso in questo modo, oppure, il più delle volte circolavano oralmente anche mediante la semplice lettura in piazza che aveva lo stesso il valore di promulgazione.
    Ciò non toglie che spesso molti conti e soggetti comunque interessati dalla normativa e anche gli stessi sovrani assegnassero a appositi soggetti il compito di riprodurre il testo dei capitolari e che poi li conservassero in cancellerie, archivi e anche numerose raccolte private. Di quest’ultime si ricorda quella di Ansegiso, da noi studiata, ma bisogna comunque sottolineare come queste raccolte private avessero comunque carattere eterogeneo e raccogliessero norme secondo l’ottica dell’utilizzatore non sempre rispettando quindi il contenuto e la paternità dei provvedimenti originali.
    Tra i capitolari, uno dei più famosi è il cosiddetto “Capitolare Italico” emanato nel vecchio territorio longobardo dopo la dieta di Pavia del.’832. Era un provvedimento specifico per il territorio che si affiancava a quelli di carattere generale che valevano invece per tutto il Regno. E’ una raccolta di atti che inizialmente serviva solo a uso scolastico, ma che per le sue caratteristiche si diffuse presto nella pratica e venne spesso integrato e modificato in base alle esigenze.
    Tra le raccolte moderne di capitolari si ricordano quella del 1677 di Baluze a Parigi ma soprattutto quella del 1835 di Pertz confluita nel “Monumenta germaniae Historica, e l’opera critica sempre parte di questa raccolta di Borietus e Krause,

    Elena Lauretti

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