giovedì 29 novembre 2012

Gewere

A lezione si sta delineando una ricostruzione della vestitura che fa riferimento al diritto volgare e alle formalizzazioni canoniche dei principi che si sono affermati nel primo Medioevo. Avete osservazioni?
Volete provare a vedere come è descritta la Gewere nei libri di diritto comparato o di diritto civile scritti in tempi recenti?

17 commenti:

  1. Maria Domenica Padovano1 dicembre 2012 alle ore 00:50

    Per provare a rispondere alla Sua domanda ho iniziato la mia ricerca consultando il libro “Istituzioni di diritto privato”, curato da Mario Bessone, stupendomi come nel paragrafo dedicato all’art 1153 cod. civ. non si facesse alcun accenno né alla Gewere né alla revestitura.
    L’autore, pur riconoscendo esplicitamente l’importanza di “una trattazione attenta anche ai profili comparatistici”, riporta solo la dicotomia tra il diritto romano e la regola enunciata nel nostro moderno codice, passando velocemente per il code Napoleon a cui è riconosciuto il merito di aver per primo codificato il principio secondo il quale al possesso dei beni mobili sono attribuiti gli effetti del titolo d’acquisto a favore dell’acquirente di buona fede. Le radici culturali dell’istituto sono trovate da Marco Comporti (autore di questa sezione) nell’antico ordinamento germanico che poi, attraverso i Franchi, era stato recepito dal diritto consuetudinario delle Francia del nord.
    Ho quindi proseguito con il “Manuale di diritto privato europeo” (vol.II) di C. Castronovo e S. Mazzamuto, ma anche lì, e solo nel capitolo secondo (la proprietà: storia e comparazione), ho trovato accenni alle particolarità del diritto germanico in contrasto rispetto al diritto romano, ma nessun riferimento particolare alla Gewere.
    Ho allora proseguito sul web, arrivando a consultare l’elaborato finale del “Dottorato di ricerca in sistema giuridico romanistico e unificazione del diritto” presso l’Università degli studi di Tor Vergata A.A. 2009/2010 dal titolo “La teoria del possesso nel diritto romano e italiano”, la cui lettura, se da una parte mi ha allontanato dal ricercare una definizione moderna di Gewere, ha ispirato il mio tentativo di disegnare il possibile percorso che unisce un istituto di diritto medioevale ad i nostri codici moderni.
    E sono quindi tornata, all’ art. 1153 cod. civ .Norma che non ha corrispondenza nella concezione tradizionale del diritto romano, che prescrive il necessario trascorrere del tempo necessario per l’usucapione per acquistare la proprietà della cosa acquistata dal non domino e posseduta in buona fede, ma trova invece la propria origine nell’istituto germanico delle Gewere che individua il potere di fatto acquistato in modo non vizioso che circola per effetto dello scambio consensuale. Mai istituto simile poteva essere concepito nel diritto romano dove, anzi, era possibile che un possessore trasmettesse il potere al detentore conservando l’intento di essere proprietario.
    Ma è in Francia che l’istituto della Gewere, che inizia a circolare sotto il nome di saisine (enciclopedia Treccani), si combina con la lingua latina ed i concetti romanistici, arrivando fino all’affermazione, nel code Napoleon, che “chi ottiene con la buona fede il possesso della cosa mobile non rubata e non smarrita è al riparo da ogni rivendicazione e può lui stesso essere il rivendicante ove la cosa venga derubata o smarrita”. La commistione tra diritto germanistico e romano è chiara: l’immediatezza dell’acquisto del diritto dal non titolare deriva dal primo, il requisito necessario della buona fede dal secondo.
    Ed è così che l’istituto, evolvendosi nei secoli, riesce ancora a spiegare i suoi influssi all’interno del nostro codice civile: “Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purchè sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. La proprietà si acquista libera da tutti i diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell’acquirente”.

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  2. Spesso tendiamo a ricercare le fondamenta del diritto civile italiano moderno, così come le origini di istituti giuridici di altre nazioni europee nel diritto romano. Il sistema giuridico romano, soprattutto per quanto attiene al diritto privato e quindi ai rapporti interpersonali tra soggetti giuridici, viene considerata la fonte principale del nostro diritto.
    Anche io ho seguito un percorso simile a Maria Domenica nella ricerca delle influenze che la gewere e il diritto germanico possono avere apportato nel nostro diritto civile così come in quello di altri Stati europei, arrivando in parte alle stesse conclusioni.
     Non bisogna infatti trascurare l'influenza che, soprattutto in relazione ad alcuni istituti del diritto civile come ad esempio il "possesso"(art. 1140),  hanno avuto anche il diritto canonico e il diritto germanico.
    Abbiamo analizzato a lezione come il popolo germanico non distingueva tra proprietà e possesso, tutelando la "appartenenza" delle cose, mentre per il diritto romano il possesso consisteva in una relazione di fatto con la cosa congiunta con l'elemento volontario di esercitare il dominio su di essa.
    Da alcuni approfondimenti che ho svolto in relazione alla base teorica e pratica dell'istituto del possesso in epoca moderna,  ho ritrovato nell'articolo 1153 cc,  il quale statuisce che "Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà  mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
    La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente",  il principio germanico "hand muss hand wahren" ( la mano che da garantisca la mano che prende). Secondo tale norma infatti l'acquirente in buona fede che acquista il bene mobile in forza di un titolo idoneo ne acquista la proprietà anche se non ha acquistato dal legittimo proprietario ( acquisto a non domino). Il  proprietario originario potrà rivalersi solo sull'alienante, e non avrà alcuna azione contro l'acquirente in buona fede. Tale norma non corrisponde al diritto romano, che invece concepiva la proprietà come un diritto inviolabile e perciò qualunque attentato contro la proprietà era represso severamente e il legittimo proprietario poteva esercitare l'azione di rivendica contro chiunque. L'unica tutela che il diritto romano riconosceva all''acquirente che aveva acquistato a non domino si rinveniva nell'istituto dell'usucapio, per cui il possesso protratto nel tempo costituiva causa di estinzione della titolarità dell'alienante.
    La scelta conservativa del diritto romano si può sintetizzare nel principio "ubi rem meam invenio, ibi vindico".
    Possiamo concludere quindi che nella legislazione moderna l'istituto germanico ha trovato maggior successo in quanto più adatto alle esigenze pratiche. La nostra società si basa su una circolazione libera e rapida delle merci e dei capitali , per cui laddove l'acquirente rischiasse sempre l'azione di rivendica da parte del legittimo proprietario la sicurezza commerciale e lo sviluppo economico sarebbero notevolmente compromessi.
    è evidente come, rispetto al rigido principio romano, la regola germanica meglio si adatta alle esigenze di rapida e larga circolazione delle merci nelle società moderna.

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  3. Nell'effettuare le mie ricerche ho consultato i seguenti testi:
    - E. Moscati La disciplina generale delle obbligazioni, giappichelli.
    - Enciclopedia Treccani
    - P. Spada Introduzione al diritto dei titoli di credito

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  4. Il concetto di Gewere, come visto a lezione, è il frutto di una sistematizzazione elaborata da giuristi del XIX secolo, che erano desiderosi di creare una tradizione giuridica e storica che potesse "competere" con quella dei romani.Allo stesso tempo nasce infatti anche l'esigenza di uniformare la lingua parlata in tutto il regno e di dar forme pratiche alla "Rechtsidee".Alla base di queste esigenze vi era il fatto che la Germania medievale era caratterizzata dalla debolezza del potere imperiale, dalla mancanza di una giustizia regia forte e di un ceto di giuristi influente : fattori che impedirono il formarsi di un diritto consuetudinario tedesco comune e che favorirono la ricezione degli istituti di diritto romano, il quale "offriva un patrimonio di concetti e di strumenti giuridici, con l'aiuto dei quali anche i problemi più complessi potevano essere affrontati in modo tecnico" (Zweigert,Kotz 'Introduzione').Queste caratteristiche si ritrovano ancora al Congresso di Vienna, nel 1815, ove il diritto romano è ancora fonte principale della maggior parte degli stati e in cui è compito della dottrina adattare il diritto romano alle necessità del momento, in modo da trasformarlo in "diritto vivente". Gli studiosi del tempo sono ispirati, dunque, da questa idea romantica del diritto, che dovrebbe essere diritto consuetudinario; maggior esponente di questa idea è Savigny, che rappresenta il diritto quale "Volkgeist", spirito del popolo, che, proprio come la lingua, non può essere cristallizzato ma è in continua evoluzione. I successori di Savigny andarono oltre e si sforzarono di creare un diritto sistematico ispirato alle fonti giustinianee ma che avesse radici germaniche, in modo da poter difendere animatamente l'idea di unità e tradizione nazionale e del "Volk" che tanto animava gli spiriti romantici dell'epoca. Si potrebbe concludere quindi che la Gewere altro non è che l'istituto romano della vestitura "travestito" (scusate il gioco di parole) da istituto germanico, nell'intento di renderlo più vicino al popolo dal quale veniva usato e di più facile duttilità e adattabilità all'evoluzione delle esigenze dell'ordinamento giuridico. Non è azzardato ipotizzare che il dibattito e le questioni sulla Gewere siano frutto di una dottrina molto più recente rispetto alla sua presunta nascita, creata da giuristi desiderosi di difendere la loro identità nazionale ma anche di dare delle radici antiche, sinonimo di autorevolezza, a questo istituto.
    Martina Arisi
    (Ho attinto da "La tradizione giuridica occidentale", Varano - Barsotti)

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  5. Ho provato ad effettuare una ricerca del termine Gewere,nel diritto francese, comparandolo con degli istituti del diritto Italiano, per proporre un'altra visione di questo istituto.
    Nel diritto francese si trova il termine SAISINE,ovvero il prolungarsi del possesso dei beni dal defunto nell'erede, per virtù d'una specie d'investitura necessaria. Questo termine deriva senz'altro dalla tradizione germanica, e pur non essendo del tutto simile al termine Gewere, vi si avvicinerebbe senza dubbio.
    La francia conosce la categoria degli eredi legittimi, sempre grazie ad un concetto germanico che considera la proprietà come familiare e collettiva. Gli eredi testamentari non sono più che legatari universali o a titolo universale. Dunque recuperando in parte il diritto romano, ma istituendo poi una regola generale, se ne staccò nettamente: si distinguevano i due momenti della delazione e dell'addizione, e solo con quest'ultima veniva acquistata l'eredità. Invece con l'acquisto fin dal primo momento, fu resa possibile la saisine.
    La saisine può sembrare accolta anche dal diritto italiano,che ammette l'eredità deferibile oltre a quella per legge e per testamento, equiparando gli eredi testamentari e legittimi. Questo però non riprodurrebbe la massima 'mortuus facit possessorem vivum sine ulla adprehensione ', e non deriva dalla saisine, inconcepibile là dove l'acquisto dell'eredità è subordinato all'accettazione, bensì dalla necessità, manifestatasi già nel Medioevo, d'impedire da parte dei terzi l' usurpazione di prerogative o cose dell'eredità nei casi in cui l'erede fosse mal noto. Per rimediare a tale inconveniente, bastava considerare qualunque erede come possessore e concedergli le azioni possessorie che gli rendessero più agevole la difesa.
    Emanuele Filiberto, in un editto stabilì che : "soudain après la mort du défunct, la possession de tous les biens de son héritage sera transférée et continuée ipso iure en la personne de son héritier ou hoirs universels, lesquels seront tenus pour vrais possesseurs des dits biens, tout ainsi qu'était le défunct duquel ils sont héritiers, sans qu'il soit besoin qu'ils prennent autre actuelle et réelle possession" (più o meno questa è la traduzione: "subito dopo la morte del defunto, il possesso di tutti i beni della sua eredità verrà proseguita e trasferiti ipso iure nella persona del suo erede o gli eredi universali, che si terrà i veri proprietari di detti beni, e tutto ciò che è stato il Defunct che sono eredi, senza la necessità di prendere altre possesso in corso e reale").
    Il principio accolto da Emanuele Filiberto fu ribadito dalle regie costituzioni del 1770 al lib. 5, tit. 5, e dal codice Albertino all'art. 967, che ispirò l'art. 925 del codice civile italiano, il quale appunto perciò non può coincidere affatto con l'art. 724 del francese, ov'è presupposta un'investitura nei beni del defunto che la rinuncia può distruggere e che l'accettazione non fa se non convalidare.
    In Italia l'erede legittimo non differisce dal testamentario. Quindi L'art. 925 non può dunque avere il senso dell'art. 724 del codice francese, riferendosi esclusivamente al possesso.


    Giulia Onesti

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  6. L’antico diritto germanico conosceva una netta distinzione tra il diritto dei beni immobili e quello dei beni mobili e solo per quest’ultimi i Germani inizialmente conoscevano il concetto di proprietà. Tale nozione, tuttavia, si confondeva con quella di possesso, inteso come esercizio materiale del diritto: unica forma di appartenenza conosciuta, infatti, era la cd. Gewere ossia il rapporto esteriore della persona con la cosa riconosciuto dall’ordinamento giuridico come forma di manifestazione di un diritto di signoria sulla cosa. Il concetto di Gewere, dunque designava sia il fatto del possesso sia il diritto al possesso indipendentemente dalla titolarità sostanziale ed era considerato l’unico termine di riferimento per la tutela processuale. L’azione concessa al titolare della Gewere, dunque, a tutela del suo diritto, non era considerata una semplice azione possessoria, ma consisteva in una vera e propria azione petitoria: per mettere in luce questa sovrapposizione delle due form edi tutela si è coniata l’espressione “rivendica del possesso” ancora oggi usata in tema di compravendita di beni mobili(art. 1519 c.c). La circolazione della gewere avveniva, come è facile intuire, tramite un negoazio fondato sul consenso ma che richiedeva per il suo perfezionamento il requisito della consegna materiale della cosa. Questa è l’origine della regola, tuttora presente nel diritto tedesco attuale, che presuppone, per il trasferimento della proprietà di un bene mobile, la Übergabe (consegna) della cosa effettuata con la volontà comune delle parti di trasferire la proprietà della cosa (Einigung). Il requisito della consegna veniva interpretato in termini restrittivi, in quanto si considerava consegna valida esclusivamente la consegna volontaria del bene da parte del titolare attuale della Gewere: questo ha significato che tutte le volte in cui vi fosse uno spoglio illegittimo della Gewere ovverosia una ipotesi di furto o rapina, l’acquisto non poteva ritenersi perfezionato e, nonostante successivi trasferimenti, continuava ad essere esperibile l’azione di rivendica mobiliare da parte dell’originario titolare della Gewere. Unica ipotesi in cui poteva perfezionarsi l’acquisto di un bene di provenienza furtiva consisteva nella circostanza che si fosse estinto, per decorso del tempo, il rimedio previsto a favore del precedente soggetto titolare del potere: in questo caso il potere di fatto, si considerava purificato. D’altra parte, nelle ipotesi in cui il titolare della Gewere avesse consegnato volontariamente il bene a terzi sulla base per esempio di un contratto caratterizzato da un obbligo successivo di restituzione (contratto di locazione, deposito, etc.) e il detentore poi a sua volta consegnasse il bene a terzi con l’intento di trasferire la Gewere, il terzo acquistava il potere di fatto sulla cosa e l’originario titolare era estromesso dalla tutela reipersecutoria.
    "Gli acquisti a non domino"
    di Marta Cenini 2009 pag 79-81

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  7. “ Il possesso dei diritti” di Enrico Finzi è un libro immerso nella dimensione storica: chiede ai maestri pandettisti il polmone dogmatico, forse convenzionale, forse artificioso, ma prezioso punto di partenza e il riferimento teorico per avviare un discorso veramente ordinante; chiede ai germanisti di disseppellirgli dall’urna di una civiltà possessoria come il medioevo quell’istituto – e, più che istituto figura generale- della Gewere, che è il segreto dell’ordinamento alto-medievale. Tutto il volume è impiantato su una utilizzazione costante della nozione di Gewere, con riferimenti continui alla grande germanistica dell’Ottocento (ad Eichhorn, Albrecht, a Heusler, a Gerber, a Gierke). Orbene se la nozione di investitura è operativa al centro del libro di Finzi come una cerniera tra fatto e diritto, la antica Gewere è l’unico assetto sperimentale che spieghi l’investitura che dia all’autore la possibilità capirne il meccanismo: perché la Gewere era stato l’assetto concreto di una civiltà costruita sul ‘possesso dei diritti’. Vi è una concezione della Gewere come una forma esteriore di godimento voluta legittimamente e di conseguenza tutelata dal diritto, difatti incarna la manifestazione del più genuino spirito germanico.
    Fonte: Nobiltà del diritto: profili dei giuristi 2008 pag 33-34
    Marco De Simone

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  8. A lezione abbiamo analizzato dei testi per cercare l’origine della parola "Gewere". Dall'analisi dei testi abbiamo visto come la parola gewere,“investitura” viene usata dagli specialisti del diritto commerciale per legittimare il possessore di un titolo di credito ad incassare la somma di denaro (secondo Donati e Messineo). Vediamo la centralità di questa Realitas nel dibattito teorico-storico nel diritto moderno, problema dovuto all’insufficienza delle obbligazioni romane nel come denominare a persone che si obbligano senza aver stipulato un contratto, e nel come spiegare un’acquisto a non Dominium. Finzi distingue fra chi ha la titolarità del diritto da chi ha il potere di esercitare l’azione, cita Albrecht il quale critica Savigny per la sua teoria sul possesso, giacché interessa l’apparenza esteriore del diritto contrapposto ai principi romani indicati dai pandettisti, quest'ultimi lo vedono come un diritto reale mentre i germanisti si concentrano di più sull’azione a difesa del diritto, svincolando il diritto ad agire dalla sua titolarità. Kobler in un suo articolo del 1975 mette in crisi l’origine del termine: che poi si concluderà che il termine revestire proviene da un linguaggio religioso e non era, come fino ad allora era stato considerato, un istituto tipico e centrale dei germanisti, la base del loro sistema genuino e originale connaturato alla loro etnie e delle loro consuetudini. Abbiamo continuato il percorso vedendo come già nelle fonti Visigote si accenna al caso del duca Paolo, che viene ricondotto nel regno e revestito nella sua dignità(diverso da possesso) e nelle sue cose, di cui godeva perché gli erano state date dall'autorità sovrana (vestitura come possesso). Nel prooemium vediamo come questo termine si ritrova anche nelle fonti di diritto canonico come nelle Decretale Pseudo-Isidoriane, bisogna notare l'importanza che hanno avuto i falsi per rimediare l’inesistenza di un potere pubblico, facendo risalire un'autorità legislativa a fonti che non la avevano poiché raccolte nelle decretali di Graziano, quindi dietro la volontà del legislatore papale, ma soprattutto sono importanti perché ci danno i principi che sono alla base dei sistemi processuali di tutta Europa.
    Con Otto di Ostia, delegato del Papa, che ha portato a termine le politiche di Gregorio VII, si inizia a vedere essistenza di un'opposizione a che questo privilegio sia usato anche per i laici, poiché secondo le leggi canoniche nessuno può essere spogliato delle sue cose , e se è stato spogliato deve essere rivestito dei suoi beni e del honorem, finché non si concludono le 4 fasi del giudizio (viene data maggiore garanzia), ma Otto cerca di limitarne l’uso soltanto a favore dei clerici. Sembra che nelle Decretale Pseudo-Isidoriane non vi sia procedibilità contro gli spogliati sia da parte dalla legge canonica che dalla legge civile ( posizione contraria di Ruffini, che concluse a favore della sola applicazione nei confronti dei vescovi, nel suo libro sulla actio spolii, il che insieme a Finzi intravedono nel mondo germanico il motivo per cui la difesa possessoria ha avuto un peso così determinante nella disciplina dei rapporti di dipendenza personale)

    Jaquelin Sobrino

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  9. Continuando con il tema della gewere,il riconoscimento formale di un diritto, veniva tutelato dall’autorità pubblica in caso di turbative del pacifico godimento con la azione di spoglio, garanzia usata sia per i diritti di natura personale, sia per quelli di natura reale, oppure per ottenere la reintegra di uno status passato come il caso de lo status coniugale. La propria posizione giuridica veniva tutelata in giudizio, giacché ogni diritto esisteva soltanto perché l’autorità politica ne prometteva la protezione con l’atto solenne dell’ investitura, non avevano bisogno di qualificare come possesso il godimento che si chiedeva loro di ristabilire : bastava che chi si dichiarava spogliato potesse dimostrare di essere stato Vestitus di un godimento.
    Prendendo spunto dal libro di Diritto Comune del prof. Conte, ed entrando più nello specifico nell’analisi di uno istituto giuridico come l’usucapione vediamo come questo non aveva più il significato classico di modo acquisto della proprietà, modificato per la fusione con la prescrizione (Codice di Giustiniano) e l’effetto era che semplicemente si paralizzava la rivendica da parte dei terzi di un terreno provinciale posseduto per lungo tempo, risulta evidente che l’uso classico diviene secondario, rivelando come preoccupazione principale il consolidamento del godimento. Poi con la legislazione Longobarda ci si inizia a rivolgere al giudice il quale non si fonda ne su un diritto né su fatto giuridicamente rilevante come il possesso, non presuppone la buona fede dell'animus, ma si basa su gli elementi che danno visibilità esteriore al proprio godimento come carte e testimonianze, e la detenzione prolungata e indisturbata forma di vestitura ordinata da tutelare in giudizio. Nel diritto moderno, l’usucapione è ammessa , con maggiore ampiezza del diritto romano e del diritto comune, nei quali si richiedevano i cinque requisiti fissati nel famoso verso mnemonico delle scuole medievali: res habilis, titulus, fides, possessio, tempus. Infatti, per assicurare una più ampia e libera circolazione dei beni e la sicurezza de commercio, furono poco a poco aboliti i requisiti del titulus, ossia del titolo idoneo a giustificare l’acquisto del diritto, e della bona fides, ossia della buona fede in senso soggettivo di convinzione di non ledere l’altrui diritto ,questi requisiti sono oggi previsti per ipotesi di usucapione abbreviata, ma dal codice napoleonico in poi, è ammessa l’usucapione anche da parte di chi sia in perfetta mala fede (ad esempio il confinante che, ben conoscendo il confine, ha occupato e coltivato per 20 anni una porzione di terreno di proprietà altrui).
    Jaquelin Sobrino
    E.Conte, Diritto comune.
    M.Bessone, Istituzioni di diritto privato.

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  10. L'Istituto corrispondente della GEWERE germanica è rappresentato,senza dubbio,nel nostro ordinamento dall'ACQUISTO A NON DOMINO" o anche POSSESSO VALE TITOLO previsto all'art.1153 del codice civile.
    Questa disposizione recita:"Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario(NON DOMINO),ne acquista la proprietà mediante il possesso,purchè sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo a trasferire la proprietà."
    Secondo tale norma, una persona di buona fede che acquista un bene mobile con un titolo traslativo idoneo da una persona che non è il proprietario,diventa proprietario immediatamente di tale bene e il proprietario originario non ha nessuna azione contro di lui.Il proprietario originario può chiedere solo alla persona che ha illegittimamente ceduto la cosa il risarcimento dei danni.
    Questo nostro istituto di diritto positivo non corrisponde assolutamente alla concezione tradizionale del diritto romano che considerava la proprietà come DIRITTO INVIOLABILE.Infatti qualunque attentato contro la proprietà era severamente represso in quanto il proprietario legittimo poteva rivendicare la cosa contro chiunque.Era ammesso l'acquisto per decorso del tempo(USUCAPIONE),ma mai l'acquisto immediato.Tale conclusione può essere provata da una trattazione gaiana:"etiam earum rerum usucapio nobis competit,quae a non domino nobis traditae fuerint .......si modo eas bona fide acceperimus,cum crederemus eum,qui traderet,dominum esse"(GAI.IST,II,43).
    L'acquisto a non domino derivava infatti dal diritto germanico,più precisamente dal concetto elaborato da molti giuristi tedeschi identificato col nome GEWERE,inteso come "potere di fatto acquistato in modo non vizioso".I principi romani,infatti,"nemo plus iuris in alium trasferre potest quam te ipse habet ","resoluto iure dantis ,resolvitur et ius acquirentis "non si trovano nel diritto germanico,quest'ultimo invece fa proprio il brocardo"HAND MUSS HAND WAHREN"(la mano deve garantire la mano)........principio interamente ricavabile dal disposto dell 'art. 1153 c.c
    FONTE:Sandro Schipani,"La teoria del possesso nel diritto italiano"
    ANDREA IACOVELLI

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  11. Ho cercato di svolgere una ricerca comparatistica dell’istituto della Gewere e quindi di capire la sua diffusione nel continente.
    I popoli germanici non distinguevano tra proprietà e possesso, bensì tutelavano l’appartenenza dei beni, ossia la Gewere, salvo che questa non risalisse ad un illecito; si tutelava, dunque, l’appartenenza legittima.
    Al contrario, nel diritto romano l’azione di rivendicazione era assicurata al proprietario e la tutela del rapporto tra la persona ed il bene era molto più spiritualizzata rispetto a quanto accadeva nel diritto germanico. In quest’ultimo, infatti, la tutela veniva accordata solo nel momento in cui la relazione materiale tra la persona ed il bene veniva interrotta da un comportamento che presentava le stesse caratteristiche del furto; era dunque una tutela contro l’illecito.
    Il problema veniva risolto in chiave processuale: nel diritto romano non esistevano limiti all’azione di rivendicazione; nel diritto germanico chi acquistava meritava di essere assolto, ad eccezione dell’acquisto per furto.
    Equivalente francese della Gewere era la “saisine”, etimologicamente derivante dal verbo “saisir”, ossia afferrare.
    Nel diritto consuetudinario francese l’azione di rivendicazione dei beni non si collegava alla mera proprietà, bensì alla saisine.
    La regola francese “meubles confies n’ont point de suite” è simile alla regola germanica “Hand wahre Hand”, la quale enunciava il principio secondo il quale la mano che dava garantiva la mano che prendeva il bene. Questo principio si ritrova tutt’oggi nel codice civile italiano all’art. 1153 rubricato “Effetti dell’acquisto del possesso”, il quale prescrive che “Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
    La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente. Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.”
    Un altro aspetto comune alla Gewere e al suo corrispettivo francese consisteva nel fatto che l’azione di rivendicazione che veniva concessa al titolare della saisine veniva concessa solo nel caso di perdita involontaria del bene per furto, rapina o smarrimento. L’attore non doveva solo provare di avere la saisine sul bene, ma anche che questa gli era stata tolta con violenza o che era stata smarrita. Da questo principio si è poi sviluppata la regola che derivava dall’antico ordinamento germanico, “en matière de meubles, la possession vaut titre de propriété (à moins que le meubles ne soit furtif)”; un principio che il code Napoléon codificò per primo all’art. 2279.

    Fonti: Introduzione al diritto dei titoli di credito, di Paolo Spada;
    Gli acquisti a non domino, di Marta Cenini; Questioni di diritto, di Vincenzo Mannino; Istituzioni di diritto privato, di Mario Bessone

    Valeria Fontanella

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  12. 1)
    L'istituto del possesso affonda le sue radici nel diritto romano.
    Già in quest'epoca era stata conferita rilevanza al potere di
    fatto sulla cosa corrispondente al diritto di proprietà,che era
    tutelato di per se,a prescindere dalla contemporanea titolarità del
    diritto.Tale situazione in tanto era protetta in quanto fossero
    presenti due elementi: il corpus(o possessio corpore) che esprimeva
    la relazione materiale del soggetto con la cosa,o in senso lato,
    la capacità fisica di dominio del soggetto su di essa;l'animus
    (meglio animus rem sibi habendi) ossia la relazione spirituale
    del soggeto con la cosa,l'intenzione di riservare a sè e di
    escludere altri dal godimento o dalla disposizione della cosa.
    Qualora mancasse l'elemento dell'animus si doveva escludere la
    tutela possessoria.Nella tradizione germanica l'istituto del
    possesso( la c.d.Gewere) era fortemente ancorato al potere corporale,
    in una concezione per cui potere di fatto e diritto sulla cosa
    si fondevano.Ciò finiva per attribuire pari rilevanza a situazioni
    giuridiche grandemente differenziate,assicurando la stessa tutela
    tanto al mandatario o al depositario,quanto al proprietario.







    2)
    Nel mondo del diritto germanico l'appartenenza dei beni ruotava
    intorno ad un istituto,la Gewere(saisine in Francia),assai poco
    evoluto,che designava il materiale esercizio del potere sul bene,
    a prescindere, da un lato dall'esistenza o meno di un titolo,
    dall'altro dal tipo di potere in questione.Nel diritto germanico
    non si dava una separazione fra la situazione di diritto e quella
    di fatto.Chiunque esercitava un potere sul bene aveva la Gewere.
    La Gewere era un fatto, ma al tempo stesso anche un diritto.La
    Gewere era un potere di fatto che si autolegittimava, assurgendo
    a titolo del godimento in atto.


    FONTI: 1) Ciro Pacilio," Proprietà e diritti reali";
    2) Michele Fornaciari,"Il possesso e la sua tutela.Lineamenti generali"


    Nicola Guzzo

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  14. Il possesso è definito dall'art. 1140 del Codice Civile come il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di
    altro diritto reale. Questa concezione affonda le sue radici nel diritto romano, ove già veniva conferita rilevanza al potere di fatto sulla cosa, tutelato a prescindere dalla titolarità del diritto. Perché questa situazione di fatto venisse protetta, era necessaria la compresenza di due elementi: il corpus (vale a dire la relazione materiale del soggetto con la cosa) e l'animus rem sibi habendi (ossia l'intenzione di tenere una cosa come se fosse propria ed utilizzarla di conseguenza.) Esistevano tuttavia delle ipotesi in cui l'animus non era ravvisabile (in questo caso si parlava di "possessio naturalis") e altre in cui, invece, era l'animus a prevalere (la cosiddetta "quasi possessio".)

    All'esperienza romanistica si contrapponeva, come abbiamo visto, la Gewere della tradizione germanica. Anche in questo caso ci troviamo davanti ad una situazione di fatto corrispondente all'esercizio di un diritto reale, ma la Gewere aveva una sua specifica natura, ben diversa da quella della proprietà o della possessio tipiche del Diritto Romano. Innanzitutto, nel caso della Gewere, era solo la relazione materiale ad essere determinante. Chiunque esercitasse in concreto un potere sul bene, più o meno ampio, aveva la Gewere e il diritto a continuare ad esercitarlo. In sostanza, la Gewere era un potere di fatto che si "autolegittimava", assurgendo a titolo del godimento. In questo modo si finiva per attribuire pari rilevanza a situazioni giuridiche differenziate, assicurando la stessa tutela tanto al depositario, quanto al proprietario. Con il termine Gewere, insomma, si designavano situazioni possessorie di vario tipo e intensità, il che comportava che su di uno stesso bene potessero coesistere più Gewere: lo stesso terreno poteva essere contemporaneamente nella Gewere di più persone, purché in base a titolo diverso e con contenuti diversi.

    Inoltre, mentre i Romani davano alla tutela processuale del possesso un carattere distinto da quello del diritto corrispondente, i Germani non dissociano mai la tutela del godimento della cosa dall'idea del corrispondente diritto e cercano sempre di risalire alla sua origine, cioè alla sua investitura. La Gewere era, in pratica, la "veste" del diritto reale, che poteva bastare di per sé in quanto compendiava il più forte interesse del proprietario (ricordiamo che nel linguaggio germanico mancava una parola che esprimesse il concetto di proprietà.) Nel diritto romano, invece, la possessio è tutelata soprattutto per arrivare, con l'usucpaione, alla tutela del diritto di proprietà. Il possesso era sì, quindi, tutelato di per sé, ma non come istituto definitivo.

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    1. Gemma Di Stefano

      Nelle ultime lezioni ci siamo dedicati all’actio spolii , profilo dinamico del binomio gewere-vestitura,
      quindi ho voluto cercare differenze e analogie tra la disciplina attuale e quella medievale dell’azione di reintegro.
      C’è da dire che i testi di diritto civile che guardano all’evoluzione storica dell’istituto non sono poi numerosi, mentre invece ho trovato spunti interessanti, oltre che nel solito Ruffini, anche nell’opera “Lo spirito del diritto canonico” di Pio Fedele.
      Nel nostro diritto vigente l’art 1169 cc disciplina la reintegrazione che “si può domandare anche contro chi è nel possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare, fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio”
      Questa è una particolarità del nostro codice attuale in quanto nell’antico diritto romano non figura come legittimato passivo dell’azione il terzo possessore di malafede.
      Infatti in D. 43, 16, 24 un frammento di Paolo sull’interdictum unde vi dispone: “Quum a te vi deiectus sim, si Titius eamdem rem possidere cœperit, non possum cum alio , quam tecum, interdicto experiri “
      Come si è arrivati, nel nostro codice del 1942 a superare tale principio?
      La relazione ministeriale al progetto del codice dichiara che l’art 1169 cc è mutuato dalla tradizione canonistica dell’actio spolii.
      Il legislatore del 1942 si è quindi ispirato al c.18 “Saepe Contingit” (un decreto di Innocenzo III emanato nel 1215 durante il concilio Lateranense IV) e il can 1698 del Codex Iuris Canonici che consentono a colui che è stato spogliato di esperire l’azione anche contro il terzo possessore, se in malafede.
      Perché solo contro il possessore di malafede, siamo forse davanti a una tutela imperfetta dei diritti dello spogliato?
      Non dobbiamo dimenticare che siamo di fronte a una norma di diritto canonico, quindi la questione si risolve indagando nel foro interno: il terzo possessore di malafede commette peccato tanto quanto l’autore dello spoglio, è in gioco la salvezza della sua anima!
      (C’è da dire che nella prassi si tendeva a non fare distinzione tra terzi in buona o malafede, sia per la difficoltà di dimostrare la scientia del terzo sia per il fatto che, una volta presentata la domanda per il reintegro cessa la buonafede del possessore – malafide superveniens nocet)
      Ruffini sostiene che nella disciplina possessoria (e restitutoria) medievale il c. Saepe Contingit è una via di mezzo tra l’Unde Vi del Corpus Iuris e la canonistica Redintegranda del Decreto di Graziano; ma non ne condivise mai la stessa importanza, sia perché non aveva la autorità di testo giustinianeo, sia perché non aveva la stessa portata generale della redintegranda, ed infatti – a parte un richiamo in una costituzione di Federico II - finì per rimanere lettera morta.
      E mentre i due istituti citati sono filtrati in tutti i codici ottocenteschi il c. Saepe Contingit non ha avuto lo stesso destino, tanto che nel nostro codice del 1865 legittimato passivo è soltanto l’autore dello spoglio.
      Eppure il nostro codice attuale permette di agire anche contro i terzi in malafede.
      Non si può certo pensare che il principio ispiratore del legislatore del 1942 sia lo stesso che ha animato Innocenzo III nel 1215, infatti l’art 1169 è semplicemente espressione di una delle direttive cardine del nostro ordinamento: la tutela della buonafede.

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  15. Se dovessi approdare ad una qualche considerazione relativa agli aspetti più interessanti della nostra “passeggiata” fra le fonti a partire dalla gewere come istituto tipicamente germanistico fino a ravvisare le sue origini in ambito canonistico, sarei senza esitazione propenso a farmi cullare dal latino di Huguccio e dalla sua eleganza. “In-stituere, de-stituere, re-stituere” costituiscono un nucleo denso e informato da una precisione tagliente che non trova riscontri se non negli autori del latino classico. Se agli interpreti giova sovente l’impiego di una sintassi lineare e “scolastica” non è chi non veda il fascino di un autore che “colpisce di fioretto” con tre derivati di “statuere” (significato: stabilire, erigere) e scolpisce nella carta i tre momenti dell’investitura, dello spoglio e della reintegrazione nel quadro della protezione di un diritto da parte dell’autorità pubblica.
    A prescindere dal soggetto della cui posizione si voglia trattare (il vescovo o l’ultimo possessore di buoi), è chiaro che nella tradizione giuridica il concetto di “restituzione” coincida da sempre con l’esigenza di reimmettere qualcuno nella pozione giuridica di cui godeva prima di un determinato accadimento, che si tratti di una situazione possessoria o di una carica, come nei casi che abbiamo osservato più da vicino. Ma quando si re-stituisce qualcosa a qualcuno? Nel momento in cui lo si è spogliato di qualcosa (latu sensu) la cui appartenenza gli è riconosciuta dall’ordinamento giuridico.
    Al giorno d’oggi, secondo un orientamento pressoché unanime della dottrina, il possesso è una situazione di fatto corrispondente all’esercizio di un diritto reale da cui derivano quella serie di vantaggi noti come “commoda possessionis”. Parlando della Gewere, a partire da Albrecht nel 1828, essa è fondamento della legittimità di ogni tipo di diritto - anche di un officium - e garantisce tutela alla sua apparenza.
    Il motivo per il quale non si sia seguita la teoria dei fattori storici nel raffronto fra possesso e gewere (o investitura, o saisine) ma si sia arrivati alla loro contrapposizione, negando tra l’altro in parte il percorso tutto Medioevale della vestitura, è qualcosa su cui giustamente vale la pena interrogarsi. Ed è così che ho voluto documentarmi sulla dottrina dei fattori storici.
    Antonio Labriola ha parlato di una tendenza, di una credenza secondo la quale la storia non si possa concepire se non come un incontro di “fattori”: ogni storico copie uno sforzo di astrazione prelevando un determinato accadimento da una linea cronologicamente ordinata di eventi. Ed è così che avviene quando uno storico voglia dire “vogliamo raccontare come ebbe inizio la guerra fra greci e persiani”. Le forme in cui si articola il fatto storico sono raggruppati in categorie a sé stanti: i “lati vari” di un determinato fenomeno vengono sottratti dalla loro ottica d’insieme e vengono generalizzati fino a costituire dei fattori.
    Probabilmente la spinta verso l’edificazione di un diritto germanico deve aver avuto la meglio.

    Fonti : “Diritto comune” di E. Conte e, sulla dottrina dei fattori storici, un estratto da “Del materialismo storico, dilucidazione preliminare”, in A. Labriola, “La concezione materialistica della storia”, 1977.

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    1. Il post di Alessandro mi offre un grande assist per un paio di percorsi etimologici che ho incontrato a proposito di “Gewere” e “instituo”.
      Tali due termini sembrano così distanti, ma sono invisibilmente raccordati da una parola estremamente significativa per il medioevo: “stare”.
      Per quanto riguarda la Gewere il percorso è lungo. Da un lato dobbiamo scartare l’ipotesi per la quale sia il latino ad aver tradotto dal termine tedesco, in quanto più convincenti sembrano le posizioni che vogliono una preesistenza nel mondo canonistico dell’omologo della gewere tedesca; dall’altro dobbiamo considerare che, nella totalità dell’Europa, le formule per indicare il medesimo concetto si sono sdoppiate proprio a causa dell’uso terminologico tedesco.
      Per quanto concerne le lingue che al latino sono legate da un rapporto di discendenza stretta possiamo notare una grande somiglianza delle forme con cui si indica il “revestire”. Tralasciando il prefisso “re-“, che ci porta alla mente il caso dello spoglio, la parola “vestire” si trova quasi inalterata in varie regioni d’Europa: negli idiomi della penisola iberica e nel provenzale si usa “vestir”, mentre nel francese, oltre alla “e” finale, cade anche la “s”, risultando la forma “vetir” (ci vorrebbe l’accentazione precisa, ma sovente i blog permettono soltanto un uso limitato di caratteri). Interessante anche la diffusione del termine “vestitura” che in spagnolo e portoghese ha visto la mutazione della “t” in “d”.
      In tedesco invece la storia è diversa. Cortese ci segnala la quasi sicura derivazione di Gewere da “wern”, nonché suggestivi e misteriosi ritrovamenti di forme primitive di Gewere in testi longobardistici, quali l’Editto di Rotari, in cui figurano “andigawere” e “arigawere” probabilmente indicando una sorta di peculio che, come nel diritto romano, poteva formarsi in capo ad un soggetto determinato a causa di un lavoro manuale o di una campagna militare.
      Ma “wern”, dice Cortese, ha il significato di vestire che, a sua volta per i medievalisti rievoca il concetto di status. Infatti, ogni persona, “vestendo” il proprio status, si incardina nella struttura sociale e può pacificamente “starci”.
      Quindi lo status rappresenta qualcosa che si definisce mediante alcuni atti ed è destinato ad un’esistenza stabile. Muovendo da questa conclusione, vorrei avventurarmi nell’etimologia di “istituire”.
      Benissimo Alessandro sottolineava l’eleganza di Uguccio che, giocando coi prefissi e richiamandosi al passato, formula la triade che, letta in successione, determina una visione sintetica e precisa della vicenda dello spoglio: in-stituere, de-stituere, re-stituere. A prima vista, non essendo un linguista, mi colpice, forse per troppa ingenuità appunto, che tra vestire e istituere ci sia una somiglianza di suoni e consonanti molto forti. Bisognerebbe indagare forse tra le pieghe dell’origine dei termini latini, ma ciò non compete a noi giuristi.
      Piuttosto conviene procedere ad una veloce etimologia di “istituire”. Rapidamente da “istituire” si ricava “statuire”, cioè render fermo qualcosa. “Statuire” è imprescindibilmente legato al verbo “stare” (la cui radice è uniformemente ritrovabile nel tedesco “stehen”, nel sanscrito “stah-“, ma anche nella “stasis” greca). Per cui, istituire significa costruire qualcosa che “sta”, con tutta la carica di immobilismo che questa parola porta dietro tradendo nella sua brevità tutta la storia della ricerca di sta-bilità dei rapporti giuridici medievali, che si riscontrano, come dimostrato prima, anche nella Gewere. Ecco perché ho notato nella necessità di “stare” uno dei fondamenti, anche linguistici, di questi concetti giuridici che ci hanno accompagnato durante il corso.

      CORRADO D'ELETTO

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